giovedì 30 settembre 2010

Crescenzio Sepe, la coerenza fatta persona

L’arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, domenica 19 settembre nella sua omelia ha pronunciato parole taglienti: “A Napoli non ci sono più neppure pane e speranza”. Il Duomo era affollatissimo di governatori in carica ed ex, presidenti di provincia e sindaci, tutti religiosamente in fila per baciare l’ampolla dove si era appena liquefatto il sangue di San Gennaro.

Ma la speranza da dove viene? Dalla coerenza dei comportamenti di chi ha ruoli dirigenziali ed istituzionali. L’indimenticabile Presidente della Repubblica Sandro Pertini (1896-1990) soleva dire: “I giovani non hanno bisogno di sermoni, hanno bisogno di esempi di onestà, coerenza e altruismohttp://www.youtube.com/watch?v=zNaPQnaQlrw&feature=related
Bene. Vediamo la coerenza di Sua Eminenza Crescenzio Sepe.

Il cardinale ha collaborato a stretto contatto con Angelo Balducci – nominato Gentiluomo di Sua Santità, finito in carcere per l’inchiesta sul G8, referente della cricca della Protezione Civile - alla fine degli anni novanta e durante il Giubileo dell'Anno 2000, dove il cardinale rivestiva il ruolo di Segretario del Comitato Vaticano per il Giubileo. Nel 2001, il cardinale diviene Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide).
Nel 2010 è stato iscritto al registro degli indagati dalla Procura di Perugia, insieme all'ex ministro dei trasporti Pietro Lunardi, per dei sospetti e delle incongruenze riguardanti la manutenzione della facciata del palazzo di Propaganda Fide (detentrice di un patrimonio stimato superiore a 9 miliardi di euro) in Piazza di Spagna, che con grande fantasia topografica, pur essendo un palazzo di proprietà dello stato della Città del Vaticano e godendo di extraterritorialità è stata finanziata, ma non portata a termine, dallo Stato Italiano. L'accusa della magistratura – il reato contestato è corruzione http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_19/sepe-lunardi-indagati-corruzione-g8-perugia_380efaea-7bdb-11df-aa56-00144f02aabe.shtml - è che l'ex ministro abbia finanziato tali lavori in cambio di appartamenti di proprietà dell'organizzazione concessi a prezzi estremamente bassi al ministro e a altre persone. L'indagine è tuttora in corso. Sepe è riuscito con successo – per intanto - a far assumere suo nipote presso l'ANAS.

Non crediamo sia inutile ricordare che il predecessore di Sepe era Michele Giordano, accusato di usura (poi assolto da ogni addebito, con i processi all’italiana, si va sempre a babbo morto).
L’Arcivescovo, a quanto si dice, possiede un passaporto diplomatico della Santa Sede. Magari gli potrà servire. Come a Monsignor Marcinkus nel caso del Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2003/09_Settembre/29/calvi_scheda.shtml

Giorni fa, una settantina di autisti dei camion che raccolgono i rifiuti a Napoli si mettono in malattia (aspettiamo invano un sindacalista - ne basta uno! – che dica che stare a casa in malattia fasulla di gruppo è una truffa ai danni dello Stato). I rifiuti iniziano ad accumularsi in strada. E le tonnellate di rifiuti avanzano. La solita storia. L’Italia vive in perenne emergenza.
Pensiamo cinicamente che i camionisti napoletani abbiano trovato conforto – così fan tutti è il solito slogan - nei comportamenti del loro cardinale.
Sua Eminenza, sa cosa direbbe le la mia insegnante delle Elementari? “Da che pulpito viene la predica!”.

martedì 28 settembre 2010

Franco Modigliani, avventure di un economista (Seconda Parte)

Franco Modigliani, nato a Roma nel 1918 e morto a Cambridge (Massachusetts il 25 settembre 2003) nel suo libro Avventure di un economista (Laterza, 1999) racconta degli episodi della sua vita che trovo veramente significativi.

Arrivato negli States mi fu subito evidente come il sistema universitario fosse più umano ed efficiente rispetto alla insopportabile impersonalità delle università italiane: pochi baroni che insegnavano a masse di studenti sconosciuti, attorniati da piccole folle di petulanti e servili assistenti. Il cameratismo e l’amicizia che spesso nascono tra professori e studenti è una delle caratteristiche dell’insegnamento superiore degli stati uniti e una delle ragioni del suo indubbio successo”.
Nel 1955 tornai in Italia come lettore. La mia impressione negativa fu fortissima. Avevo scordato quanto profonde fossero le differenze fra il sistema di educazione universitario negli Stati Uniti e in Italia. Il sistema italiano era una struttura a tre caste, in cui i pochi, e per la maggior parte anziani professori, occupavano la casta superiore, immediatamente inferiore a Dio, mentre un gruppo consistente di speranzosi e servili assistenti rappresentava la seconda casta, lo strato intermedio, e gli studenti, dei quali nessuno si occupava, costituiscono la base della piramide”. Ci chiediamo se sia cambiato qualcosa dal 1955 ad oggi.
Il Rettore dell’Università di Roma mi definì, mentre ero già full professor, un “giovine promettente”. Modigliani racconta anche un altro episodio emblematico. In occasione di un convegno di economisti a Washington, il professor Corrado Gini – famosissimo statistico, inventore dell’indice di Gini sulla concentrazione del reddito e della ricchezza – tirò fuori l’orologio dal taschino e chiese a Modigliani: “Senta, ieri mi si è rotto l’orologio, me lo potrebbe far accomodare, per cortesia, e poi me lo fa recapitare in albergo?”. Modigliani rispose che la richiesta avrebbe dovuto farla al garzone della portineria dell’albergo. “Così si saggiava di che pasta eri fatto. Quanto eri in grado di subire pur di accattivarti la benevolenza del capo. Questa è una delle origini profonde della crisi italiana. Perchè una classe dirigente che è stata selezionata in base alla sua capacità di subire umiliazioni, di non avere amor proprio, è quella che non è in grado di guidare l’Italia”.
In relazione al rapporto con gli studenti, Modigliani ricorda: “Negli Stati Uniti professori e studenti hanno sempre ragionato insieme, mangiato insieme, vissuto negli stessi luoghi. Ricordo il silenzio assoluto degli studenti mentre facevo lezione a Roma. A un certo punto mi spazientii e dissi loro: “Ma insomma, non avete proprio niente da criticare delle cose che sto dicendo?”. Spesso dico ai miei studenti: “Fate domande, cercate di capire veramente le cose. Io non ho delle verità rivelate, pongo delle domande, ma non ho delle risposte certe; l’economia non è una scienza esatta”.

Come Carlo Azeglio Ciampi che saltò la quinta elementare e la terza liceo - Franco Modigliani saltò una classe; decise di saltare la terza liceo in un periodo in cui la licenza liceale era durissima. “Lavorammo come bestie”, racconta. E quell’anticipo fu decisivo perchè gli consentì di laurearsi nel 1939 prima di partire per gli Stati Uniti, fuggendo dall’Europa nazi-fascista. “Arrivammo negli USA il 28 agosto 1939, tre giorni prima che Hitler invadesse la Polonia e scoppiasse la guerra”.
A rileggere le avventure di Modigliani - dove la ricerca della libertà è stata decisiva - mi è venuta in mente una lettera al Financial Times di settimana scorsa, di una sintesi assoluta. Mr Raj Dorai scrive il 18 settembre: “Sir, £25 to see the Pope. God comes free”.
E’ proprio vero che le lettere del FT sono meglio di alcuni editoriali dei giornali nostrani.

lunedì 27 settembre 2010

Franco Modigliani, avventure di un economista

7 anni fa, il 25 settembre 2003 moriva l’economista Franco Modigliani – Premio Nobel per l’economia nel 1985. La sua vita è stata in modo suggestivo raccontata con l’aiuto di Paolo Peluffo – biografo di Carlo A. Ciampi - in Avventure di un economista, Laterza, 1999.


Sono andato a rileggerlo così da poter mettere in luce alcuni passaggi interessanti.

Modigliani nel corso dei suoi studi – ci permettiamo di riassumere, beninteso – ha sviluppato due temi, che gli hanno consentito di vincere il Premio Nobel:

1) La teoria del ciclo vitale del risparmio (CVR)
2) Il Teorema Modigliani-Miller (Mo-Mi)

Vediamole:

1) “Non avevo mai digerito la teoria che il risparmio fosse il privilegio dei ricchi e che fosse destino dei poveri consumare più del reddito...La mia idea fin dalla fine degli anni Quaranta era che la variabile da osservare fosse non il reddito assoluto, ma piuttosto il rapporto tra il reddito corrente e il reddito normale che una persona poteva attendersi. Risparmia molto (o poco) non chi è ricco (o povero), ma chi è transitoriamente ricco (o povero)”.

In sostanza Modigliani ha dimostrato che l’età centrale della vita di un uomo è il periodo di vacche grasse, cui segue un ridursi notevole della capacità di guadaganre (il pensionamento), quando il risparmio diventa negativo.

L’entità del consumo scelto in un particolare periodo della vita dipendeva dal totale delle risorse disponibili durante l’intera vita e non dal reddito disponibile in quel determinato periodo.

Il CVR implica quindi che: a) il risparmio nazionale dipende dal tasso di crescita del reddito (e non dal suo livello); b) il saggio di risparmio di un dato Paese è del tutto indipendente dal reddito pro capite (ecco una delle ragioni per cui in Cina la propensione al risparmio è intorno al 45% del reddito).

2) “Nel 1957, Merton Miller e io producemmo due articoli, uno firmato Modigliani-Miller, e l’altro Miller-Modigliani – da cui il nomignolo Mo-Mi e Mi-Mo.
Mo-Mi sostiene che in un mercato dei capitali perfetto, la struttura finanziaria dell’impresa – ovvero il rapporto fra indebitamento e capitale azionario – non influisce sulla valutazione di mercato dell’impresa intera...Mo-Mi dimostrava infatti che, con mercati ben funzionanti e non distorti, la struttura finanziaria non dovrebbe influenzare il valore di mercato dell’impresa...Quindi sostituire il capitale azionario con il debito può sì aumentare il tasso di rendimento atteso del capitale di rischio, ma a costo di aumentarne il rischio. Come si può affermare, allora, che un aumento di profitto atteso, in cambio di maggior rischio, è davvero vantaggioso per gli azionisti?”. Questa ultima affermazione è attualissima se pensiamo alle numerose operazioni di private equity compiute negli anni di bonanza prima della crisi con una leva finanziaria elevatissima. “Anche la massimizzazione del profitto atteso è un precetto del tutto insoddisfacente, in quanto non tiene conto del rischio”.

Franco, we miss you.

venerdì 24 settembre 2010

The intelligent investor? Non gioca, investe


Con grande sorpresa, il Cesena Calcio http://www.cesenacalcio.it/ fino al turno infrasettimanale era primo in classifica – con l’Inter, beninteso. Grandissima prestazione, direi.


Dal 2007 il Presidente del Cesena è Igor Campedelli, 36 anni. E’ euforico perchè la sua squadra è riuscita a battere il Milan con soli 8,3 milioni di euro di stipendi annui per tutta la squadra, meno di quanto costa all’anno il solo Slatan Ibrahimovic. In una recente intervista, Campedelli ha dichiarato: “Quando sento dire che il calcio è un giocattolo, vado in bestia”. Lo stesso posso dire io quando mi sento dire: “Giochi in borsa?”. Ma quale gioco! La borsa è una cosa seria. Investire è un’attività che richiede competenza, lucidità, senso critico, analisi, studi, sangue freddo, incontri con il management. E mi fermo qui per ragioni di spazio.
Allora andiamo a rileggere The Intelligent Investor (1949!, Harper Business Essentials), del mio omonimo Benjamin Graham (1894-1976), il padre del value investing, autentica leggenda per chiunque si dedichi all’investimento in azioni. In questa specie di Bibbia, Graham enunciava la necessità di ignorare le turbolenze che continuamente scolvolgono o mercati, concentrandosi sulla valutazione delle singole società.
Le caratteristiche del tipo di investitore evocato da Graham, ad oltre sessant’anni di distanza, nella loro disarmante semplicità consentono ancora di sintetizzare i principi essenziali ai quali è bene ispirarsi quando si pensa all’investimento azionario.
L’investitore intelligente:
1. Non tenta di prevedere la direzione del mercato azionario;
2. Non modifica frequentemente la struttura del proprio portafoglio;
3. Ha più interesse ai risultati a cinque anni che per quelli a uno;
4. Non diversifica eccessivamente i propri investimenti;
5. E’ estremamente selettivo.

Giocare è esplorare l’ignoto. E’ lasciarsi andare. Il bambino ama imparare nuove mosse, fare domande indiscrete, aprire orizzonti fantastici. Prima o poi il bambino smette di giocare, fa qualcosa che sa fare, che capisce e da cui trae un utile. Ma non è più gioco.
Allora cerchiamo di rispettare il precetto di Italo Calvino – Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, Mondadori) sull’esattezza. Non sprechiamo le parole, facciamo uno sforzo per esprimerci correttamente. Le parole sono importanti: “Chi parla male, pensa male e vive malehttp://www.youtube.com/watch?v=91BTOjDQDjg
http://www.youtube.com/watch?v=qtP3FWRo6Ow (Nanni Moretti in Palombella Rossa, 1989).

giovedì 23 settembre 2010

Profumo e il coltello in bocca


Altro che libici! La cacciata di Alessandro Profumo da Unicredit è il frutto del capitalismo relazionale italiano - http://www.unibg.it/dati/persone/2806/3285-Il_capitalismo%20all .
Nelle grandi cassaforti della finanza italiana politici arrembanti (attraverso le anacronistiche Fondazioni) e azionisti deferenti si allenano per far fuori manager disobbedienti.
Profumo ha sempre impersonato il CEO che segue le logiche di mercato, lontano dalle stanze del potere. In un convegno di qualche anno fa Profumo aveva osservato che la selezione della classe dirigente in Italia sia affidata a una “cooptazione collusiva: io mi considero una distrazione di questo sistema”. E l’ha pagata cara. Domenica pomeriggio al funerale della moglie di Ligresti ha detto a bruciapelo a un suo amico: “Mi hanno fottuto”.
I termini dell’uscita, indipendentemente dai numerosi meriti e dagli errori (in primis l’acquisizione di Capitalia) di Profumo sanciscono in modo forse definitivo la fine della storia di Unicredito dalla privatizzazione, periodo durante il quale la presenza incisiva di un nucleo di azionisti privati orientati al reddito e a supporto di un management capace ha permesso per lungo tempo di gestire la banca in funzione di scelte finalizzate principalmente all’aumento del valore della stessa. Nei tredici anni da amministratore delegato, la capitalizzazione di Unicredit è passata da 1,5 a 37 miliardi di euro.
Concordiamo con Giavazzi http://www.corriere.it/editoriali/10_settembre_22/giavazzi-grave-errore_aa024ec8-c608-11df-89af-00144f02aabe.shtml : “Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso...) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali. Una banca unica è più efficiente, ha costi inferiori ed è in grado di offrire ai propri clienti (aziende e famiglie) credito e servizi a condizioni più favorevoli. È evidente che se fossero i clienti a decidere sceglierebbero una banca unica; ma non sono loro, e gli interessi dei grandi azionisti di Unicredit non coincidono con quelli dei suoi clienti. Per creare una banca unica è necessario smantellare tanti piccoli feudi, ciascuno con i suoi interessi locali, con le sue parrocchie e le sue poltrone da difendere”.
E’ triste vedere una delle banche più grandi d’Europa non preparare la successione in modo serio. Non si sta parlando della tabaccheria sotto casa. Il successore si sceglie prima, con calma, con garbo, dandosi il tempo per riflettere sulla scelta del successore.
L’altra sera, una volta firmate le dimissioni, a mezzanotte e dieci Profumo torna in Unicredit. Attorno a lui, per l’ultima volta il top management: «Dovete essere fieri di quello che abbiamo costruito in questi anni - è il testamento dell’ad - ma adesso dovrete anche lottare con il coltello in bocca per l’indipendenza della banca”.

mercoledì 22 settembre 2010

La fatica è bella




Quest’estate con mia moglie e i miei due figli - Allegra e Francesco - ero in vacanza in un’isola splendida, Minorca. Verde, tanta natura, bassa densità di turisti, mare cristallino, niente ressa all’italiana.
Quando si trattava di andare in spiaggia, una volta preparati panini, frutta e beveraggio, partivamo alla ricerca di spiagge difficili da raggiungere, dove per raggiungere l’agognata meta era necessario camminare almeno mezz’ora.
Mentre Francesco è un grande atleta, corre sempre e cammina con grande piacere anche su sentieri impervi, Allegra è una gran pigrona e per trascinarla bisogna inventarsi ogni volta l'impossibile.
Però un giorno quando siamo arrivati in un luogo meraviglioso - Cala Trebaluger - Alli ha respirato intensamente e poi mi ha detto: “Papi, la fatica è bella”. Queste sono soddisfazioni!

E' nel viaggio la bellezza, è nell'effort il piacere.

Ai miei studenti ripeto in continuazione: basta surfare su google, andate in profondità, studiate, sforzatevi di capire veramente la materia, svisceratela. Umberto Eco - dall’alto della sua saggezza - conversando con gli studenti ha detto: “Se ad un esame dovete studiare cento pagine, voi studiatene trecento. Andate contro la legge. Perchè alla fine della fiera ci sarà un dieci per cento di voi che avrà lavorato e sarà l'élite. Gli altri, che avranno seguito la legge, saranno dottori al parcheggio....Vi assicuro che nessuno è mai morto per la fatica, a 24 anni si può fare, si hanno tanti neuroni quanti spermatozoi".

Peccato che la maggioranza degli studenti sia svagata, distratta e disattenta. Insofferente all’approfondimento. Winston Churchill - primo ministro inglese dal 1940 al 1945, in un famoso discorso alla Camera dei Comuni il 13 maggio 1940 disse: “Invito ora il Parlamento ad approvare una risoluzione che registri il suo consenso per i passi intrapresi e dichiari la sua fiducia nel nuovo governo.
La risoluzione:
"Il Parlamento approva la formazione di un governo che rappresenta l'unità e l'inflessibile determinazione della nazione di proseguire la guerra con la Germania fino ad una conclusione vittoriosa"... Dico al Parlamento come ho detto ai ministri di questo governo, che non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più terribile delle ordalìe. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza
”.

A coloro che si accontentano delle slides di 10 anni fa e dei riassuntini dico: per avere soddisfazione nello studio, vale il motto di Allegra: la fatica è bella.

martedì 21 settembre 2010

Vuoi passare l'esame? Segui il metodo Ciampi


Visto che la sessione d'esame di venerdì scorso all'Università di Bergamo - dove insegno Economia e Tecnica degli Scambi Internazionali - si è rivelata così così - nel senso che gli studenti presenti NON frequentanti sapevano ben poco, per stemperare un po' il mio malumore, voglio farvi conoscere il Metodo Ciampi per superare in modo brillante gli esami universitari.

Il nostro Presidente Emerito Carlo Azeglio Ciampi nel suo recente Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano (Il Mulino, 2010) così racconta: "Ormai avevo una mia tecnica per gli esami: riuscivo il più delle volte a condurre l'esame sui sentieri che mi erano favorevoli. Mi accorsi che anche con una preparazione superficiale riuscivo a fare ottime figure, tant'è che presi trenta e lode in tutti i biennali di legge più importanti.
La mia tecnica era questa: quando mi si faceva la domanda, se era una domanda alla quale era facile rispondere non rispondevo subito, pigliavo tempo e dicevo:
"Ritengo opportuno promettere alcune cose", e allungavo i tempi della mia risposta. Partendo dall'idea che tanto l'esame dura un certo tempo, diciamo una mezz'ora, quanto più lo occupi, meno domande hai a cui rispondere. Se poi la domanda per me non era facile, partivo dal'idea che premettendo altre cose si perdeva tempo e spesso il professore si dimenticava della domanda fatta".

Per non ingenerare l'impressione che Ciampi fosse uno studente pigro, è d'obbligo aggiungere alcune cose:
1) Ciampi si è laureato in Lettere alla Scuola Normale di Pisa - come noto eccellente centro di formazione. "Queste piccole furbizie non le conoscevo quando facevo lettere, ero uno sgobbone e basta...Effettivamente si studiava come dei pazzi".
2) Ciampi iniziò la carriera di insegnante e poi si è laureato in Giurisprudenza;
3) Ciampi - quando iniziò la carriera in Banca d'Italia - studiò macro, microeconomia e statistica da solo "In cui all'inizio non capivo niente. Fu un periodo in cui veramente lavorai come un matto".

Per chiudere, vorrei esaltare la figura di Carlo Azeglio Ciampi. Ho sempre la pelle d'oca quando a lezione porto agli studenti l'articolo del 26.11.1996 del Financial Times - The quest for Emu: Italy home but not dry, di Lionel Barber - in cui in occasione delle negoziazioni per il rientro della lira nel Sistema Monetario Europeo, i diplomatici tedeschi con l'arcigno Governatore della Bundesbank Tietmeyer dissero: "Ciampi gave the performance of his life". Per la cronaca, la lira italiana rientrò a 990 contro marco (mentre i tedeschi insistevano per valori vicini alle 900 lire per un marco) per tutelare le ragioni delle nostre imprese esportatrici. Questa parità sarà poi la parità definitiva per la definizione delle parità contro il nascente Euro.

E agli studenti evanescenti e superficiali ripeto le parole di Carlo Azeglio: "Studiare come un forsennato vuol dire scavare i problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni". Noi professori dobbiamo spiegare ai giovani la bellezza e la durezza della realtà, dello studio, del lavoro, della vita: il discrimine tra la vacanza e il lavoro, tra la ricreazione e l'impegno, tra "stare al mondo e vivere" (Seneca).

lunedì 20 settembre 2010

Paolo Baffi, Governatore integerrimo


Esattamente 31 anni fa - il 20 settembre 1979 - Paolo Baffi si dimise da Governatore della Banca d’Italia. Le dimissioni di Baffi furono accolte dal Consiglio Superiore "con effetto a partire dalle ore 24 del 7 ottobre 1979". Cogliamo quindi l’occasione per ricordare una persona modello, un meraviglioso civil servant.
Proveniente da una famiglia con pochi mezzi economici - il padre Giovanni emigrò in Argentina, “donde rientrò qualche tempo dopo per difetto di fortuna” - la madre vedova all’età di 22 anni allevò il figlio Paolo fino alla laurea (1932) lavorando come sarta.
Allievo di Giorgio Mortara all’Università Bocconi, nel 1936 entra in Banca d’Italia.
Nel dopoguerra Baffi contribuì a disegnare la “linea Einaudi” di riequilibrio monetario. Fu l’anima intellettuale ma anche l’organizzatore e la guida del Servizio Studi.
Dal 1960 al 1975, quando le crescenti difficoltà dell’economia chiamarono la politica monetaria a compiti nuovi, Baffi operò per adeguare gli strumenti e la struttura interna della Banca, per elevare il livello professionale del personale.
Nel 1975, nominato Governatore, all’inizio di quello che avrebbe ricordato come “il mio quinquennio di fuoco”, si dispiegarono gli effetti recessivi dei rincaro dei prezzi petroliferi: per la prima volta dal dopoguerra il reddito nazionale diminuì. Baffi era preoccupato che la restrizione monetaria provocasse effetti rovinosi sull’economia.
Il cuore della sua analisi è enunciato nelle sue prime Considerazioni finali nel 1976 scrisse: “Dall’inosservanza, nella politica di bilancio e in quella retributiva, di regole compatibili con la stabilità monetaria, derivano due conseguenze. La prima, che la capacità del sistema creditizio di operare come meccanismo di allocazione delle risorse è menomata; la seconda, che l’autorità è indotta a tentare di ristabilire quella compatibilità mediante interventi di carattere amministrativo”.
Baffi contribuì a guidare l’economia verso il riequilibrio dei conti con l’estero e il ripristino del merito di credito. Ciampi ricorda: “Nei consessi internazionali, il Suo prestigio aiutò a ristabilire un clima di fiducia; accrebbe la disposizione della comunità internazionale a sostenere lo sforzo dell’Italia verso condizioni economiche e finanziarie più ordinate”. Il contenimento dell’inflazione e il riequilibrio dei conti con l’estero permisero di non mancare, nel 1978-79, l’appuntamento con il Sistema Monetario Europeo - in cui entrammo con la banda larga del 6%. Storiche furono le negoziazioni di Baffi con il Governatore della Bundesbank Emminger.
Il 1979 è un anno terribile. Il 29 gennaio a Milano viene assassinato dai terroristi di Prima Linea il giudice Emilio Alessandrini. Il 20 marzo Michele Sindona viene incriminato dalla magistratura americana per la bancarotta della Franklin National Bank. Sempre il 20 marzo viene assassinato a Roma Mino Pecorelli, direttore dell’Agenzia “OP”, specialista in scandali, depistaggi, in combutta con i servizi segreti. Il 24 marzo Ugo La Malfa - che si rifiutò di convocare il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio al fine di bloccare l’aumento di capitale di Finambro di Sindona - viene colpito da un ictus. Morirà due giorni dopo.
Il 24 marzo si presentano in Banca d’Italia i carabinieri e arrestano Mario Sarcinelli, responsabile della Vigilanza e sequestrano il passaporto a Baffi (non lo arrestano solo per limiti di età). A Baffi fu impedito di andare a Basilea ai consueti consessi mensili dei banchieri centrali europei presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, dove rappresentava l’Italia con notevole prestigio. Vengono accusati di interessi privati in atti d’ufficio e di favoreggiamento personale.
La verità - si saprà anni dopo - è che la P2 - su pressione della Democrazia Cristiana e dei soggetti economici vicini agli esponenti democristiani (Sindona, Caltagirone, Calvi, Italcasse) organizzò una manovra d’attacco alla Banca d’Italia servendosi di due suoi iscritti: l’inqualificabile giudice istruttore Infelisi e il pm Alibrandi, che si permise di trattare in modo violento e ostile Baffi durante l‘interrogatorio (Alibrandi allevò “meravigliosamente” il figlio - eversore di destra e membro dei NAR verrà ucciso anni dopo in uno scontro a fuoco con la polizia).
Le principali colpe dei due?
1) aver fatto sciogliere il cda dell’Italcasse, cioè del più importante istituto di credito dominato dal potere DC;
2) aver ordinato un’ispezione presso il Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi;
3) l’opposizione ferrea ai piani di salvataggio delle banche di Sindona.
Naturalmente Baffi e Sarcinelli vennero scagionati anni dopo per l’assoluta insussistenza delle accuse.
I migliori economisti italiani - Caffè, Andreatta, Spaventa, Savona, Monti, Tarantelli, Reviglio e altri - il 2 aprile 1979 firmano una dichiarazione a favore di Baffi e Sarcinelli e contro l’ignobile attacco.
L’ineffabile Andreotti scrive nel suo diario: “Per reagire contro l’arresto di Sarcinelli e l’avviso a Baffi un gruppo di professori firma una dichiarazione-manifesto. Temo che non giovi a trovare una rapida via d’uscita”.
Marco Vitale commenta: “Ho sempre sostenuto che la nomina di Paolo Baffi a Governatore della Banca d’Italia è stata l’unica riforma di struttura degli anni settanta. Non è dunque un caso che Baffi e Sarcinelli siano trattati come malfattori. Così come non è un caso che tutta l’Italia seria ha subito compreso il significato politico dell’episodio e dice a Baffi e Sarcinelli: resistete….In realtà questa Banca d’Italia seria dava fastidio e meritava una lezione”.
Ma Baffi, dolente figura di uomo di Stato ancorato ai principi della corretta amministrazione, non rimarginò mai più quella sua ferita. Nelle Considerazioni finali del 1979 Baffi scrisse: “Ai detrattori della Banca, auguro che nel morso della coscienza trovino riscatto dal male che hanno compiuto alimentando una campagna di stampa intessuta di argomenti falsi o tendenziosi e mossa da qualche oscuro disegno”. Ma nelle memorie consegnate a Massimo Riva e pubblicate su Panorama l’11 febbraio 1990 - che potete trovare al link http://www.unibg.it/dati/persone/2806/3147-Memorie_Paolo_Baffi_IParte.pdf; http://www.unibg.it/dati/persone/2806/3146-Memorie_Paolo_Baffi_IIParte.pdf - Baffi commentò: “Queste parole piuttosto pacate non danno certo misura dell’amarezza e dello sdegno che io provavo in quei giorni: ma se vi avessi dato sfogo, forse mi sarei procurato nuove incriminazioni.”
Padoa-Schioppa aggiunge: “Proprio quell’urto - che veniva da un uomo schivo, all’antica, profondamente rispettoso dell’autorità dello Stato e del primato della politica - è il servizio che Baffi ha reso all’Italia
”.
Ma non vogliamo ridurre la figura di Baffi a questo episodio. Siamo d’accordo con
Ciampi: “La dignità di cui Paolo Baffi diede esempio ne ha innalzato la figura; ma farebbe torto all’elevatezza delle Sue doti, alla vastità e molteplicità della sua opera, chi incentrasse su quella dolorosa vicenda la Sua memoria”.

Mio padre - grazie papà, sono sicuro che apprezzeresti questo post - mi ha insegnato con lungimiranza a costruire e tenere aggiornato un archivio. Fin dai 15 anni. Alcuni mi ha consigliato di digitalizzarlo. Vedremo. Fino ad oggi ha funzionato benissimo cartaceo.
Ecco l’autorevole giudizio di tre Governatori della Banca d‘Italia - tratte dai miei amati ritagli.
Mario Draghi: “Per oltre mezzo secolo la vita della Banca d’Italia è stata segnata dall’opera e dal pensiero di Paolo Baffi. Da quando entrò giovanissimo in Banca d’Italia sino agli ultimi anni come Governatore onorario, con il suo esempio contribuì a plasmare questa istituzione con la serietà e il rigore”.
Carlo Azeglio Ciampi: “La sua sola presenza scoraggiava ogni superficialità; innalzava la soglia della valutazione morale e professionale degli uomini; contribuiva a dare un senso sicuro al mandato e alle azioni di chi è chiamato a responsabilità pubbliche…La sua opera fu decisiva, sin dal Suo ingresso nel nostro Istituto, nell’affermare un metodo di lavoro: quello che nel rigore dell’analisi e nell’indipendenza del giudizio vede innanzitutto un dovere, uno dei modi attraverso i quali si estrinseca la funzione della Banca, al servizio della collettività”.
Luigi Einaudi: “Di Paolo Baffi dirò solo che la stima che di lui hanno gli studiosi di cose economiche è siffatta che reputarono l’anno scorso degno di essere eletto, lui estraneo alla carriera universitaria, socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei”.

Quando i tempi sono tristi, bisogna guardare in alto alla ricerca di esempi positivi. Nel cielo degli onesti e dei competenti è presente di diritto Paolo Baffi, nato a Broni (PV) il 5 agosto 1911 e morto a Roma il 4 agosto 1989.

giovedì 16 settembre 2010

Storytelling e Mille e una notte






Roberto Escobar – filosofo e critico cinematografico – in uno splendido saggio - Il Silenzio dei persecutori, Il Mulino, 2001 – nell’affrontare temi ben più tosti, nell’ultimo capitolo illustra l’importanza della narrazione, attraverso il coraggio di Shahrazàd.
E’ proprio la miseria narrativa dei persecutori che deve essere vinta, se si hanno a cuore le sofferenze delle vittime”. Io – se mi si permette il volo pindarico - vorrei disegnare un parallelo tra i persecutori e i mercati finanziari, che vigilano, “perseguitano”, mettono in continuazione sotto osservazione le società quotate, i debiti pubblici dei Paesi, i corporate bonds, le valute. E il mercato finanziario "persecutore" da cosa si fa irretire? Dalle storie che raccontano i Ministri economici – che influenzano sensibilmente i titoli di stato e le valute – gli amministratori delegati – che incidono sui prezzi delle azioni e i corporate bonds quotati.
In sostanza i CEO e i Ministri devono convincere e persuadere gli operatori a investire nelle attività presentate. E se è così, diventa fondamentale la capacità di raccontare, lo storytelling. Nelle parole di Escobar: “Occorre dunque liberare la nostra capacità di inventare, narrare, moltiplicare i racconti. C’è un corpo tradizionale di storie che di questa moltiplicazione ci suggerisce il valore. Giunto fin nel nostro mondo, ha un titolo significativo: Le Mille e una notte”.
La giovane Shahrazàd è alle prese con l’ossessione omicida del re Shahriyàr. Per eludere il suo comando di morte, la figlia del visir, coraggiosa e accorta, ricorre alla prassi esile e precaria di moltiplicare senza fine le narrazioni. E “Quanto più ricche e differenti e vive sono le narrazioni, tanto più ricche e differenti e vive sono le vite”.
Panebianco recentemente ha scritto sul Corriere della Sera: “Costretti a scegliere tra verità e immaginazione, gli uomini continueranno a preferire le narrazioni seducenti e accattivanti, soprattutto quando escono da una buona penna”.
Ma il testo di riferimento è Animal Spirits (G. Akerlof-R. Shiller, 2009), capitolo V, Stories, che inizia così: “The human mind is built to think in terms of narratives, of sequences of events with an internal logic and dynamic that appear as a unified whole. Life could be just one damn thing after another if it weren’t for such stories. The same is true for confidence in a nation, a company, or an institution. Great leaders are first and foremost creators of stories”.
Allora, se le storie e la narrazione sono così importanti per il destino di una società e di una nazione, cerchiamo di usare la testa quando gli amministratori delegati raccontano il migliore dei mondi possibili. Quando, per esempio, il CEO - Chuck Prince nel luglio 2007– di Citigroup disse: “Finchè l’orchestra suona noi continuiamo a ballare” nessuno osò contraddirlo.

Quando abbiamo delle risorse da investire, non facciamo come i guidatori della domenica con il cappello, ma rivolgiamoci in modo costruttivo a gestori di razza e con un track record significativo. Non facciamo i baluba con l'anello al naso e la sveglia al collo. Combattiamo la nostra pigrizia.

Non buttiamoci da dilettanti a fare i trader sulla borsa italiana. Non scommettiamo sul prezzo dell'oro o dell'argento, ma investiamo - Investire e fare trading sono due cose molto diverse e vi invitiamo a leggere Against the gods. The remarkable story of risk di Peter Bernstein (su Amazon a soli 13,57$ http://www.amazon.com/Against-Gods-Remarkable-Story-Risk/dp/0471295639) - in società competitive, guidate da un management serio (no CEO faso tuto mi), avverse a operazioni unfair per gli azionisti di minoranza, con conti in ordine e patrimonio equilibrato, senza rapporti eccessivi tra debito e equity.

Per condividere la meraviglia delle storie che si intrecciano sorprendentemente nella nostra vita, concludiamo con il filosofo tedesco Odo Marquard, Apologia del caso, Il Mulino, 1991: “Chi, attraverso la vita e il racconto, prende parte a molte storie, volta a volta tramite una storia trova la sua libertà nei confronti via via delle altre e viceversa, trovandosi agli incroci di molteplici interferenze”.

mercoledì 15 settembre 2010

Vietare lo short selling? Sbagliato e controproducente



Michel Barnier – il commissario UE ai servizi finanziari – ieri ha presentato a Bruxelles la bozza di regolamento che mira a stabilire più regole per il mercato dei credit default swaps e porre dei limiti sulle vendite allo scoperto, alias short selling. La nuova normativa dovrebbe entrare in vigore dal 1° luglio 2012, previo passaggio in Consiglio dei Ministri e Parlamento.
Secondo la proposta, i regolatori nazionali avranno il potere, in situazioni eccezionali, di limitare temporaneamente o di vietare le vendite allo scoperto per qualsiasi strumento finanziario.
Vietare le vendite allo scoperto? Sbagliato e controproducente. Sbagliato perchè impedisce ai mercati di "punire" il mismanagement; controproducente perchè favorisce le bolle speculative (qualcuno si ricorda sul mercato italiano i casi Tiscali, Finmatica, Seat?).
Ci viene in soccorso Raghuram Rajan – di cui si consiglia l’ottimo Salvare il capitalismo dai capitalisti (coautore L. Zingales), Einaudi, 2004 – professor of finance at the University of Chicago. In un articolo sul Financial Times del 4 giugno 2010 – Bankers have been sold short by market distorsion - Rajan scrive: “Short sellers perform a valuable social function by depriving poorly managed companies of resources they will waste. The trader short does not cause the company to go out of business. Mismanagement is the source of the company’s troubles. The trader merely holds up a mirror to reflect it”. E’ proprio così. I ribassisti sono degli specchi. Vengono spesso considerati un capro espiatorio quando il titolo scende. “E’ colpa degli speculatori ribassisti, quei maledetti”, è il commento da bar che si è soliti sentire. Quando poi gli stessi trader comprano, mai sentiamo dire “Quei maledetti speculatori rialzisti”. Prosegue Rajan: “Rather than attempting to instill social purpose in the banker, it is probably more useful for society to target the forces that distorted the market”. Lo stesso veniva sostenuto in un position paper della Consob di qualche anno fa, dove tra gli effetti positivi dello short selling si indicavano l’efficienza informativa dei prezzi e l’incremento di liquidità sul mercato, secondo noi prevalenti sui possibili effetti negativi - instabilità dei mercati, abuso di mercato e rischio di regolamento.

L'impossibilità per il mercato di "andare corti" può favorire il formarsi di bolle speculative, perchè la disciplina del mercato non può agire in libertà. In un recente intervento http://www.fcic.gov/hearings/pdfs/2010-0902-Bernanke.pdf, il Governatore della Federal Reserve Ben Bernanke ha rimarcato l'importanza dell'irrational exuberance (R. Shiller, Euforia Irrazionale, Il Mulino, 2000): "It is frankly quite difficult to determine the causes ofbooms and busts in asset prices; psychological phenomena are no doubt important, as argued by Robert Shiller, for example".
Nel 1990 al “Maurizio Costanzo Show” una sera l'ospite unico era il giudice Francesco Di Maggio, pubblico ministero milanese che con Pier Camillo Davigo (non si può non leggere La giubba del re. Intervista sulla corruzione, Laterza, 2004), costituiva una coppia affidabile e inarrestabile nelle inchieste di mafia e riciclaggio. La popolarita' di Di Maggio ebbe un' impennata nel settembre dell' 84, con l' arresto di Angelo Epaminonda, il "Tebano", boss delle bische e del traffico di cocaina. Epaminonda capitolo' 40 giorni dopo e comincio' a raccontare a Di Maggio un decennio di impero mafioso a Milano. Si alzava il velo su 44 omicidi, finirono alla sbarra in 118. E si comincio' a discutere di pentiti. Fu collaboratore del superprefetto Sica all’Alto Commissariato per la lotta contro la mafia.
Sollecitato da Costanzo, Di Maggio sostenne che “La mafia non è solo Palermo, la mafia è a Roma, a Milano...”. Il giorno dopo ci furono delle reazioni inusitate. Lo accusarono di aver detto delle cose vere, però in televisione. Avrebbe dovuto dire le stesse cose “nelle sedi competenti”.
Bene. I mercati svolgono la funzione svolta dal giudice Di Maggio. Narrano, raccontano la realtà. Sono degli specchi. Non causano gli eventi. Li riflettono. E non crediamo possa valere per il mercato azionario la teoria di George Soros sulla riflessività tra prezzi e fondamentali. La chiave di lettura riflessiva può aver senso per i mercati dei titoli di stato, come avvenne nel 1996 nel caso italiano, con protagonista Carlo Azeglio Ciampi. Ma questa è un'altra storia.

Derivati, arma di distruzione di massa


Il Sole 24 Ore di oggi segnala che la NTV – Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A., la società (tra i soci Montezemolo, Della Valle) che porterà un po’ di concorrenza nel settore del trasporto ferroviario a partire da settembre 2011 – ha in bilancio una posizione in derivati sui tassi di interesse con un mark-to-market negativo a fine 2009 di 15.599.469 euro. Siamo andati a verificare. Il bilancio 2009 disponibile sul sito www.ntvspa.it informa che si tratta di quattro operazioni collar con un cap del 5% e un floor del 4,15% per un valore nozionale di 60 milioni di euro. Traduciamo. Se i tassi scendono sotto il 4,15% (oggi siamo intorno all’1,1%) NTV, invece di beneficiare di tassi di interesse estremamente favorevoli, è costretta a pagare la differenza tra l’Euribor a 6 mesi e il 4,15%.
Può avere senso coprirsi dal rischio di rialzo tassi, come il cap al 5%. Ma assicurarsi se i tassi scendono non è certamente un’operazione intelligente.
A leggere queste notizie sembra che la crisi sia passata invano. Se – come pensiamo – la crisi è una crisi di omologazione del pensiero, non vediamo miglioramenti. Tutti come pecoroni – herd effect, per essere più aulici – seguono i consigli degli intermediari che spingono per la vendita di derivati. Naturalmente la forte asimmetria informativa porta - nella stragrande maggioranza dei casi – ad avere un mark-to-market negativo per l’impresa che sottoscrive il contratto dove i derivati la fanno da padrone. Vengono definiti derivati perchè il prezzo del prodotto deriva dal prezzo di una attività sottostante (tassi d’interesse, tassi di cambio, prezzo di una commodity,.....). Il legame tra i due prezzi è stabilito da complessi algoritmi matematici. I creatori di questi prodotti – soprannominati dalla stampa anglosassone quants - sono stati mirabilmente così definiti da Edward Chancellor: “Nome dato a matematici e fisici di second’ordine che hanno superato i dubbi e gli scrupoli che la scienza impone, in cambio di una Porsche”.
Ogni qualvolta viene pubblicata una tabella con le posizioni mark-to-market, le controparti degli istituti di credito – imprese, pubblica amministrazione, investitori – sono sempre in perdita. Warren Buffett rimane sempre inascoltato: “I derivati sono armi di distruzione di massa”.
Torniamo ai classici per riconquistare un po’ di sano buon senso. Lo scrittore Pontiggia – di cui si consiglia La morte in banca, Oscar Mondadori, titolo vagamente indicativo - mirabilmente scrisse che “Il parco buoi è formato da quei minuscoli investitori che ha la tendenza perversa a comperare quando la Borsa sale e a vendere quando scende. L’euforia per una ascesa che si spera infinita è pari al panico per una flessione che si teme illimitata. Nessuno è mai diventato ricco in questo modo”. Se fosse ancora vivo, Pontiggia – gli sia lieve la terra - ci direbbe: “Vale anche per i derivati”.

martedì 14 settembre 2010

Concorrenza, bene pubblico



L’ex Presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo fece molta fatica a organizzare il Convegno di Vicenza – 17/18 marzo 2006 – incentrato sul tema della concorrenza. Alla fine però riuscì finanche a convincere gli oligopolisti associati – i cosiddetti incumbent – della necessità di una discussione pubblica sul valore della concorrenza.
Purtroppo l’intervento del Presidente del Consiglio Berlusconi e lo scambio di apprezzamenti (sigh!) con Diego Della Valle ("Gli imprenditori che stanno a sinistra hanno scheletri negli armadi, sono sotto il manto protettivo della sinistra e di Magistratura democratica". "Prego il signor della Valle, se si rivolge al presidente del consiglio, di dargli del lei e non del tu...") misero nel dimenticatoio l'intervento esemplare di Francesco Giavazzi, dove evidenziava l'abnorme differenza nel margine operativo lordo tra imprese aperte alla concorrenza internazionale e imprese operanti in settori protetti.
Sono passati oltre 4 anni dal marzo 2006 e i passi avanti nella direzione auspicata sono stati decisamente pochi. E infatti l’Italia da 15 anni cresce ogni anno più di un punto di PIL meno della media degli altri Paesi Euro.
Per compiere una valutazione dei benefici possibili di una maggior concorrenza nel nostro Paese ci affidiamo all’efficiente Servizio Studi di Banca d’Italia, che nel marzo 2009 ha pubblicato nei Temi di Discussione (Working Paper n. 709) uno studio dal titolo: “Macroeconomic effects of greater competition in the service sector: the case of Italy”. Gli autori - Lorenzo Forni, Andrea Gerali e Massimiliano Pisani - forniscono una valutazione quantitativa degli effetti macroeconomici di un incremento in Italia del grado di concorrenza nei settori dei servizi non commerciabili internazionalmente. La sintesi è così chiara che la pubblichiamo integralmente.
In Italia i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni,costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50 per cento del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme di impresa garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto (markup) elevati rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l’Italia il markup medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento, contro il 35 per cento nel resto dell’area dell’euro e il 17 per cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla concorrenza internazionale.
La presenza di un elevato potere di mercato costituisce una distorsione alla concorrenza,
con conseguenze sulle variabili macroeconomiche ben note in letteratura: prezzi più elevati e livelli di produzione, consumo, investimento e occupazione più bassi rispetto a quelli conseguibili con mercati più concorrenziali.
Sulla base delle simulazioni presentate nel lavoro, un aumento del grado di concorrenza
che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area – attuato gradualmente in un periodo di cinque anni – avrebbe effetti macroeconomici significativi.
Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11 per cento, il consumo privato e
l’occupazione dell’8, gli investimenti del 18; i salari reali ne beneficerebbero significativamente, con un incremento di quasi il 12 per cento. Si registrerebbe un forte aumento delle esportazioni (favorito dal calo dei prezzi italiani rispetto a quelli del resto dell’area) a fronte di un modesto incremento delle importazioni (dovuto all’aumento della domanda aggregata). Gli effetti sul benessere delle famiglie italiane sarebbero positivi e consistenti. Tali effetti benèfici sarebbero rilevanti anche nel breve periodo
”.
Ricerche del Cermes Bocconi evidenziano che se i supermarket in Italia avessero le stesse dimensioni dei principali Paesi Europei, il risparmio per la famiglie italiane sarebbe di 5,8 miliardi di euro. Le famiglie italiane - con la riforma delle parafarmacie che ha portato un po’ di concorrenza nelle pillole e flaconi senza obbligo di prescrizione – hanno risparmiato nel 2009 17 milioni di euro. Speriamo - ma non ci crediamo - che la liberalizzazione venga estesa ai farmaci con l’obbligo di prescrizione ma a carico del consumatore (per indenterci, fascia C).
E i servizi bancari? Allergici alla concorrenza. A me - nei meandri del mio sterminato archivio rigorosamente cartaceo - torna in mente l’opinione del direttore della Banca d'Italia Introna – in cui esprime contrarietà alla fondazione di Mediobanca – in una lettera del 4 maggio 1945: «La creazione di nuovi istituti specializzati non farebbe che sviluppare ulteriormente la già pletorica compagine bancaria, determinando così deprecabili concorrenze».
Per chiudere, non possiamo non concordare con Francesco Giavazzi (di cui consigliamo Lobby d’Italia, BUR, 2005), che il Ministro dello Sviluppo Economico ce l’abbiamo già. E’ il Presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà. “Anziché rischiare un ministro che si inventi una nuova «politica industriale», meglio tradurre in leggi e regolamenti le segnalazioni che l’Antitrust invia a governo e Parlamento e che ormai nessuno nemmeno più legge. Che fine ha fatto il disegno di legge sulla concorrenza (benzina, commercio, farmaci, appalti) che il governo ha promesso?” (Corriere della Sera, 5 settembre 2010)

domenica 12 settembre 2010

Sindona, i depositanti, i cambi, il suo suicidio



Michele Sindona, bancarottiere corrotto, iscritto alla P2 di Licio Gelli, e mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli - che da commissario liquidatore della Banca Privata Italiana si oppose con fermezza al salvataggio della banca a spese dello Stato Italiano e dei contribuenti - è ancora oggi percepito dai più un personaggio intriso di misteri. Ma non è così: misteri non ce ne sono.
Viceversa ci sono delle certezze. Spiegamole a beneficio dei lettori:
1. Le banche di Sindona distraevano sistematicamente i denari dei depositanti. Attraverso il meccanismo dei depositi fiduciari - disciplinati dall'ordinamento svizzero - in valuta, Sindona finanziava società del suo gruppo. Premesso che i depositi dei clienti si collocano contabilmente nel passivo dello stato patrimoniale di un intermediario creditizio, le operazioni fiduciarie funzionano così: il cliente - in questo caso la banca di Sindona - affida valori (del proprio attivo) a una banca estera perché li utilizzi in nome proprio, ma per conto e a rischio del cliente. Apparentemente nei bilanci della Banca Privata Italiana apparivano nell’attivo dei depositi a vista in valuta straniera, ma quando Ambrosoli li richiese, le banche estere gli rispondono che quegli importi sono diversamente impegnati. Le somme non erano affatto liquide, ma immobilizzate e impiegate in modo distorto per finanziare altre società di Sindona. Nelle parole di Ambrosoli: “Il denaro dei depositanti terzi era utilizzato più che per l’economia generale, per quella del gruppo Sindona”.
Dalle risultanze processuali e dalla analisi della Banca d’Italia è risultato evidente che la bancarotta della Banca Privata Italiana è dovuta proprio al mancato rientro dei depositi fiduciari.
Sembra superfluo dirlo ma lo rimarchiamo. La legge bancaria italiana vieta l’utilizzo di depositi delle proprie banche per finanziare società dello stesso gruppo.

2. Sindona operava pesantemente sul mercato dei cambi attraverso il suo fidato collaboratore Bordoni. L’ammontare delle operazioni era ingentissimo. Spesso le operazioni in valuta non venivano neanche registrate nei libri contabili, a conferma che il Sindona ha sempre gestito le banche con gravi irregolarità.
Nel 1973-4 Sindona decise di assumere posizioni long (alias rialziste) sul dollaro statunitense. Sbagliando clamorosamente. Sindona - al contrario di quello che pensa Andreotti - aveva una conoscenza scarsa dei mercati finanziari. In particolare era affetto dalla sindrome tipicamente italiana che ritiene il dollaro una valuta forte (ciò è dovuto al fatto che la lira italiana era così strutturalmente debole che rendeva forte qualsiasi valuta). Il dollaro è invece una valuta strutturalmente debole (nel caso del 1974 anche congiunturalmente debole) principalmente per la posizione cronicamente deficitaria delle partite correnti all‘interno della bilancia commerciale. Per maggiore chiarezza, in alto trovate il grafico del dollaro contro yen - simbolo JPY -dal 1971 (Bretton Woods) ad oggi: da 335 yen per comprare un dollaro del 1971, a soli 84 di oggi (75% di deprezzamento!), una debacle vertiginosa. Le banche di Sindona, sia la Banca Privata Italiana che la Franklin National Bank (dichiarata insolvente dalla Federal Reserve il 3 ottobre 1974), sostennero perdite ingenti.

3. Sindona era legatissimo a Cosa Nostra. I rapporti tra Sindona e la mafia sembrano risalire addirittura alla fine degli anni Cinquanta, quando Sindona avrebbe partecipato a un summit - Grand Hotel delle Palme a Palermo 2 ottobre 1957 - della mafia italoamericana dedicata proprio alla gestione del mercato della droga
Secondo diversi collaboratori di giustizia, Sindona aveva svolto attività di riciclaggio nell’interesse di massimi esponenti come Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, John Gambino. Sindona investiva per conto della mafia i proventi del traffico internazionale di droga in società finanziarie, immobili e alberghi siti in Florida e nell’isola di Aruba.

4. La morte di Sindona non è un mistero. Sindona si è suicidato. Punto. Senza discussioni. E’ provato. Ne Il caffè di Sindona (Garzanti, 2009) G. Simoni e G. Turone spiegano con dovizia di particolari che Sindona ha voluto - lui stesso - mettere fine alla sua vita. Non esiste più alcun dubbio sul suicidio. Siccome Sindona è un autentico esteta della simulazione, sono state fatte diverse congetture sulla sua morte.
Torniamo indietro. Sindona viene processato e condannato per bancarotta fraudolenta sia negli Stati uniti sia Italia e successivamente fu condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio Ambrosoli.
Un paio di giorni dopo la condanna - il 20 marzo 1986 - unico ospite di un’ala super sorvegliata del carcere di Voghera, Sindona si accascia dopo aver bevuto un caffè pieno di cianuro.
Le misure di sicurezza, la somministrazione del cibo al detenuto, il fatto che nel thermos il residuo di caffè trovato era assolutamente genuino, la perizia chimica-tossicologica non hanno che una sola conclusione: Michele Sindona ha volontariamente bevuto il caffè aggiungendo lui stesso del cianuro (aggiungendolo in bagno nell’unico punto non inquadrato dalla telecamera. Tutti noi, infatti, alla mattina appena è pronto, ci versiamo il caffè e andiamo a berlo sul water!) a sua disposizione. La prova regina è che il cianuro imprime un odore pungente e sgradevole a distanza. E Sindona il caffè nella tazzina l’ha bevuto fino all’ultimo sorso, nonostante l’odore e il sapore ripugnanti. Chiunque l’avesse ingerito, si sarebbe fermato ben prima del sorso iniziale. Nelle parole di Simoni-Turone: “I magistrati verificarono di persona le conclusioni dei periti offrendo un caffè con del cianuro - dose minima non letale, e con l‘avvertenza di bloccarlo qualora lo avesse bevuto - a un maresciallo inconsapevole. Il graduato si portò la tazzina ad alcuni centimetri dalla bocca, si fermò bruscamente, disse che quel caffè puzzava a tal punto da non sentirsi in grado di berlo (p. 87)”.
A parte la sofferenza per la carcerazione, i problemi di carattere economico, in Sindona il pensiero della morte ricorre con insistenza. In una intervista a Biagi - nel 1982 disse: “Ma in Italia una pillola di cianuro si compra quando si vuole e si può morire subito senza soffrire”. E così è stato. Probabilmente una persona a lui vicina glielo ha consegnato durante i due pubblici processi - nei quali attorno alla sua gabbia si formava spesso un capannello - a cui il finanziere venne sottoposto in Italia.

L’Italia è il Paese dei misteri, delle stragi senza colpevoli, dei reati compiuti da ignoti. Ma quando le certezze ci sono, non lasciamocele sfuggire.

sabato 11 settembre 2010

Michele Sindona, un affarista corrotto


Nella trasmissione La Storia siamo noi di Minoli del 9.9.10 il senatore a vita (sigh!, speriamo che come per Tanzi Cavaliere del Lavoro, recentemente revocato, si possa pensare a una revoca) Giulio Andreotti ha così rappresentato la figura di Michele Sindona:
1. Aveva forti competenze economico finanziarie;
2. Era una personalità forte; non ho mai pensato fosse un genio ma neanche un diavolo a tre teste;
3. Non facciamo romanzi sul denaro versato da Sindona alla Democrazia Cristiana.

Vediamo di smontare queste ennesime calunnie di Andreotti, frutto di una cultura ben precisa. Marco Vitale nel 1979 scrisse: “L’assassinio di Ambrosoli è il culmine di un certo modo di fare finanza, di un certo modo di fare politica, di un certo modo di fare economia. I magistrati inseguono esecutori e mandanti del delitto, ma dietro ci sono i responsabili, i responsabili politici. E questi sono tutti coloro che hanno permesso che la malavita crescesse e occupasse spazi sempre più larghi nella nostra vita economica e finanziari, e questi sono gli uomini politici che definirono Sindona “salvatore della lira...”.

1. Ma quali competenze finanziarie! Un finanziere che fa fallire tre banche – Banca Unione, Banca Privata Finanziaria, poi fuse già “morte” nella Banca Privata Italiana e Franklin National Bank - quali competenze ha? Sindona era un affarista con qualche amicizia altolocata (vedi Vaticano e IOR), disposto a corrompere e a lasciarsi corrompere. Apparteneva a quel tipo di banchiere che utilizza i denari dei risparmiatori per comprarsi fette crescenti di potere.
2. Vitale lo descrive così: “Persona monomaniaca, di una sconcertante mediocrità umana e intellettuale. Quando tutti lo ossequiavano, io mi limitavo a dire che era soprattutto un cretino, diventato potente e pericoloso solo grazie alla corruzione che imperversa nelle nostre strutture pubbliche” (La lunga marcia verso il capitalismo democratico, Il Sole 24 Ore, 1989).
Riportiamo per maggiore chiarezza la sentenza del Tribunale di Palermo (23 ottobre 1999) che recita: “Rimane, tuttavia, il fatto che l’imputato, anche nei periodi in cui rivestiva le cariche di ministro e di presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, si adoperò, con le condotte ampiamente indicate, in favore del Sindona, nei cui confronti l’Autorità giudiziaria italiana aveva emesso sin dal 24 ottobre 1974 un ordine di cattura per il reato di bancarotta fraudolenta”.
3. Andreotti protegge ancora oggi la figura del bancarottiere e assassino Sindona perché in osmosi con la Democrazia Cristiana che ricevette diverse dazioni dal Sindona. Giorgio Ambrosoli in una intervista disse: “Sono uno specialista in crack bancari. Nel 1965 mi sono dovuto occupare del dissesto della SFI; dieci anni dopo ho cominciato a mettere il naso nell’impero Sindona. Sarà un caso, ma ho sempre visto spuntare fuori nomi democristiani”. L’avvocato Scarpitti – delegato amministrativo della DC – ricevette dazioni periodiche di importi consistenti oltre a numerose operazioni in commodities a beneficio di diversi esponenti del partito: i beneficiari godevano degli utili delle operazioni senza investire nulla e senza correre alcun rischio economico. Il risultato è che tra il 1972 e il 1974 esponenti della DC raccolgono cash da Sindona per centinaia di milioni di lire.
Quando un politico noto come Andreotti tenta di falsificare così grossolanamente la storia, c'è una sola risposta: la memoria - l'unica arma dei deboli contro i forti - come ci suggerisce Milan Kundera nel Libro del riso e dell'oblio (Adelphi, 1998).

giovedì 9 settembre 2010

Ambrosoli e l'allucinante Andreotti


E’ semplicemente allucinante. Giulio Andreotti – così ben rappresentato nel suo cinismo da Sorrentino nel film “Il Divo” – pensa che Giorgio Ambrosoli - il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, ammazzato nel luglio 1979 dal killer William J. Arico su ordine del finanziere mafioso Michele Sindona – “E’una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando”. Immaginiamo - aggiungiamo noi - che se la siano andata a cercare anche La Torre, dalla Chiesa, Chinnici, Cassarà, Montana, Falcone, Borsellino e - recentissimamente - il sindaco di Pollica Angelo Vassallo.
Siamo nel paese all’incontrario del comico Paolo Rossi o nel "Paese immaginario" così ben descritto da Gherardo Colombo nel primo capitolo di Sulle Regole (Feltrinelli, 2008): "Trionfano il sotterfugio, la furbizia, la forza, la disonestà sotto l'apparenza delle leggi uguali per tutti, del rispetto del diritto di base. Coloro che si attengono alle leggi formali sono scavalcati ogni giorno da chi non le osserva"
Mentre Sant’Ambrogio diceva: “Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi”, Andreotti offre una nuova massima: “Comportatevi male, rubate a man salva i soldi dei depositanti, effettuate malversazioni, vedrete che il futuro vi sorriderà”.
Mentre nelle agende di Andreotti dal 1978 al 1980 si notano una quantità abnorme di incontri con l’avvocato di Sindona Rodolfo Guzzi, Ciampi non permette neanche che si fissi un appuntamento con avvocati di bancarottieri. Così come Andreotti definì Sindona “Salvatore della lira”, quando il finanziere siciliano prendeva colossali posizione al ribasso sulla nostra moneta (senza nemmeno riportarle nei libri contabili delle sue banche poi fallite - Franklin National Bank, Banca Privata Italiana), così oggi denigra e insulta la memoria cristallina di Giorgio Ambrosoli, un uomo che voleva fare seriamente il proprio lavoro, senza farsi condizionare dalle minacce e la violenza di Sindona e dell'Italia piduista.
A Paolo Baffi - Governatore della Banca d’Italia e vero riformatore del sistema bancario italiano negli anni ’70 – toccò la stessa sorte. Baffi e Sarcinelli - che respingono improbabili piani di salvataggio presentati loro anche da Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti - pagheranno carissima onestà e determinazione: Sarcinelli viene arrestato e a Baffi è risparmiato il carcere solo per l'età. Saranno poi prosciolti ma Baffi lascerà Via Nazionale.
A Umberto Ambrosoli - autore dell'emozionante Qualunque cosa succeda (Sironi, 2009) - e alla Signora Annalori va incondizionato il nostro caloroso messaggio: la memoria di Giorgio Ambrosoli è intatta – la sua dimostrazione di uomo libero non può venire condizionata da un personaggio che solo la prescrizione ha salvato dalla condanna per il reato per associazione a delinquere di stampo mafioso fino alla privavera del 1980 (sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 2003, giudizio confermato dalla Corte di Cassazione, 15 ottobre 2004). A lezione i miei studenti sanno a chi rivolgersi nel cielo degli onesti. Come dice Corrado Stajano – autore dell’imprescindibile Eroe borghese (Einaudi, 1991) - ieri sul Corriere della Sera “Giorgio Ambrosoli non è stato dimenticato. Trentun anni dopo il suo assassinio nel centro di Milano, le ragioni della memoria di quel che accadde —un uomo che si fa uccidere nel nome dell’onestà— sono rimaste intatte. Il suo nome è diventato infatti un modello morale e civile”.

Noi ricordiamo Giorgio Ambrosoli con le parole di Carlo Azeglio Ciampi: "Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti all'estremo sacrificio".

Grandfathering e gli schiaffi di Papa Giovanni


Il chairman del Financial Stability Board Mario Draghi nella sua ultima lettera ai leader del G20 a Toronto nel luglio 2010 scrive : “Good progress has been made in recent weeks towards new global standards to strengthen bank capital and liquidity, and limit leverage…The quality and amount of capital in the banking system must be significantly higher to improve loss absorbency and resiliency” and that authorities “should provide transition arrangements that enable movement to robust new standards without putting the recovery at risk, rather than allow concerns over the transition to weaken the standards”.
Transition and grandfathering arrangements should also be designed to ensure that implementation does not have an adverse macroeconomic impact. The FSB and the Basel Committee, in collaboration with the IMF, are jointly assessing the macroeconomic implications of implementing the reform proposals in order to inform the phase-in and implementation horizon".
Grandfathering significa consentire agli operatori un periodo di tempo significativo per adeguarsi alle nuove norme. E’ una sorta di clausola di salvaguardia temporale prima della quale valgono ancora le vecchie regole. Sempre Draghi nelle Considerazioni del 31 maggio 2010 scrive: “Ma l’applicazione delle nuove regole sarà graduale; non comincerà prima che la ripresa si sia consolidata. Il passaggio verso la nuova definizione del capitale delle banche sarà lungo abbastanza da renderne trascurabili, durante la transizione, gli effetti sul valore di mercato delle banche e sul credito.”
Sembra che a Basilea ieri sia stato raggiunto un accordo che prevede l’inizio dell’applicazione dei nuovi criteri sia stato spostato al 2013. E dal 2013 le banche avranno 10 anni di tempo per adeguarsi ai nuovi parametri - tra gli altri - del Tier I al 6%. Siccome l’industria finanziaria sostiene che la riforma regolamentare potrebbe ostacolare la ripresa, è importante che le difficoltà del presente non portino a una diluizione degli obiettivi di lungo periodo, che devono rimanere fermi.
Il “Grandfathering” ricorda etimologicamente le carezze dei nonni. A me ricorda Papa Giovanni XXIII. L’11 ottobre 1958 il “Papa buono” – nel suo discorso in occasione della serata di apertura del Concilio Vaticano - uscì dalla finestra di Piazza San Pietro e disse con parole memorabili: “« Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa ».
Io immagino che se Papa Giovanni potesse oggi incontrare i banchieri - che tenacemente contrastano l’inderogabile connubio “Più capitale e meno debiti”- altro che carezze, gli mollerebbe un bello schiaffone.

mercoledì 8 settembre 2010

Basilea III, quante esitazioni!


Al primo vertice del G20 - tenutosi a Washington nel novembre 2008, poco dopo il fallimento di Lehman Brothers - i paesi europei si mostrarono favorevoli a “soluzioni globali a problemi globali”. L'obiettivo implicito era una armonizzazione globale delle regole finanziarie per ripristinare la stabilità dei mercati, eliminare gli arbitraggi regolamentari e assicurare un comune level playing field.
La diagnosi delle cause della crisi ha portato ad un intenso lavoro di revisione della normativa esistente a livello sia di singoli Paesi – nel luglio 2010 negli Stati Uniti è stato approvato il Dodd-Frank Act che rafforza i poteri della Federal Reserve; in Europa per ora sono state prese solo misure su retribuzioni ed agenzie di rating – che sovranazionale, svolto principalmente dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria su mandato dei Capi di Stato e di Governo del G-20 e in base alla roadmap stabilita dal Financial Stability Board.
L’obiettivo generale di questo nuovo quadro regolamentare chiamato “Basilea III” è molto ambizioso: stabilizzare il settore bancario e il sistema economico globale accrescendo la capacità del sistema bancario di assorbire shocks interni o esterni - si parla di resilienza - riducendo nel contempo il rischio di contagio dal settore finanziario all’economia reale. In relazione agli interventi proposti, il Comitato di Basilea asserisce: “These measures will help ensure that the banking sector serves as a shock absorber, instead of a trasmitter of risk to the financial system and broader economy”.
Il tempo si è fatto breve, se si tarda a intervenire, la finestra di opportunità svanisce. Il mondo politico tedesco si fa portatore drlle istanze degli istituti di credito tedeschi – pieni di titoli ibridi Tier II - che paventano la necessità di 105 miliardi di euro di capitale per adeguarsi alle nuove disposizioni previste.
Non siamo d’accordo con coloro che fanno presagire forti cali del PIL a fronte di più severi requisiti patrimoniali di vigilanza, come Daveri che dice: “Se vogliamo un ritorno più rapido alla crescita, dobbiamo accettare la finanza non regolata e quindi convivere con il rischio di nuove crisi. Se non ci piacciono le crisi, dobbiamo regolare o tassare la finanza e accettare la minore crescita media che l’aumentato costo del credito comporterà. Si può avere la botte piena o la moglie ubriaca, non tutte e due”. Facciamo invece nostre le parole di Caruana, General Manager della Banca dei Regolamenti Internazionali: “Rebuilding confidence is an enormous challenge. We cannot wait for stronger global growth to facilitate policy adjustment. The net impact on global output during the phasing-in of the new regulatory regime is likely to be small and transitory. We need to finalize international agreements on the reform of financial regulation”.

lunedì 6 settembre 2010

Bernanke insists: “Lehman could not be saved”







Ben Bernanke, il Governatore della Federal Reserve - soprannominato “The Helicopter Man” per i suoi studi sulle crisi del passato che in casi estremi avrebbero dovuto prevedere la forte espansione di base monetaria (provocatoriamente lanciata dagli elicotteri della FED) – nella sua testimonianza del 2 settembre davanti alla Financial Crisis Inquiry Commission ha ribadito la sua posizione: Lehman non poteva essere salvata.
I regret not being straightforward there (precedent Testimony, 2008, ndr) because clearly it has supported the mistaken impression that in fact we could have done something”. Se ne deduce che, al contrario di AIG – “The group’s insurance business was valuable enough to secure loans to bail out its troubled financial products division" – Lehman aveva esaurito il capitale. Cosa che il mercato aveva espresso con molta chiarezza con largo anticipo. I prezzi dei CDS nell’agosto 2008 esprimevano con lungimiranza quello che sarebbe successo. Ribadiamo, supportati dall’autorevolezza di Mr Bernanke, che Richard Fuld - CEO di Lehman Brothers - è stato un pessimo manager, arrogante, grande distruttore di valore. E dopo la sua ultima testimonianza possiamo dire con Borges: “E’ un povero con dei soldi (degli altri")”.

venerdì 3 settembre 2010

Il Generale dalla Chiesa e lo sviluppo economico


Ho un ricordo nitido. Era il 3 settembre 1982. Entro in cucina, sento dei singhiozzi. Vedo mia madre piangere. Le dico: “Mamma, perchè piangi?”. E lei: “Hanno ucciso il Generale dalla Chiesa”. E la foto della prima pagina di Repubblica con la A112 bianca crivellata di colpi e il Generale proteso per proteggere sua moglie Emanuela rimase per sempre nel mio archivio mentale.
Il grandissimo Gianni Brera disse: ““Dalla Chiesa era così intelligente che per fargli un degno piropo' non mancavo mai di esprimergli la mia meraviglia: come aveva potuto fare tanta carriera in Italia con un cervello così fino?”.
Cosa è cambiato dal 1982? Quando Vitale nel suo “Passaggio al futuro, EGEA, 2010” dice saggiamente che noi non dobbiamo fare riforme – inconcludenti – ma risolvere problemi, la prima piaga biblica che invita ad affrontare è il peso abnorme della malavita organizzata.
Le cifre fanno impressione: l’insieme della attività illegali in Italia ammonterebbe a 419 miliardi di euro l’anno, secondo le stime più accreditate. Nessun Paese ha, nel suo tessuto sociale ed economico, una presenza di tale spessore della malavita organizzata. 13 dei quasi 17 milioni di italiani che vivono in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia convivono con le mafie. Parliamo del 22% della popolazione italiana, non quisquilie.
E aggiungiamo che la corruzione diffusa rappresenta l’humus ideale per la malavita organizzata. Il giudice Davigo ironicamente ha affermato che se la “cricca” degli appalti della Protezione Civile – per intenderci Anemone, Verdini, Bertolaso, Carboni - si fa pagare con assegni circolari (e non con il consueto contante) poi incassati nella banca allora guidata – ora con pesanti motivazioni commissariata dalla Banca d’Italia – da Verdini, significa che la convinzione di impunità regna serena.
Che dire? Sembra opportuno concludere che un sano sviluppo economico non è compatibile con un alto e diffuso livello di corruzione e di malavita. La mafia è arretratezza, non sviluppo.

giovedì 2 settembre 2010

Fuld, pallone gonfiato


Nella sua recente audizione al Congresso Americano davanti alla Commissione che indaga sule cause della crisi – Financial Crisis Inquiry Commission, http://www.fcic.gov/hearings/09-01-2010.php - Richard Fuld, l’ex chief executive officer di Lehman Brothers, fallita or filed for bankruptcy il 15 settembre 2008, ha dichiarato che con l’appoggio della Fed, Lehman poteva essere salvata. “Lehman’s demise was caused by incontrollable market forces and the incorrect perception and accompanying rumors tha Lehman did not have sufficient capital to support its investments. All of this resulted in a loss of confidence, chich then undermined the firms’s strength and soundness”.
Per un manager che ha guadagnato in dieci anni 457 milioni di $, l’idea di essere salvati dalla Fed è un chiaro esempio di bravura e diligenza. Non per noi, che pensiamo che i manager faso tuto mi, i CEO che si guardano allo specchio e si credono Napoleone, i CEO delle banche che rischiano il capitale a beneficio asimetrico dei loro bonus non ci piacciono per niente.
Siamo invece d’accordo con il FCIC commissioner Peter Wallison, che nel suo intervento ha detto: “Fed had given too much support to investment banks starting with Bear Stears”.
Fuld insiste che “There was no capital hole at Lehman”. Questo è nettamente in contrasto con le evidenze dei revisori che hanno capito come Lehman taroccava i conti trimestrali attraverso repo con controparti fuori bilancio – da cui il noto shadow banking system, su cui enormi responsabilità gravano sulle autorità di vigilanza.
“Nulla dovrebbe mai diventare troppo grande per fallire. Quel che è fragile dovrebbe rompersi presto, finchè è ancora piccolo” (N. Taleb, Il Sole 24 Ore, 31.8.10). Ma quel che ci preme sottolineare è che l’impresa è una equazione complessa. Non c’è solo il management e gli azionisti. Non c’è solo la proprietà. Ci sono il lavoro, i talenti, la conoscenza accumulata, il territorio, l’ambiente. E come ci ricorda Marco Vitale il mandato professionale del management non è quello di produrre, comunque, valore per gli azionisti; è quello di produrre valore aggiunto per l’impresa. Chi guida l’impresa deve, invece, assicurare la sana sopravvivenza della stessa nel tempo. “Bisogna avere il coraggio di dire che molti dei grandi CEO che ci hanno portato alla crisi non sono manager, ma pirati, e che molti di loro sono semplici palloni gonfiati, abili nel furto con destrezza e forti solo del loro smisurato cinismo, e dell’uso spregiudicato della violenza. Come i mafiosi” (M. Vitale, Passaggio al futuro, EGEA, 2010, p.96).

Shareholder value maximization is dead”, Financial Times, 16th March 2009