giovedì 2 dicembre 2010

La Cina, l'inflazione e la Fed sotto attacco

In Cina l’inflazione rialza la testa e raggiunge il 4,4% - il livello più alto degli ultimi due anni. La causa principale sta nel rialzo dei prezzi delle derrate alimentari (le agenzie segnalano in particolare il rialzo di patate, cavoli e cetrioli; lo zucchero è introvabile), saliti del 10% nel corso del mese di ottobre. Fuori città, in assenza della grande distribuzione, i rincari sarebbero ancora maggiori. Nelle zone remote del paese, dove vivono centinaia di milioni di persone, i flussi delle derrate sono affidate a fragili e inefficienti operatori locali.

Prosegue anche la corsa dei prezzi delle case, alimentata dai maxi piani di urbanizzazioni annunciati dalle autorità.

La Commissione Nazionale per le riforme e lo sviluppo ha subito dichiarato che “Qualora fosse necessario, l‘autorità pubblica non esiterà a intervenire direttamente sui prezzi dei beni di prima necessità”.

Il governo cinese ha in mano un altro strumento a disposizione, la politica monetaria,che è pronta a tornare in azione, alzando i tassi di interesse, o aumentando la riserva obbligatoria per le banche – come ha fatto settimana scorsa.

Morgan Stanley si aspetta che i prezzi nei paesi avanzati si mantengano nell’intorno dell’1,5% nel 2010, mentre lo vede tra volte tanto al 5,4% nei Paesi emergenti. La “great divergence” può portare le autorità monetarie ad aumentare i tassi per fermare il surriscaldamento dei prezzi. E questo accresce l’appeal per la carta dei Paesi Emersi via rialzo tassi. E il circolo vizioso prezzi al rialzo-afflussi di capitale-prezzi su si può perpetuare.

Oltreoceano ci troviamo nella situazione opposta, negli Stati Uniti l’indice CPI – consumer price index – tocca i minimi degli ultimi 53 anni a 1,2%. Il core CPI – che sclude alimentari ed energia è a zero da tre mesi e ha raggiunto il minimo degli ultimi 70 anni (0,6%). In una situazione di generale debolezza della domanda, in ottobre sono scesi i prezzi delle auto, dell’elettronica, dell’abbigliamento, degli alberghi, della verduta. Sono saliti i prezzi della benzina e di alcune materie prime.

Uno dei Governatori regionali della Federal Reserve – James Bullard della Fed di St. Louis - ha detto: “Occorre difendersi non solo dall’inflazione troppo alta, ma anche da quella troppo bassa”.

Sul sito www.federalreserve.gov possiamo vedere insieme quale siano gli obiettivi della Federal Reserve: “The goals of monetary policy are spelled out in the Federal Reserve Act, which specifies that the Board of Governors and the Federal Open Market Committee should seek “to promote effectively the goals of maxi¬mum employment, stable prices, and moderate long-term interest rates”.

Gli attuali compiti della Fed sono il composito risultato della Storia. A seguito della Great Depression fu introdotto come policy target il pieno impiego (Full Employment) attraverso l’approvazione dell’Employment Act nel 1946.

A seguito della Great Inflation degli anni ’70 – attraverso l’Humphrey-Hawkins Act del 1978 – fu introdotto come policy target la stabilità dei prezzi (price stability).

Milton Friedman
A pochi anni dal centenario della Fed (1913) ci troviamo in una fase storica nella quale la banca centrale guidata da Bernanke acquisisce sempre più poteri e centralità nella politica americana. E non tutti sono d’accordo. Significativa la citazione di Milton Friedman: “Nessuna istituzione americana ha avuto una simile performance negativa per un periodo così lungo, eppure una reputazione pubblica così alta”.

La pensano allo stesso modo i Repubblicani - forti della loro vittoria alle elezioni di Mid-term – a cui la manovra espansiva non convenzionale (QE2) non è assolutamente piaciuta. Bob Corker, un tenace senatore repubblicano, è tornato alla carica chiedendo di ridurre il mandato della Fed a un solo obiettivo, come la Banca Centrale Europea: “It is time that we work to clarify the mandate of the Federal Reserve. Providing our central bank with a clear and explicit focus on keeping inflation low will serve America better than the broader mandate approach we have today”.

Paul Krugman
Noi siamo più d'accordo con il Premio Nobel Paul Krugman, che di recente ha scritto: “La cattiva notizia relativa all’America è che una potente fazione politica sta cercando di ostacolare in tutti i modi la Federal Reserve, di fatto privando il Paese del grande vantaggio che abbiamo nei confronti degli spagnoli impelagati. Gli attacchi dei repubblicani alla Fed – la richiesta per esempio di smettere di promuovere la crescita economicia, per concentrarsi piuttosto sul compito di mantenere forte il dollaro e contrastare inesistenti rischi di inflazione – equivalgono a chiedere di essere volontariamente rinchiusi nella prigione spagnola (che una volta entrata nell’euro non può svalutare e quindi è costretta a una “svalutazione interna, ndr). Speriamo soltanto che la Fed non stia a sentire. Le cose in America vanno male, ma potrebbero andare di gran lunga peggio. E se avrà la meglio la fazione dell’”hard money” di sicuro andrà peggio”.

Certo è che da quando è stato annunciato il QE2 a Jackson Hole ad agosto, i tassi a 10 anni dei government bonds negli States sono passati dal 2,49% al 2,96%. Altro che quantitative easing, per adesso possiamo parlare di quantitative tightening!

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