lunedì 23 dicembre 2013

Buon Natale a tutti i miei lettori

Si arriva al giorno di Natale stravolti. A dicembre si lavora tanto e con meno giorni a disposizione. E nello stesso arco temporale bisogna pensare ed acquistare i regali per tutti, moglie, figli, genitori, cugini, nipoti, nonni e nonne, amici e conoscenti vari. Pensare al cenone, al pranzo del Boxing Day, a che non manchi nulla.

Finalmente qualcuno lo dice: il Natale - oltre a essere una festa bellissima - è una fatica improba. Mia moglie Sara, giornalista che si occupa di cinema, mi ha segnalato il film Il Natale di una mamma IMperfetta, dove il regista Ivan Cotroneo fa ballare le mamme col carrello al supermercato - la protagonista Chiara è ormai un personaggio - già preoccupate per lo stravolgimento fisico del Natale.

Il testo - ironico e divertente - è questo:

Sei una mamma che lavora,
la festa ti divora

Fa la cena del Cenone
di Vigilia e di Veglione
Passi i giorni a cucinare
non potrai mai riposare

Chiedi aiuto a tuo marito
non solleva neanche un ditto

Il Natale è ormai vicino
ecco qual è il tuo destino

I regali da comprare
il presepe da allestire
l'alberello da addobbare
la poesia da recitare

Chi è contento del Natale?
O fa finta o è da internare.

Una delle cose più belle del Natale è la convivialità. Non posso che ricordare le parole del priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, il quale ha centrato il punto. Sentiamolo:

"Elemento essenziale è la convivialità attorno alla tavola, luogo straordinario di umanizzazione, di ascolto reciproco, di scambio della parola, luogo dove dire sì alla vita con le sue fatiche, le sue sofferenze, le sue gioie e le sue speranze.
Convivialità a tavola significa spazio, tessuto, mosaico di parole scambiate e di immagini create, racconti che seducono. Lì tutti sono uguali, con le stesse possibilità di prendere cibo e di intervenire con la parola: bambini e vecchi, uomini e donne, invitanti e invitati. L' uno parla, l' altro ascolta mentre si mangia: parole che si intrecciamo fino a spegnere ogni diffidenza.


E qui occorre l' arte di chi presiede la tavola: l'arte del favorire l' esprimersi di tutti, del disinnescare i rapporti di forza, del contenere con delicatezza i chiacchieroni, dello stimolare i più timidi; l' arte di creare quel clima festoso in cui possono spegnersi i ricordi non buoni, gli antichi contrasti, i rancori taciuti.

La convivialità è terreno fertile per esercitarsi in rapporti affettivi che diano gusto alla vita, che ci rallegrino nella faticosa quotidianità che appesantisce tanti nostri giorni... Questo clima non dovrebbe però limitarsi al pranzo di Natale: nei giorni successivi perché non accettare di non uscire troppo di casa, di dedicarsi nella lentezza dei giorni senza lavoro alle cose più semplici: godersi la casa, spazio che abitiamo e che durante l' anno fatichiamo a tenere in ordine e sentirlo nostro, leggere- quest' arte di viaggiare restando là dove siamo - ascoltare musica, invitare qualcuno per dialogare e porsi insieme domande di senso".

Chiudo con il messaggio di Papa Francesco lasciato al cronista della Stampa settimana scorsa: Non abbiate timore di lasciarvi andare, di abbracciare le persone a cui volete bene, "non abbiate paura della tenerezza".

Buon Natale a tutti i miei lettori.

lunedì 9 dicembre 2013

Auguri, Presidente Ciampi

Stamane nella consueta preghiera laica del mattino - la lettura dei giornali - mi ha fatto estremo piacere leggere Marzio Breda, il quirinalista del Corriere della Sera - che ricorda l'energia morale e fa gli auguri di compleanno a Carlo Azeglio Ciampi.
Oggi Ciampi – Governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993, Presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro, Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, nato a Livorno il 9 dicembre 1920 - compie 93 anni. Gli facciamo gli auguri, ricordando alcune sue riflessioni e punti di vista, ritratti da “Da Livorno al Quirinale” (Il Mulino, 2010).

Non c’è dubbio che la vita scorre e ti offre tante occasioni. L’importante è riuscire a coglierle nel modo giusto e al momento giusto. Non mi sono mai lamentato di quello che mi ha offerto la vita. Posso dire che per inclinazione naturale mi sono sempre sentito pronto a cogliere l’occasione che in un certo momento si offriva”.

Sono convinto che nella vita si debba sempre cercare di utilizzare al meglio il tempo...fai le cose che ritieni di dover fare; dovendole fare, cerchi di farle rapidamente...io ho preso da mia madre: “Non rinviare a domani quello che potresti fare oggi, il tempo è breve”.

Io parto da questa idea: non prendere impegni che sono al di là delle tue forze. Ma se li devi prendere, bando ad ogni incertezza o timidezza, rimboccati le maniche e mettiti a lavorare"."La mia filosofia è questa.Quando si profilano impegni difficili, importanti, se puoi farlo, evitali; ma se non puoi evitarli, affrontali con pienezza di energie, con freddezza, con libertà di mente, con onestà di propositi”.


Molte volte mi chiedo se ci sia oggi una generazione di trentenni che abbia la forza di “ricostruire”, la volontà e l’impegno necessari, come li avemmo noi, provati dalla guerra, anzi con la guerra ancora alle porte di casa. Mi dico anche che se questa generazione non c’è, la colpa è nostra, è dei padri; vuol dire che non siamo capaci di passare la mano al futuro. E’ un pensiero che quasi mi ossessiona; ma non perdo la fiducia”.

Servire la Banca d’Italia vuol dire servire, imparare a servire una grande istituzioneQuindi l’istituzione viene prima della persona. Secondo, ti insegna ad avere valori precisi, ti insegna a non accettare compromessi, ti insegna a tenere fermo il punto di fronte a chiunque prema. Ti insegna a non dipendere da nessuno, da nessun potere politico esterno

Studiare come un forsennato vuol dire scavare problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni. In questo mi aiutò molto la mia familiarità con il metodo della filologia classica...Bisogna rendersi conto delle origini delle cose, approfondire, scavare, per capire il testo base

Nella vita si studia sempre fino all’ultimo giorno. In forme diverse. La curiosità, il desiderio di capitre, di darsi una spiegazione delle cose, non cessano mai. Il mondo non lo si conosce mai abbastanza. A parte le conoscenze tecniche, è la vita stessa, nei suoi valori, nelle sue manifestazioni, nelle nostre reazioni a esse, che si presenta come un apprendistato continuo. Anche a novant’anni compiuti

Nella discussione si affinano le idee, si migliora il contenuto della soluzione che uno può avere in mente già in partenza, ma poi si deve chiudere. La discussione non è mai fine a se stessa e non è mai senza fine, deve finire, ci sono tempi da rispettare. Questo è, per me, il famoso problema del rapporto fra conoscenza e atto volitivo. Ci vuole il massimo della conoscenza. Ma poi c’è l’esigenza di smettere, di mettere la parola fine a un processo conoscitivo, altrimenti senza fine, e di chiudere con la decisione, con la scelta”.

La fiducia e la speranza mi vengono dai giovani, che pure vivono un presente difficile e nutrono d’incertezza il loro futuro...Frequenti sono le occasioni che ho di incontrare ragazzi, studenti, giovanii impegnati nello studio e nel lavoro...mi conforta osservarne la forza,la determinazione a non lasciarsi andare; il loro saper guardare avanti. Con molta lucidità non coltivano illusioni, ma non cadono nel disincanto o peggio nel cinismo. Affrontano la realtà per quello che è e si adoperano a cambiarla. Questo è per me il punto: il ricambio generazionale. Quando questi giovani chiederanno con vigore, perentoriamente, ai loro padri: “E ora, fatevi da parte”. E’ ciò che fece la mia generazione all’indomani della guerra. Tra mille difficoltà, senza molte certezze circa il nostro futuro, salvo una: “Ora tocca a noi”. Ce la facemmo. Ce la faranno”. 

L'anno scorso sul Sole 24 Ore Ciampi ha invitato i lettori a riprendere in mano Leopardi. Lo riporto integralmente: “Sia di auspicio la convinzione del Passeggere leopardiano, “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”. E il futuro è speranza”.

Breda chiude così il suo pezzo: "Ugo La Malfa , commentando le Lettere a Lucilio di Seneca , scrisse una definizione perfetta per Ciampi: "Un vecchio che ama le proprie idee è più utile di un giovane che non ama nulla".

Auguri, Presidente.

lunedì 25 novembre 2013

Largo alle buone notizie. La startup italiana EOS venduta al colosso USA Clovis Oncology per 480 milioni di dollari


Lo spirito positivo di questo blog mi induce a concentrare la vostra attenzione su un'operazione di venture capital di grande successo, realizzata da Principia SGR.

Il venture capital e il private equity sono poco presenti in Italia. La finanza è vista come "brutta e cattiva" e la cultura dominante le vede come il fumo negli occhi. Ma senza il capitale di ventura, non nascono nuove imprese e si riducono le capacità di crescita di un Paese.
Private equity significa investire in società non quotate. In inglese private significa non quotato, il contrario di public che significa quotato in borsa. Se si legge sul Financial Times "Twitter goes public", vuol dire che Twitter si quota in borsa e si trasforma da società private in società quotata sui mercati azionari, sul NYSE in questo caso.

Il rischio di investire in società non quotate o appena nate - cosiddette start-up - è naturalmente maggiore rispetto a investire in società quotate. E' per questa ragione che sono nati degli investitori specializzati, che studiano, analizzano le prospettive di una società - ad alto potenziale - al fine di accompagnarla nella crescita futura.

Amartya Sen
In un formidabile saggio - Money and value: ethics and economic in finance scritto in occasione della prima Baffi's Lecture in Banca d'Italia nel 1991, - il filosofo ed economista indiano Amartya Sen si chiede: "How is it possible that an activity that is so useful has been viewd as morally so dubious?". E Sen conclude: "Finance plays an important part in the prosperity and well-being of nations".
Il Governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco, in un intervento del 9 aprile 2013 scrive, dopo aver citato Sen: "Finance is crucial for sharing and allocating risk, especially for poorer societies and people. It is crucial for transferring resources over time and removing liquidity costraints. It is very important for fostering innovation and promoting economic growth".

EOS - EOS sta per Ethical Oncology Science - nasce nel 2006 con l'obiettivo di scoprire nuovi farmaci antitumorali. EOS si presenta così: "EOS is a biopharmaceutical company committed to the development of novel medicines for the treatment of cancer.
EOS is a team of serial bio-entrepreneurs and experienced biotechnology professionals with decades of experience in translational medicine and success in drug development in oncology, high credibility with the financial community and significant track record in funding and growing biotech companies".


I primi finanziamenti a EOS arrivano dai soci fondatori e dal Venture capital player francese Sofinnova. Nel 2009 arrivano a sostegno capitali italiani. Investe Principia SGR con il fondo Principia I gestito da Pierluigi Paracchi che richiama anche i fondi per l'innovazione del Ministero per lo Sviluppo Economico (Legge n. 388): in totale parliamo di poco meno di 3 milioni di euro che fino a ieri valevano una partecipazione dell'8,7 per cento.

E' notizia di settimana scorsa che EOS è stata ceduta al colosso farmaceutico statunitense Clovis Oncology per circa 480 milioni di dollari. Una somma enorme rispetto al capitale investito dagli investitori di EOS pari a circa 22 milioni di euro.
La forza di EOS sta nel Lucitanib, un famaco antitumorale al seno che ha superato il primo round di test clinici. Per I tecnici "a unique dual selective phase II FGFR/VEGFR Inhibitor".

L'amministratore delegato di Principia, prof. Roberto Mazzei, ha sottolineato l'importanza degli imprenditori seriali come Silvano Spinelli, ad di EOS, che in passato ha guidato alla crescita e portato alla quotazione di Novuspharma (che poi si è fusa con Cell Therapeutics quotata sul Nasdaq): "Per costruire realtà di successo servono imprenditori seriali, ovvero esperienza e specializzazione. Anche da parte di chi investe".
Verissimo. Ma per poter avere imprenditori seriali, bisogna considerare il fallimento una cosa naturale e non la fine del mondo. E' opportuno, come spesso accade, citare Francesco Giavazzi.

L’economista della Bocconi e del MIT Giavazzi nel suo "Il liberismo è di sinistra" (con Alberto Alesina, Il Saggiatore, 2007) spiega la diversità tra Stati Uniti e Europa: "In Italia il numero dei fallimenti di imprese è tra i più bassi dei Paesi Ocse. Fallire in Italia, è un trauma da evitare. La stessa frase "è un fallito" ha una connotazione colpevole e offensiva. Come se il fallimento di un’attività economica rischiosa, che non ha prodotto profitti sufficienti, significa che chi l’ha intrapresa non sia una persona onesta, ma un truffatore. Il termine "fallito", invece di caratterizzare semplicemente il proprietario di un’azienda che non è sopravvissuta alla concorrenza, diventa un macigno che un imprenditore si porta sulle spalle per il resto della vita".

Giavazzi e Alesina raccontano un aneddoto emblematico (p. 78): "La figlia di un nostro collega stava per sposarsi, ma all’ultimo decise di rompere il fidanzamento. All’inevitabile domanda sulle motivazioni di una scelta tanto drastica rispose che, tra l’altro, il fidanzato non "era mai fallito". Il povero ex fidanzato era probabilmente un ragazzo che preferiva un posto fisso e non aveva partecipato all’effervescente nascita di nuove iniziative legate a internet, molte delle quali, appunto, sono fallite. La figlia del nostro collega avrebbe serie difficoltà a trovare un "fallito" da sposare in Italia".

Figuriamoci in Italia dove se fallisci sei marchiato a vita.

Lunga vita ad EOS e complimenti a Principia che ottiene un IRR - Internal Rate of  Return - da sogno.

lunedì 11 novembre 2013

Nel mesto presente, torniamo ai migliori del passato. La storia di Giovanni Enriques, formidabile manager-imprenditore

Il successo di ascolti - qualità così così - della fiction tv su Adriano Olivetti induce a pensare al mesto presente e alla nostalgia per i protagonisti del Novecento.
E' quindi meritevole di segnalazione il volume di Sandro Gerbi - storico di vaglia e mio mentore in Parola di Governatore dedicato al Governatore Baffi - Giovanni Enriques. Dalla Olivetti alla Zanichelli (Hoepli, 2013), dedicato a Giovanni Enriques, manager-imprenditore di grande successo.

Giovanni Enriques (1905-1990) nacque a Bologna in una famiglia borghese, si laureò in ingegneria a Roma. Nel 1930 fu assunto da Camillo e Adriano Olivetti e dopo sei anni ottenne l'incarico di direttore per l'Estero. Durante la Guerra visse a Ivrea, circolando con falsi documenti di "arianizzazione" (era di origine ebraica) e partecipò alla Resistenza come esponente del Partito liberale. Insieme ad altri due dirigenti, salvò l'Olivetti dallo smantellamento, ormai deciso dai tedeschi.
Nominato direttore generale nel dopoguerra, rimase all'Olivetti fino al 1953, quando diede le dimissioni per divergenze manageriali con Adriano. Durante la permanenza di Enriques, la Olivetti divenne la prima fabbrica in Europa nel suo settore, le esportazioni nel 1953 rappresentavano più del 50% del fatturato, i dipendenti passarono da 6.700 del 1947 a ben 11.500.

Così Marco Vitale ricorda Olivetti: “Olivetti Adriano di Camillo. Classifica: Sovversivo”, così sta scritto sulla copertina del dossier che la Pubblica Sicurezza di Aosta apre su Adriano Olivetti nel giugno 1931. Credo che tra le tante definizioni di Adriano Olivetti che mi è capitato di leggere, questa dell’oscuro funzionario della questura di Aosta sia la più centrata. E come può non essere sovversivo un imprenditore che entra nella fabbrica paterna a 23 anni (nel 1924) quando questa produce 4.000 macchine da scrivere all’anno con 400 dipendenti – dunque 10 macchine all’anno per addetto – e che quando muore prematuramente, lascia un gruppo che nel 1958 festeggia il cinquantesimo anniversario con circa 25.000 dipendenti, con cinque stabilimenti in Italia e cinque all’estero, dai quali escono sei macchine al minuto; i cui dipendenti hanno un livello di vita superiore dell’80% a quello dei dipendenti di industrie similari; che si prepara a digerire, sia pure con fatica, l’acquisizione della mitica Underwood americana; che sta già affrontando la nuova sfida dell’elettronica; cha ha saputo imporre al mondo intero uno stile e un design che sono diventati un riferimento per tutti; che ha creato la più ricca e significativa scuola di management della storia italiana?"
Quando si ricordano i successi di Adriano, è opportuno ricordare i suoi primi collaboratori, come Giovanni Enriques.

Uomo di vastissime relazioni, dopo l'Olivetti sarà direttore dell'Ipsoa e consulente dell'Imi nel settore turistico, quando fu un precursore della valorizzazione della Sardegna, in particolare nella baia di Porto Conte (Alghero).

Gli spunti nati dalla lettura sono innumerevoli. Ne cito alcuni.

1. Lo scontro tra il padre di Giovanni, Federigo Enriques (insigne matematico), e Benedetto Croce, il quale accusò il primo di invadenza di campo e incompetenza. Giovanni Enriques spiega bene cosa sottaceva: "Fu un episodio di incontro-scontro di due culture: tra un sistema filosofico che tenda a dare una posizione predominate alla scienza e un altro che assegna a questa un ruolo subordinato quasi assimilando la scienza stessa alla tecnica".
Se a cena un commensale cita Dante e Leopardi, è una persona colta, se cita i capital ratios stabiliti dal Comitato di Basilea presso la Banca dei Regolamenti Internazionali è un tecnico. Credo proprio che il ritardo che l'Italia abbia accumulato negli ultimi 30 anni sia in gran parte dovuto alla mancanza strutturale di cultura scientifica. Sforniamo giuristi e all'Università di Pavia i laureati in matematica si contano sulle dita di una mano.
L'economista Giavazzi ha scritto: "All'università di Bari, su 9 mila iscritti, solo in 50 hanno scelto matematica, 62 chimica e 2 mila giurisprudenza. Al Politecnico di Milano i più si iscrivono al corso di ingegneria gestionale, vogliono tutti diventare manager: progettare il disco di un freno, anche se per le Ferrari, è considerata un'attività passé" .

Giovanni Enriques con il Presidente Gronchi
Giovanni Enriques con l'attività editoriale della Zanichelli si battè intensamente contro l'emarginazione in Italia della cultura scientifica, cui veniva negato ogni valore cognitivo.
Sul sito della Zanichelli si legge: "Zanichelli ha contribuito alla diffusione della conoscenza scientifica pubblicando, fin dal 1864, la traduzione di Sull'origine delle specie per selezione naturale di Charles Darwin, e nel 1921, Sulla teoria speciale e generale della relatività di Albert Einstein. Questo impegno editoriale è continuato fino ad oggi con importanti traduzioni scientifiche di testi fondamentali, di divulgazione e didattici della cultura anglosassone".

2. Il desiderio di Enriques di vivere una vita piena e quindi di svolgere numerose attività extra, che gli hanno consentito poi di essere un ottimo imprenditore.
Enriques nel dopoguerra entrò in contatto con Ernesto Rossi, sottosegretario alla ricostruzione e poi presidente dell'Arar e Mario Pannunzio, fondatore del "Mondo".

Enriques nel periodo gennaio-febbraio del '46 pubblicò tre corrispondenze dalla Gran Bretagna su "Risorgimento liberale", diretto da Pannunzio. Nel primo dei suoi pezzi, Enriques esprime un giudizio che è una sintesi efficace della storia d'Italia: "Penso a quelli laggiù che lottano, a quelli che soffrono, a quelli che cedono, a quelli che non fanno il loro dovere, e ve ne sono in tutti i partiti, e rimango incerto tra due visioni del mio Paese, una rosea e l'altra nera".

Torna in mente il passaggio di Spadolini, in ricordo di Paolo Baffi: "Baffi non era stato scelto a caso dagli autori del complotto del quale egli era rimasto vittima: egli simboleggiava quell'altra Italia che si opponeva in quelle ore drammatiche all'intreccio di trame e cospirazioni contro la Repubblica".
Nel suo ultimo Il gioco grande del potere (Chiarelettere, 2013), Sandra Bonsanti scrive: "Abbiamo avuto Andreotti e Sindona, ma anche Ugo La Malfa e Giorgio Ambrosoli. Abbiamo avuto Carmelo Spagnuolo, Cossiga e Gladio, ma anche Sandro Pertini. Abbiamo avuto Licio Gelli ma anche Occorsio, Tina Anselmi e Norberto Bobbio".

3. La prima esperienza di venture capital in Italia è opera di Enriques che presso l'Istituto Mobiliare italiano (Imi) diventa consigliere delegato dell'Isap, Istituto per lo Sviluppo delle Attività Produttive, dove la direttrice principale era "partecipare a nuove attività produttive in Italia, sempre che si tratti di affair effettivamente esemplari, condotti da uomini capaci su fondati presupposti economici".

Colgo l'occasione per dare un consiglio a mio amico Gerbi e all'editore. Nella prossima edizione sarebbe utile aggiungere qualche dato numerico sulla Zanichelli. Infatti nel volume manca una ricostruzione economico-finanziaria (del numero di volumi editi e pubblicati, per esempio) della Zanichelli, che invece è presente sia per l'Olivetti che per l'Aurora-Zanichelli (AZ). Emergerebbe con nettezza il valore sociale della crescita economica della casa editrice, che grazie alle innovazioni portate avanti da Giovanni Enriques - il centro di calcolo e la logistica, in primis - è diventata la prima casa editrice scolastica italiana.

Chiudo con un bellissimo, tanto vecchio quanto attuale, refrain di Giovanni Enriques: "Sono gli uomini che fanno le cose". E allora ha ragione Giorgio Bocca, che nel necrologio per Enriques scrisse: "Amico premiato dalla vita perchè amava la vita".

Per gli interessati, segnalo che giovedì 14 c.m. alle 18.00 avverrà presso la Libreria Hoepli la presentazione del volume Giovanni Enriques con la presenza, oltre che dell'autore Sandro Gerbi, di Aldo Bassetti e dello storico Giuseppe Berta.

lunedì 4 novembre 2013

Mentre le PMI italiane sono in trincea, una storia positiva di successo e innovazione: Gruppo Rold


Le piccole e medie imprese italiane (PMI) dopo 5 anni di crisi strutturale e congiunturale sono ancora in trincea. L'accesso al credito è sempre più problematico, i consumi domestici sono in calo, i margini sono in riduzione, la competizione sempre efferata via globalizzazione dei mercati.

Che fare? Nelle sue ultime Considerazioni Finali, il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha scritto: "Le imprese sono chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull’innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici. 
Hanno mostrato di saperlo fare in altri momenti della nostra storia. Alcune lo stanno facendo. Troppo poche hanno però accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico".

Tra le imprese che hanno accettato la sfida della concorrenza e dell'innovazione, c'è il Gruppo Rold, fondato cinquant'anni fa da Onofrio Rocchitelli, imprenditore entusiasta della vita e della sua impresa - che ha deciso di allargare il suo mercato di riferimento - componentistica per gli elettrodomestici - investendo nell'innovazione.
Rold ha creato Rold Research, una rete di piccole e medie imprese per fare ricerca Roldresearch è una delle prime nuove avventure di business in Italia in cui una rete di PMI ha deciso di mettere in comune investimento conoscenze tecniche per la ricerca, con la "R" maiuscola, in un settore di solito associato a imprese di grandi dimensioni.

Roldresearch è stata fondata nel 2010 da tre storiche aziende milanesi - oltre a Gruppo Rold ne fanno pate anche Gruppo Componenti e Fluid-o-Tech - insieme alla Fondazione Politecnico di Milano, un'università di fama mondiale per il suo lavoro nel settore dello sviluppo tecnologico e polo di ricerca.

Come sostiene la Banca d'Italia, la capacità di innovare i prodotti e i processi, di esportare sui mercati emergenti, di internazionalizzare l’attività, demarca il confine tra le imprese che continuano a espandere il fatturato e il valore aggiunto e quelle che, invece, faticano a rimanere sul mercato. La crisi ha accentuato questo divario, reso stridente l’inadeguatezza di una parte del nostro sistema produttivo.

Per andare sul concreto, l’obiettivo di Rold Research “fare rete” nei settori dell’Elettrotecnica, Elettronica e dei Nuovi Materiali, con significative estensioni all’efficienza energetica, al Design di prodotto, ai sistemi di comunicazione wireless e di intelligence, fino ad esplorare nuovi ambiti quali Health & Life Science.
La ricerca ha dato i primi frutti: Roldresearch ha recentemente lanciato MOOON, un innovativo sistema integrato che rivoluziona il mondo della distribuzione automatica personalizzando l'erogazione di un particolare prodotto in funzione dello stato fisico ed emotive di una persona (rilevato attraverso semplici dispositive personali come braccialetti, smartwatch...e una mobile app).

Parallelamente Gruppo Rold guida innovazione e ricerche interne che, nel 2012, hanno portato alla nascita di Rold Lighting, una business unit che amplia la capacità d’offerta consentendo all'azienda di presentarsi sul mercato dell’illuminotecnica con una nuova divisione e un nuovo catalogo di lampade a LED. Le nuove lampade sono progettate ed assemblate interamente in Italia in uno stabilimento all’avanguardia appositamente rinnovato ed attrezzato per questo tipo di produzione.

Nella Relazione annuale 2012, la Banca d'Italia per la prima volta dedica un ampio spazio al tema dell'innovazione, che - fattore cruciale per la crescita economica - in Italia è meno intensa che nei principali paesi avanzati. A questo ritardo contribuiscono più fattori:
- la specializzazioni in produzioni tradizionali;
- la piccola dimensione aziendale;
- una gestione largamente fondata su un management di derivazione familiare.

Il Gruppo Rold è un'impresa media - 35 milioni di fatturato - gestita da management familiare, ma ha deciso di investire - durante la crisi, oh yes - nell'innovazione. E' la dimostrazione che l'Italia ce la può fare. Abbiamo solo bisogno di ottimi esempi da imitare, così da non crogiolarci nel pessimismo.

mercoledì 30 ottobre 2013

Cronaca di una giornata densa di soddisfazioni, in nome di Paolo Baffi, Governatore formidabile

Mercoledì 23 ottobre è stata per me una giornata di grandi emozioni e ricca di soddisfazioni. Era in programma la presentazione - presso la sede prestigiosa e bellissima di Palazzo Altieri dell'ABI (Associazione Bancaria Italiana) - del volume Parola di Governatore (Nino Aragno Editore, 2013) dedicato al Governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi, sulla plancia di comando dal 1975 al 1979, periodo da lui definito "il mio quinquiennio di fuoco". Il volume è stato curato dal sottoscritto e dallo storico Sandro Gerbi, dotto e sapiente gentiluomo.

I relatori presenti erano quanto di meglio ci si potesse aspettare:
- Mario Sarcinelli, già vice direttore generale di Bankitalia, braccio destro di Paolo Baffi fino alle sue dimissioni del 1981; con Baffi vennero definiti il duo inafferrabile. Impossibile cercare di trattare con loro per le questioni di Vigilanza. Solo la messa in stato di accusa dei due e l'arresto di Sarcinelli il 24 marzo 1979 hanno impedito che il lavoro proseguisse; per appronfondire la vicenda giudiziaria di cui sono state vittime Baffi e Sarcinelli si rimanda ad altri post;
- Paolo Savona, stretto collaboratore di Guido Carli in Banca d'Italia, ordinario di politica economica alla Luiss;
- Piero Barucci, ordinario di storia delle teorie economiche presso l'università degli studi di Firenze. Barucci è stato Ministro del Tesoro dei Governi Amato e Ciampi nel 1993-4. La sua esperienza da ministro è stata raccontata in modo affascinante nel volume L'Isola italiana del Tesoro. Ricordi di un naufragio evitato (1992-1994) (Rizzoli, 1995).

Fa gli onori di casa il Presidente dell'ABI Antonio Patuelli.

In prima fila, ospite d'onore, il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco.


Mentre mi preparavo mentalmente al mio intervento, si alza in piedi il Presidente Patuelli e dice: "E' arrivato poco fa un telegramma del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che vi leggo: "Ospitando la presentazione del volume dal titolo 'Paolo Baffi. Parola di Governatore', l'Associazione Bancaria Italiana ha assunto la meritoria iniziativa di rinnovare il ricordo di Paolo Baffi, insigne economista e integerrimo e fedele servitore dello stato.
Attraverso la raccolta delle 'Considerazioni finali', pronunciate nel corso del suo mandato di Governatore e la pubblicazione integrale del diario tenuto da Baffi negli anni 1978-1981, l'opera consente di ripercorrere alcune cruciali vicende che hanno caratterizzato uno dei periodi più difficili della vita economica e politica del paese.

Dagli scritti emergono con grande nitidezza i valori che Paolo Baffi seppe incarnare come pochi, nella vita professionale come nell'esperienza umana: il rigore nell'analisi scientifica, la passione civile che animava la sua ricerca di soluzioni per i gravi problemi del paese e, soprattutto, l'integrità morale che lo condusse a difendere, con coraggio ed a costo di ingiuste accuse, l'indipendenza della Banca d'Italia da indebite ingerenze e oscure macchinazioni.

In questo spirito rivolgo a lei, gentile presidente, agli autori del volume, agli illustri relatori e a tutti gli intervenuti all'evento il mio più vivo apprezzamento ed augurio".

Il Presidente dell'ABI mi cede la parola. Cerco di superare l'emozione. Inizio a parlare.

Al fine di dare senso compiuto al mio intervento, ho voluto concentrarmi sull'attualità del pensiero di Baffi. Quando di parla di Maestri, è opportune rielaborare il loro pensiero e riportare i passi significativi all'attualità, proprio perchè alcune considerazioni sono universali e valgono sia per ieri che per l'oggi.

Gli italiani cadono spesso vittima di illusioni. Come Leopardi nello Zibaldone parlò di "strage delle illusioni", così Baffi nel 1974 all'Accademia dei Lincei intrrodusse l'espressione "gioco delle illusioni", in relazione all'inflazione che compisce il risparmio, così faticosamente raccolto. «In questi anni ha inizio il gioco delle illusioni, che sembra destinato a continuare, per cui il risparmio delle famiglie non si traduce interamente in accumulazione di ricchezza reale». Possiamo dire con gli occhi di oggi, che eravamo solo all’inizio, perché l’illusione monetaria è proseguita a lungo, con gravi effetti distorsivi sul funzionamento del sistema economico italiano.

Riprendiamo Baffi:

La politica del risparmio […] delle Famiglie è condizionata dallo stato di crescente inflazione in cui da qualche anno si dibattono le economie dei paesi occidentali sviluppati [...]. Esso rende più arduo e spesso vano lo sforzo del risparmiatore di ricavare un frutto reale dalle sue attività finanziarie, od anche semplicemente di conservare il valore di queste nel tempo.

In Italia, durante gli anni ’60, i titolari di attività finanziarie hanno tratto dai loro averi tassi d’interesse reali modesti, nulli o negativi secondo i tipi di attività e gli anni d’investimento e disinvestimento. Poiché l’inflazione si è venuta accelerando, quanto più a lungo l’investimento è stato mantenuto, tanto peggiore è stata la sua sorte.

È per questa ragione che nel 1974 – al fine di proteggere il risparmio dall’inflazione – Baffi propose di offrire titoli a scadenza più breve (intrinsecamente meno esposti alle variazioni dei corsi) e titoli con clausola di aggiustamento monetario (quali furono, a partire dal 1976, i nuovi Certificati di Credito del Tesoro). Una innovazione assoluta. Non per niente, come testimonia Padoa-Schioppa, «aveva lo sguardo lungo. Era infastidito dalla moda di stare costantemente sintonizzati sulle onde corte del fatto quotidiano».

 
Nelle ultime Considerazioni Finali, il Governatore Ignazio Visco non usa il termine “illusioni”, ma le sue sono parole di verità di cui ha bisogno l’Italia per uscire dal suo stato catatonico:

 Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni. L’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica; ha implicazioni per le modalità di accumulazione del capitale materiale e immateriale, la specializzazione e l’organizzazione produttiva, il sistema di istruzione, le competenze, i percorsi occupazionali, le caratteristiche del modello di welfare e la distribuzione dei redditi, le rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo, il funzionamento dell’amministrazione pubblica. È un aggiustamento che necessita del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive.

Visto che Baffi è stato definito da Mario Draghi traghettatore di idee, allora riprendiamo in mano le ultime Considerazioni Finali di Baffi, 31 maggio 1979 dove Baffi invita tutti gli attori economici  alla coerenza. Non possiamo pensare che basti la la politica monetaria; che le politiche monetarie non convenzionali adottate dalla banche centrali ci portino fuori dalla crisi. Sono necessarie le riforme strutturali (e in Italia, più che in altri paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali: la riforma del mercato del lavoro, della giustizia civile, del sistema di istruzione; abbiamo bisogno di semplificazione normativa e di migliorare il funzionamento dell’amministrazione pubblica;  è opportuno aprire alla concorrenza alcuni settori, come ci ricordano ad ogni piè sospinto l’Unione Europea, Draghi e il Governatore Visco;
Tra le riforme da portare avanti c’è sicuramente la riduzione – e il miglioramento della qualità - della spesa pubblica corrente, che cresce ogni anno senza sosta. Se negli anni Settanta il rapporto debito/pil era nell’intorno del 30%, ora siamo oltre il 130%. Baffi nelle sue Considerazioni Finali sull’anno 1977 scrisse: “Se si è convinti che la spesa pubblica corrente ha raggiunto valori insostenibili, che essa non risponde in modo appropriato alle esigenze sociali e che per di più ha in sè fattori di ulteriore deterioramento quantitativo e qualitativo, occorre intervenire senza ulteriori indugi e senza mezze misure”. Speriamo ci abbia sentito Carlo Cottarelli, appena nominato da Saccomanni responsabile della spending review.

In chiusura del mio intervento - che potete vedere integralmente seguendo questo link - ho ripreso le ultime Considerazioni Finali di Baffi del 31 maggio 1979. Baffi invita a un impegno collettivo per salvare il Paese dalla degenerazione, morale ed economica. E le sue parole sono profonde e quanto mai attuali. Sono le stesse parole di chiusura del Governatore Visco delle sue ultime Considerazioni: “Le riforme non possono essere chieste sempre a chi è altro da noi; tutti dobbiamo impegnarci: imprese, lavoratori, banche, istituzioni...Non bisogna aver timore del futuro, del cambiamento. Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti”.
 
Scattano gli applausi, il Governatore Visco mi stringe la mano, Mario Sarcinelli scrive nel suo intervento che la mia "analisi dei testi è fatta con acume e in modo sistematico", la famiglia Baffi mi abbraccia. Più di così, veramente, non si può fare.

Caro Governatore Baffi, la terra ti sia lieve.

lunedì 21 ottobre 2013

La cassa integrazione in deroga è uno strumento sbagliato e danneggia i lavoratori

E' notizia di qualche giorno fa che la Regione Sicilia ha approvato la delibera di finanziamento della Cassa Integrazione in deroga per i lavoratori della Fiat di Termini Imerese (ha interrotto la produzione a fine 2011), che, tra cassa integrazione ordinaria e straordinaria (a zero ore), si lavora a singhiozzo dal 1995. E dal 2006 non si produce più nulla. E non potrebbero certamente tornare a lavorare perchè dopo 7 anni di inattività, di freezer, non sanno più come è fatto il mondo lavorativo.

Il 9 aprile scorso il Consiglio regionale lombardo ha votato all’unanimità – bipartisan – la richiesta al Governo di sblocco dei fondi per coprire la cassa integrazione fino a dicembre. Nell’attesa dei fondi veri, la mozione approva l’anticipo dei fondi, dopo che il governo pare abbia rassicurato sul prossimo invio delle risorse.

Per la sola Lombardia si tratta di circa 300 milioni di euro.
Premetto subito che si tratta di una scelta sbagliata.

Partiamo dal principio. La cassa integrazione guadagni (CIG) è un ammortizzatore sociale nato per ammorbire le conseguenze negative il ciclo economico. E’ quindi uno strumento congiunturale. Se produco 100 il trimestre X e il trimestre Y produco 70, l’INPS interviene a colmare la domanda di lavoro con il fondi costituiti ad hoc grazie ai contributi dell eimprese e dei lavoratori. Le ore lavorate si riducono ma il salario viene quasi integralmente (80%) mantenuto uguale.

Nel 2009, dopo il fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008, il governo Berlusconi - in particolare ci lavorarono ministri Sacconi e Tremonti - istituì la cassa integrazione in deroga.
Tutti o quasi sanno che cosa è la cassa integrazione, ma pochi sanno come funziona la cassa in deroga, che significa derogare alle norme sulla cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Visto che in Italia la deroga e l’emergenza sono criteri dominanti, il periodo di vigenza della cassa in deroga è stato prorogato sia nel 2010, che nel 2011 che nel 2012. E così sarà nei secoli dei secoli. Amen.

La cassa in deroga è un intervento di integrazione salariale a sostegno di imprese o lavoratori non destinatari della normativa sulla cassa integrazione guadagni. Spetta a tutti i lavoratori subordinati, dipendenti da aziende che operino in determinati settori produttivi (artigiani, commercio) o specifiche aree regionali, individuate in specifici accordi governativi.

E’ quindi uno strumento discrezionale, non universalistico che favorisce alcune imprese e non altre. Inoltre non prevede per le imprese beneficiarie alcun tipo di contributo, al contrario della CIG ordinaria. Friedman sosteneva che non esiste pasto gratis, qui in Italia eccome.

La CIG in deroga non incentiva in alcun modo il lavoratore a cercarsi un’altra occupazione. Illude quindi in molti casi il lavoratore del miglioramento delle sorti delle aziende. Ci sono casi in cui l’azienda è chiusa e in liquidazione, ma il lavoratore beneficia della cassa in deroga. Ma l’impresa non riaprirà mai.

La possibile replica è che non c’è possibilità di trovare lavoro. Ma un esperto come Pietro Ichino, intervistato da Linkiesta, dice: “Secondo i dati tratti dalle comunicazioni obbligatorie delle aziende alle Direzioni provinciali per l’impiego, anche in ciascuno di questi anni di gravissima crisi economica il mercato del lavoro italiano ha prodotto due milioni di contratti di lavoro subordinato regolare a tempo indeterminato. E il 12 per cento di queste assunzioni a tempo indeterminato, 240.000 nell’ultimo anno, ha riguardato persone con più di 50 anni di età. Non è vero, dunque, che per un ultracinquantenne trovare lavoro sia impossibile”.

Pietro Ichino
Sempre Ichino - ben più autorevole del sottoscritto - ha detto: "Sarebbe molto sbagliato continuare a intervenire con la cassa in deroga. Per due motivi. Il primo è che la cassa integrazione è una forma di previdenza; e la previdenza non è tale se i trattamenti erogati non sono prevedibili, se non sono una cosa su cui l’assicurato può fare affidamento. Ora, “cassa in deroga” significa che in base alle regole vigenti il trattamento non potrebbe essere attivato: esso viene erogato, appunto, sulla base di una ”deroga”, che di volta in volta può essere disposta oppure no, a discrezione dell’autorità regionale cui viene attribuito questo potere. In questo modo l’integrazione salariale non è più una forma di assicurazione, ma una forma di assistenza occasionale; e si perde l’effetto positivo – sul piano sociale e su quello macro-economico – della garanzia di continuità del reddito.
In secondo luogo la cassa integrazione, per sua natura, serve per tenere il lavoratore legato all’azienda da cui dipende, in situazioni nelle quali vi sia una ragionevole prospettiva di ripresa del lavoro nella stessa azienda. In questi anni, invece, la “cassa in deroga” è stata utilizzata per lo più in situazioni in cui quella prospettiva non c’era proprio. Come si è fatto largamente, del resto, anche con la cassa integrazione ordinaria e con quella straordinaria. Questo è un modo sbagliatissimo di affrontare le crisi occupazionali".

Vuoi vedere che nel 2016 saremo ancora qua a discutere della proroga della cassa integrazione in deroga, che avrebbe dovuto terminare nel 2012? Tito Boeri rammenta: “Non è rifinanziando in qualche modo la cassa integrazione in deroga (...) che si uscirà dall’emergenza”.

Qualche settimana fa, nel presentare a Valdagno con gli amici di Guanxinet il volume "Il sogno che uccise mio padre" (Rizzoli, 2013), Luca Tarantelli mi ha detto che suo padre Ezio usava dire che il lavoratore in cassa integrazione era come messo in una bara, fermo, come fosse in freezer. Se fosse vivo oggi parlerebbe di BARA INTEGRAZIONE.

E ai giovani chi ci pensa? Siamo alle solite. Gli ammortizzatori sociali sono costruiti per gli over-50 e pagati da tutti i contribuenti, compresi i giovani. Che si devono arrangiare. As usual.

lunedì 14 ottobre 2013

Dopo i BRICs e i Next Eleven, arrivano nuovi acronimi: H.I.E. e L.I.E.. La creatività conta!

L'economista Jim O'Neill di Goldman Sachs tanti anni fa coniò l'acronimo BRIC (poi diventato BRICs con l'aggiunta del Sud Africa), con il quale individuò i Paesi che avrebbero corso di più a livello di crescita economica. La previsione si è rivelata corretta perchè Brasile, Russia, India e Cina hanno fatto nell'ultimo decennio passi da gigante.

Sempre l'immaginifico O'Neill inventò un nuovo termine: Next Eleven, ossia i prossimi 11 Paesi mondiali dove il potenziale di crescita sarà maggiore: Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippina, Turchia, Corea del Sud e Vietnam.

Mentre il pubblico fa fatica a digerire l'ultima invenzione dei Next Eleven, che prontamente l'editorialista del New York Times Thomas Friedman - autore del mitico The world is flat - ha inventato altri due acronimi, che trovo assai interessanti: H.I.E.'s - high imagination-enabling countries - e L.I.E.'s - low imagination-enabling countries. La dicotomia tra Peasi oggi è legata a creatività e innovazione.

In un suo editoriale dal titolo "Obama, Snowden and Putin" di Ferragosto 2013 sull'International Herald Tribune, Friedman scrive: "There are no developed and developing countries anymore. There are only H.I.E.'s and L.I.E.'s. That is, countries that nurture innovation and innovators and those that don't - in a world where so many more people can turn ideas into products, services, companies and jobs faster and cheaper than ever. Putin is building a political monoculture that will make Russia the lowest of low imagination-enabling countries".

L'immaginazione è una funzione cognitiva indispensabile in ogni ambito delle nostre attività mentali.
Il vicentino Federico Faggin, inventore per conto di Intel del chip 4004 (il modello da cui è discesa gran parte dei processori successivi), in un'intervista al Sole 24 Ore, ha chiarito cosa significa pensiero creativo: «Sì, essere creativi significa saper pensare l'impensabile. È una meravigliosa proprietà del cervello umano che non è ancora ben compresa, e che non viene riprodotta dalle macchine che costruiamo. Gli algoritmi che usiamo per elaborare l'informazione sono totalmente deterministici, prevedibili. La creatività, invece, non è algoritmica: esce dagli schemi».

Gli Stati Uniti premiano l'innovazione e accolgono i migliori talenti mondiali. Chi ha fondato Google, Yahoo!, Ebay? Immigrati provenienti da tutto il mondo.

Sergey Brin di Google lasciò la Russia da bambino. Pierre Omidyar, fondatore di Ebay, è figlio diimmagrati iraniani; il fondatore di Intel Andy Grove è nato in Ungheria, Jerry Yang co-fondatore di Yahoo! è nato a Taywan. Elon Musk fondatore di PayPal è sudafricano.

Le idee devono essere messe in circolo. Non rimanere chiuse negli scantinati.

giovedì 10 ottobre 2013

Obama sceglie una supercolomba, Janet Yellen, al vertice della Federal Reserve

Dopo otto anni alla guida della Federal Reserve, Ben Bernanke lascia il posto a una donna, Janet Yellen, considerata - a livello di politica monetaria - una colomba, o addirittura, una ultracolomba, che predica: "è alla disoccupazione che bisogna guardare".
Sappiamo che il mercato, in modo semplicistico, distingue tra falchi - arcigni nemici dell'inflazione, il cui massimo esponente è stato Paul Volcker, capo della Fed dal 1979 al 1987 - e colombe, banchieri centrali più eterodossi e più disponibili a tenere in considerazione, oltre all'inflazione, anche la crescita economica.

Nata a Brooklyn nel 1946, laurea alla Brown University e PhD a Yale, debutta come assistant professor ad Harvard nel 1971. Poi si trasferisce a Berkeley, dove insegna macroeconomia.
La carriera pubblica inizia nel 1994 quando Bill Clinton la nomina nel board allargato della Fed. Nel 1997 viene nominata presidente del Council of Economic Advisers.

Nelle ultime riunioni del Federal Open Market Committee, l'organo decisionale di politica monetaria, Yellen ha sostenuto la posizione contraria al tapering, ossia alla riduzione graduale degli acquisti non convenzionali sul mercato dei bonds. La vicepresidente della Fed pensa che la ripresa in America sia ancora troppo gracile e che il sostegno di liquidità della banca centrale non venga interrotto. La disoccupazione al 7,5% è inaccettabile.
Pare che Yellen abbia portato a supporto uno studio proveniente da Berkeley University che evidenzia come nel 2012 il reddito disponibile sia sceso per il 99% della popolazione, e solo l'1% ha visto il proprio reddito salire.
In base agli ultimi dati portati da Edoardo Porter sul New York Times la famiglia media americana oggi ha un reddito di 51.000 dollari, sostanzialmente identico a quello di 25 anni fa. 36 anni fa gli americani sotto la soglia di povertà erano l'11,6% della popolazione. Oggi la percentuale di poveri è salita al 15%, da dal 1988 a oggi il Pil Usa è aumentato del 40%.
Così ha sintetizzato qualche tempo fa Barack Obama: "La maggior parte degli americani hanno goduto dei vantaggi offerti dalle nuove tecnologie, come gli smartphone o tante scoperte mediche, e tuttavia questo impressionante progresso tecnologico non si è tradotto in una maggiore sicurezza per la middle class".

Yellen è sposata con il premio Nobel per l'economia George Akerlof, il quale è conosciuto per i suoi studi di finanza comportamentale, ossia lo studio della psicologia applicata ai fenomeni economico-finanziari.
L'ultimo libro - che consigliamo - di Akerlof (con Shiller, 2009) è Animal Spirits: How Human Psychology Drives the Economy, and Why It Matters for Global Capitalism.

Sono decisamente convinto che Yellen sarà influenzata da Akerlof, in particolare in relazione all'importanza della narrazione e dello storytelling. Costretti a scegliere tra la verità e l'immaginazione, gli uomini continueranno a preferire le narrazioni seducenti e accattivanti.
Allora le considerazioni di Akerlof tornano attuali. Il quinto capitolo di Animal Spirits, intitolato Stories, inizia così: The human mind is built to think in terms of narratives, of sequences of events with an internal logic and dynamic that appear as a unified whole. Life could be just one damn thing after another if it weren’t for such stories. The same is true for confidence in a nation, a company, or an institution. Great leaders are first and foremost creators of stories”.

Alan Greenspan
Aspettiamoci quindi una Federal Reserve più trasparente ed esauriente, con una forward guidance (indicazioni sulla futura linea di politca monetaria, ndr) il più chiara possibile.
Forse potremo archiviare il pensiero dell'ex chairman della Fed Alan Greenspan, che sosteneva: I know you think you understand what you thought I said but I'm not sure you realize that what you heard is not what I meant”.

P.S.: per gli amanti della statistica, solo 17 su 177 banchieri centrali sono donne.
P.S./2: da leggere l'opinione su Yellen di Luigi Zingales oggi sul Sole 24 Ore
P.S./3: editoriale del New York Times di oggi  su Chairwoman Yellen

lunedì 7 ottobre 2013

Dai panettoni di Stato alle mense gestite dal Sindaco: il caso senza senso di Milano Ristorazione

Qualche decennio fa l'economia mista italiana ci ha regalato il caso, pessimo a livello gestionale, dei panettoni Motta e Alemagna gestiti dall'IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, creato da Mussolini nel 1933 e chiuso negli anni Novanta grazie al grandissimo Beniamino Andreatta (accordo Andreatta-Van Miert, per chi vuole approfondire).

Per quanto riconosca un ruolo importante dello Stato nell’economia come attore e mediatore di squilibri di mercato, l’esistenza di Milano Ristorazione non trova alcuna giustificazione. La scuola è pubblica ma non capisco perchè il mangiare dei bambini deve essere gestito da una S.p.A. partecipata al 100% dal Comune. Ma non sarebbe meglio affidare la gestione delle mense scolastiche a cooperative che danno lavoro a persone non nominate - dagli amici degli amici - ma assunte?

A livello comunale, destra e sinistra condividono l'idea che le mense delle scuole milanese vengano gestite dal Comune. Infatti nel 1999 la Giunta Albertini creò una nuova partecipata, Milano Ristorazione, con l'obiettivo di fornire i pasti a tutte le scuole e asili milanesi. Con tutte le partecipate del Comune di Milano, se ne sentiva proprio il bisogno!

Con tutti i problemi che ha il sindaco di Milano, è possibile che debba gestire anche le mense? Non si può lasciare questo compito al mercato? Perchè deve essere il Comune a nutrire i nostri figli? Dobbiamo pensare che il Comune sia più bravo e faccia da mangiare meglio? Non è evidentemente così.

Perchè Milano Ristorazione non può funzionare bene? Per mancanza di concorrenza. Qualsiasi fenomeno economico funziona per incentivi. Se questi non ci sono o sono distorti, l'economia non funziona. Siccome il Comune di Milano non può revocare il mandato della fornitura alle mense a Milano Ristorazione, questa partecipata non avrà alcun incentivo a fare bene, a migliorare il servizio, che lascia molto a desiderare. Solo con un enforcement bello e chiaro, Milano Ristorazione funzionerebbe.
Significa che se e solo se il Comune di Milano potesse dare disdetta al contratto di servizio, Milano Ristorazione, motivata da tale minaccia, sarebbe costretta ad essere competitiva. Invece non è così. Qualsiasi disservizio - l'ultimo è un'assemblea sindacale nel corso della mattinata che ha impedito di fornire il servizio mensa - non ha un costo tangibile, una conseguenza concreta. Se un genitore ha il figlio malato paga lo stesso il servizio mensa. Se il servizio non c'è per sciopero, si paga lo stesso. Se il cibo è immangiabile, il fornitore non si può cambiare. E' e sempre sarà - nei secoli dei secoli - Milano Ristorazione. Come nella Russia di Breznev, o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra.

Se anche ci fosse sul mercato un competitor che fornisse un servizio mensa a cinque stelle con lo stesso costo, il Comune non potrebbe utilizzarlo perchè Milano Ristorazione senza il mandato del proprio azionista - il Comune di Milano, appunto -, chiuderebbe seduta stante.

E' di questi ultimi giorni la notizia che l'iniziativa di Milano Ristorazione della giornata del cibo vegano è stata fallimentare. E' la solita gauche caviar che vuole estendere la mission delle società partecipate del Comune. In questo caso Milano Ristorazione non deve solo organizzare le mense scolastiche ma anche educare i bambini agli stili alimentari mondiali. Vaste programme, direbbe il Generale De Gaulle.

Il nutrizionista Giorgio Calabrese, con il quale sono in totale sintonia, ha dichiarato in passato: “Se la mole di cibo avanzata è di vasta portata, forse vale la pena riflettere sul tipo di menù proposto: le zuppe e le verdure i bambini non le mangiano nemmeno a casa. Hai mai sentito un bambino che ama il cavolfiore o l’orzo? Mi sembra che ci siano troppi alimenti di questo tipo. Non sono abituati a questi gusti, anche se sono ottimi per la salute finiscono per essere rifiutati e i bambini saltano parte del pranzo".

Nella giornata del menù vegano Milano Ristorazione ha speso 21.000 Euro per grano saraceno e tofu e 3.700 Euro per la salsa di soia. I miei figli mi hanno riferito che la totalità delle classi e degli insegnanti - dopo aver assaggiato il tofu - si sono astenuti dal continuare per manifesta incommestibilità.
Il paradosso è che con questa pessima qualità del cibo, le giornate educative diventano diseducative, perchè mai e poi mai un bambino diventerà vegano (meno male, eh).

Preparatevi alla prossima giornata fallimentare: 27 novembre, menù mediorientale. Genitori, segnatevi la data perchè alla sera i vostri figli saranno affamati!

Un'ultima notazione. Il consumo di frutta nelle mense scolastiche rasenta lo zero. Perchè Milano Ristorazione non copia McDonald che offre la frutta tagliata (e buonissima, provare per credere) in piccoli sacchettini? Basta scegliere un fornitore tra i tanti che consegnerebbe la frutta tagliata nelle singole scuole. E i consumi si impennerebbero. Allora sì che si farebbe una scelta educativa.

Caro Pisapia, si concentri sul traffico, sull'Expo, sul servizio anagrafe digitale, sui vigili che sono sempre in ufficio, sul funzionamento della macchina comunale, sugli emolumenti abnormi dei collegi sindacali delle partecipate del Comune, e lasci stare il servizio mensa nelle scuole. Ha di meglio da fare. Si concentri sulla gestione caratteristica.