giovedì 16 dicembre 2010

Banchieri, politici e militari

Due notizie mi hanno colpito nelle ultime settimane. Il taglio dei fondi del cinque per mille a favore delle associazioni non profit - per intenderci l’Associazione per la ricerca sul cancro (AIRC) , Emergency, il Fondo per l’Ambiente Italiano...- e la contemporanea decisione del governo di investire nei prossimi anni 11 miliardi di euro (21 mila miliardi delle vecchie lire!, come ci suggerisce Legrenzi) per l’acquisto di 131 cacciabombardieri.

Nel 2010 erano 400 milioni di euro le somme destinate alle associazioni non profit. Durante l’esame della legge di Stabilità, la Camera ha dirottato 300 milioni di euro (il 75%) ad altre voci di spesa. Solo per l’AIRC da 60 milioni, il finanziamento – scelto dai contribuenti con la scelta sul 740 in dichiarazione dei redditi – verrebbe a ridursi a soli 15 milioni. Sarebbero tagliati i progetti sulle cellule staminali tumorali, sulla leucemia legata all’attivazione delle cellule “natural born killer”.

L'oncologo Umberto Veronesi scrive: “Per la ricerca contro il cancro, malattia che causa 150 mila morti ogni anno, il nostro Paese spende annualmente l'equivalente di circa 225 milioni di dollari, mentre si designano 30 miliardi per le spese militari. Viene da chiedersi se in Italia abbiamo più a cuore le armi che i malati”.

Umberto Veronesi
Veronesi ha presentato nei mesi scorsi in Senato una mozione per fermare il progetto, al quale partecipa anche l'Italia, per la costruzione di 2.700 cacciabombardieri 'joint Strike Fighter F-35' a un costo complessivo stimato in 250 miliardi di dollari. Se l'Italia volesse dotarsi di 131 aerei F-35, il costo sarebbe di 14,8 miliardi di dollari.

Si tratta di velivoli ‘stealth’ di quinta generazione che dal 2014 dovrebbero progressivamente sostituire tutta la flotta aerea d’attacco italiana, attualmente composta dai Tornado e dagli Amx dell’Aeronautica e dagli Harrier-II della Marina. 69 F-35A a decollo convenzionale verrebbero destinati alle forze aeree, mentre 62 F-35B a decollo rapido o verticale andrebbero a finire sui ponti delle portaerei ‘Garibaldi’ e ‘Cavour’.

Innocenzo Cipolletta
Colgo quindi l’occasione per portare alla vostra attenzione l’ultimo saggio di Innocenzo Cipolletta - grande congiunturalista e Presidente del Cda dell’ottima Università degli studi di Trento – dal titolo “Banchieri, politici e militari. Passato e futuro delle crisi globali (Laterza, 2010).

Cipolletta cerca di dimostrare la tesi che le ultime grandi crisi economiche sono nate da squilibri macroeconomici della potenza egemone - gli Stati Uniti d’America - determinati dalle ingenti spese belliche sostenute per le campagne militari.

Dal secondo dopoguerra, ogni grande conflitto ha creato le condizioni per una successiva crisi economica.

La Guerra del Vietnam (1962-1975) costò complessivamente 500 miliardi di dollari di allora. Una somma enorme che fu la condizione di base per la formazione dei twin deficit, dei deficit gemelli, deficit pubblico e deficit con l’estero. Cipolletta: “Il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagementi statunitense, che era ancora positivo nel 1966 per 2,1 miliardi di dollari, diventò negativo nel 1968, fino a raggiungere nel 1972 un disavanzo di circa 8 miliardi di dollari. Il saldo globale, compresi i movimenti di capitale, divenne passivo per ben 30 miliardi di dollari nel 1971 in seguito alla crescente uscita di capitali dagli USA...I mercati odoravano nell’aria una svalutazione del dollaro...Il 15 agosto 1971 il presidente degli USA, Richard Nixon, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Era la fine del Gold Exchange Standard ideato a Bretton Woods nel 1944, alla vigilia della conclusione della seconda Guerra Mondiale”.

Nel 1973 l’Egitto e la Siria decisero di organizzare un attacco ad Israele per riconquistare i territori persi durante la Guerra dei Sei Giorni (1967). L’attacco fu sferrato il giorno di preghiera per il popolo ebraico (da qui il nome Guerra del Kippur), il 6 ottobre 1973. Israele respinse l’attacco e sconfisse sia i siriani che gli egiziani.

Ma all’indomani della vittoria israeliana, i paesi arabi – che avevano sostenuto finanziariamente l’offensiva di Egitto e Siria - aderenti all’OPEC decretarono il blocco delle esportazioni di petrolio greggio nei confronti di tutti i Paesi che avevano sostenuto Israele. Il prezzo del petrolio quadruplicò (da 1 a 4 dollari). L’Occidente, di fronte alla scelta di ridurre le importazioni di petrolio o indebitarsi per comprare petrolio, scelse la seconda opzione: “Si trattò della più vasta e devastante modifica della distribuzione internazionale del reddito nel dopoguerra. Il vecchio mondo era terminato”.

Per la cronaca congiunturale, la recessione che ne seguì nel 1974 e 1975 ebbe proporzioni mai viste. La produzione industriale scese del 18%. Ci vollero 25 mesi per recuperare i livelli produttivi precedenti.

La sequenza è sempre la stessa: guerra, debiti, recessioni. Le crisi sistemiche sono quindi strettamente legate alla politica internazionale e agli interventi militari, i quali sono possibili grazie alla capacità che hanno gli Stati Uniti di indebitarsi sui mercati finanziarsi internazionali, grazie al fatto che il dollaro è una moneta di riserva.

Potendosi indebitare, gli Stati Uniti fanno fatica a capire le implicazioni dello sforzo bellico e lo accetta supinamente, pensando di non doverne pagare i costi. Se non gli States non potessero indebitarsi, il costo vivo sarebbe molto più visibile e non trasmesso alle generazioni future. Più trasparenza verso i cittadini contribuenti vorrebbe dire meno guerre. Come disse Louis Brandeis, Consigliere della Corte Suprema Americana negli anni '30, “La luce del sole è il miglior disinfettante, la luce elettrica il miglior poliziotto”.

L’ultima crisi non è un’eccezione, visto che prima della crisi dei subprime ci sono state le due invasioni in Iraq e Afghanistan, seguite al terribile attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. La spesa militare venne fatta crescere in modo eccezionale, grazie alle pressioni del Pentagono che trovarono ascolto nell’Amministrazione Bush, sotto shock per l’attentato. Dal 2001 al 2007 gli USA hanno impegnato oltre 600 miliardi di dollari per la sola guerra in Iraq.

Cipolletta: “Le guerre hanno pesato sensibilmente sulle politiche di bilancio americane, con risvolti pesanti sui conti pubblici. Questi disavanzi hanno sostenuto l’economia e contribuito a produrre squilibri nei conti con l’estero. Il protrarsi degli squilibri ha generato forti afflussi di liquidità sul mercato finanziario internazionale. Questa abbondante liquidità ha suscitato l’offerta di nuovi strumenti finanziari da parte delle banche internazionali (che hanno realizzato rilevanti profitti), e ciò ha prodotto bolle speculative. Ne sono derivate bolle speculative la cui esplosione ha prodotto una recessione mondiale”.

Carl Von Clausewitz sosteneva che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Noi preferiremmo che le spese militari fossero ridotte. Così gli squilibri macroeconomici sarebbero quantomeno tenuti sotto controllo. E magari con i miliardi di euro disponibili si potrebbe finanziare il terzo settore, la ricerca sul cancro, i beni culturali cadenti, premiare il merito....

1 commento:

  1. Tagliamo 1,5 milioni di inutili e parassiti dipendenti pubblici e il saldo da dedicare alla ricerca sarebbe infinitamente superiore rispetto a quello di tagliare 131 aerei (che peraltro servono, visto che la flotta è tenuta assieme con lo spago).

    RispondiElimina