mercoledì 22 gennaio 2014

Il lavoratore italiano tiene il suo TFR nell'impresa dove lavora. Errore sesquipedale. I fondi pensione, questi sconosciuti.

Purtroppo il mercato dei fondi pensione in Italia è sottosviluppato. La causa principale è da ricercarsi nel bassissimo livello di educazione finanziaria del lavoratore italiano.

Il dipendente italiano - che sia operaio, impiegato o quadro - preferisce detenere il proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR) presso il proprio datore di lavoro piuttosto che investirlo in modo proficuo sui mercati finanziari.

Il datore di lavoro, l'impresa italiana, fa di tutto per mantenere il TFR dei propri dipendenti presso si sè, al fine di avere una fonte di finanziamento a basso costo.
Così il lavoratore - che nella maggior parte dei casi non si avvale dei fondi pensione - si trova in questa spiacevole situazione:
1. sostiene un forte rischio di credito o rischio di controparte, per cui se il datore di lavoro fallisce o omette di pagare i contributi del TFR, la propria liquidazione va in fumo; è pur vero che c'è un fondo speciale presso l'Inps che interviene in caso di fallimento, ma spesso nascono controversie sull'effettività dei contributi versati.
2. perde i contributi obbligatori che il datore di lavoro è tenuto a versare per legge una volta che il lavoratore opta per i contributi per il TFR versati in un fondo pensione negoziale; se non esiste un fondo pensione di categoria/negoziale, si può sottoscrivere un fondo pensione aperto, beneficiando delle deduzioni fiscali (5.165 euro l'anno);
3. con l'inflazione in forte calo - siamo ormai sotto l'1% - il rendimento del TFR - stabilito per legge uguale al 75% del tasso inflazione a cui si aggiunge lo 1,5% è irrisorio. Nel 2014 siamo quindi nell'intorno dell'1,95% ricavato da: 0,6%x0,75%+1,5%.
Qualsiasi prodotto finanziario, anche a basso rischio, è in grado di dare un rendimento superiore (e nel rendimento va aggiunto il contributo "gratuito" del datore di lavoro, quando ci si può avvalere dei fondi negoziali).

Si potrebbe replicare - per migliorare lo stato dell'arte - quanto fatto nel Regno Unito dove da fine 2012 è stato introdotto l'auto-enrollment ai fondi pensione. Il dipendente è automaticamente iscritto al fondo pensione e ha la facoltà (opting-out) di uscirne entro 30 giorni.

In un suo lucido intervento su lavoce.info, gli economisti Luigi Guiso e Boeri hanno stigmatizzato l'operato del Ministro del Welfare Giovannini che tentenna nel mandare a tutti i lavoratori italiani la busta arancione, ossia una busta dove l'INPS informa sul futuro livello della pensione:
"Dare una previsione (sulla futura pensione, ndr) non vuol dire emettere una condanna; anzi insieme alla previsione noi crediamo che i lavoratori debbano ricevere anche informazioni su come mettere riparo a una potenziale scarsità di benefici pensionistici. Illustrare loro l’esistenza dei fondi pensione, come funzionano, i lori vantaggi fiscali e così via, dovrebbe essere parte integrante della busta arancione. In Svezia contiene informazioni anche sull’andamento della previdenza integrativa. L’informativa guidata deve servire per promuovere la previdenza complementare, che non decolla principalmente per ostacoli informativi. Sarebbe un’iniziativa da gestire insieme alla Covip (autorità di vigilanza sui fondi pensione, ndr).

Come altro definire questo atteggiamento se non "ignavia di Stato"? Chi – come i presidenti Inps e i ministri del Lavoro succedutisi finora (eccezion fatta per il ministro Fornero che si è mossa in controtendenza, ma è stata bloccata dal suo presidente del Consiglio proprio mentre stava per mandare le buste arancioni) – rifiuta di prendersi la responsabilità di informare i lavoratori italiani delle prospettive pensionistiche, per paura di essere loro stessi travolti da una crisi di consenso, non assolvono per ignavia al dovere a cui li chiama il loro ruolo".

Fino a che non verranno date informazioni corrette ai cittadini, questi saranno prigionieri dei deficit cognitivi che hanno consentito a Kahneman (psicologo) di vincere il Nobel per l'economia.

4 commenti:

  1. Ricevo e pubblico:

    Tfr comunque salvo, esiste un fondo inps speciale in caso di fallimento.
    Mi sembra che i fondi pensione non abbiano dato ottimi rendimenti negli anni passati ma sicuramente sbaglio e sicuramente erano in mano a sindacati ecc…

    AAP

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  2. Ricevo e pubblico:

    L'1,3% GARANTITO ANNUO sarebbe irrisorio nel 2014? E' molto di più di un tasso di interesse risk-free. L'Euribor a 12 mesi, ad esempio, è pari allo 0,57%. Questo vuol dire che il TFR lasciato in azienda rende il 128% in più rispetto al tasso di interesse risk-free di mercato, ed è garantito dall'Inps. Certo, non c'è la quota aziendale, ma non ci sono neanche le commissioni di gestione. Poi sì, una persona con una cultura finanziaria superiore può cercare di ottenere di più con un fondo pensione azionario (le cui commissioni di gestione annua sono in media dell'1,4% annue e il rendimento medio annuo degli ultimi 5 anni è stato miserrimo, vedi link) ma questo vuol dire fare speculazioni finanziarie con i soldi della propria pensione: Dio non voglia che ci sia un crollo di Borsa due mesi prima del giorno del pensionamento, con 30 anni di contributi dentro il fondo pensione azionario. E' per questo motivo, e solo per questo motivo, che gli italiani lasciano il TFR in azienda La vera rivoluzione sarebbe mettere in tasca al lavoratore i soldi del TFR, (che sono soldi suoi: nè dell'azienda, nè dell'Inps, nè dei fondi pensione), e che ne facesse quello che vuole: li spendesse, li investisse come vuole, ci rimborsasse il mutuo. Ma ovviamente questo non si fa: il lavoratore va trattato da bambino dodicenne, neanche troppo intelligente. http://www.covip.it/wp-content/uploads/FPN_Rendim_OrdAzn_20130715.pdf

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    1. L'errore che si fa spesso è di considerare l'investimento in un fondo pensione dal moneto t con zero. Invece l'investimento è graduale, simile a un piano di accumulo (PAC) per un fondo di investimento. Per cui, al di là dell'andamento del mercato in una fase congiunturale, il rendimento (considerato anche il positivo apporto del datore di lavoro) è SEMPRE positive su un orizzonte temporale di 5/10 anni. Non bisogna quindi fare l'errore di ipotizzare cosa fanno I mercati. Purtroppo la diffidenza del risparmiatore per I mercati azionari è tale per cui la sfida è molto ardua. Peggio per chi non ci crede. Avrà una pensione integrative molto più bassa di chi non ci ha creduto.

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  3. Il 13 ottobre 2014 su Repubblica, Tito Boeri fa notare che per il lavoratore sotto I 50 dipendenti, tenere il tfr in azienda è un deterrente al licenziamento. Infatti, in caso di difficoltà, l'imprenditore avrà convenienza a licenziare il lavoratore che ha potato per il fondo pensione, che non consente, contrariamente al tfr, il finanziamento a tassi favorevoli.

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