venerdì 18 marzo 2011

Robert Kennedy, il PIL e la ricerca della felicità

Il 18 Marzo del 1968 - giusto 43 anni fa - Robert Kennedy pronunciava, presso l'università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava - tra l'altro - l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate.

Tre mesi dopo veniva ucciso durante la sua campagna elettorale che lo avrebbe probabilmente portato a divenire Presidente degli Stati Uniti d'America.
Ecco alcuni passaggi significativi:

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
 Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.


Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.


Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.

Il primo in Italia a studiare la qualità del PIL è stato Giorgio Fuà  , fondatore dell’ISTAO ad Ancona. Così lo ricorda Carlo Azeglio Ciampi – in Da Livorno al Quirinale (Il Mulino, 2010, p. 96): “Giorgio accoppiava la preparazione solida da economista con la capacità socratica di stimolare, di domandare, di suscitare interesse nei propri allievi, che gli volevano un bene più che filiale, paterno”.

Giorgio Fuà
Il Governatore della Banca d’Italia recentemente ha così ricordato Giorgio Fuà : “Il nome di Giorgio Fuà è intimamente legato agli studi sullo sviluppo economico...Nella Lettura all’Associazione Il Mulino, Fuà osservava che “… oggi, nei paesi ricchi, … dobbiamo smettere di privilegiare il tradizionale tema della quantità di merce prodotta e dedicare maggiore attenzione ad altri temi, che non possono più essere considerati secondari dal punto di vista del benessere collettivo.
Tra gli altri, citava l’equilibrio con l’ambiente naturale, il senso di soddisfazione o alienazione che caratterizza il lavoro. Per Fuà il reddito nazionale e il benessere collettivo non sono la stessa cosa”.

Entriamo in un campo minato. Parliamo di felicità, ricchezza e benessere. Visto che ricordiamo Bob Kennedy, non è inutile ricordare che la Dichiarazione di indipendenza dei tredici Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776 recita che tra gli inalienabili diritti dell’uomo esiste la pursuit of happiness. Non per nulla il simpatico Will Smith ci ha entusiasmato al cinema con La ricerca della felicità (Muccino style).


Enrico Finzi - uno dei più noti ricercatori sociali italiani - in un libro divertente e interessante - Come siamo felici. L’arte di goderci la vita che il mondo ci invidia (Sperling & Kupfer, 2008) - ci racconta come l’italiano riesca ad essere felice nonostante tutto quello che gli succede intorno.

La felicità non è il conseguimento dell’obiettivo, bensì la spinta verso il fine, il viaggio e non la destinazione.

Oscar Wilde disse: "Ci sono due tragedie nella vita, due drammi che noi viviamo: uno, quello di non avere ciò che desideriamo; l'altro, di aver soddisfatto il nostro desiderio!"

1 commento:

  1. Oggi su Repubblica leggo "Felicità: volontariato e figli, ecco i piaceri che allungano la vita.... L'eudemonismo è una dottrina che riconosce come legittima l'aspirazione dell'uomo alla felicità: diritto che per esempio la Costituzione americana sancisce ("pursuit of happiness") per tutti i cittadini degli Usa".
    Simpatica la citazione di Cechov: "La felicità è come la salute, quando la possiedi non te ne accorgi".

    RispondiElimina