martedì 22 dicembre 2015

Arrivederci al 2016. Buon Natale a tutti i miei (affezionati) lettori

Il Natale non solo è una bella festa religiosa, ma è un'occasione per ricaricare le pile, per riflettere, per leggere qualche buon libro, per condividere con i nostri figli la serenità dei momenti migliori.
Il Natale ha un forte valore affettivo perchè ogni nuova nascita si accompagna a sentimenti di gioia, al fatto che la vita prosegue al di là delle singole esistenze.

Trovo sempre commoventi le parole del priore della comunità di Bose Enzo Bianchi, che invita tutti a vivere con gioia la convivialità del Natale: "Elemento essenziale è la convivialità attorno alla tavola, luogo straordinario di umanizzazione, di ascolto reciproco, di scambio della parola, luogo dove dire sì alla vita con le sue fatiche, le sue sofferenze, le sue gioie e le sue speranze.
Convivialità a tavola significa spazio, tessuto, mosaico di parole scambiate e di immagini create, racconti che seducono. Lì tutti sono uguali, con le stesse possibilità di prendere cibo e di intervenire con la parola: bambini e vecchi, uomini e donne, invitanti e invitati. L' uno parla, l' altro ascolta mentre si mangia: parole che si intrecciamo fino a spegnere ogni diffidenza.


Enzo Bianchi
E qui occorre l' arte di chi presiede la tavola: l'arte del favorire l' esprimersi di tutti, del disinnescare i rapporti di forza, del contenere con delicatezza i chiacchieroni, dello stimolare i più timidi; l' arte di creare quel clima festoso in cui possono spegnersi i ricordi non buoni, gli antichi contrasti, i rancori taciuti.

La convivialità è terreno fertile per esercitarsi in rapporti affettivi che diano gusto alla vita, che ci rallegrino nella faticosa quotidianità che appesantisce tanti nostri giorni... Questo clima non dovrebbe però limitarsi al pranzo di Natale: nei giorni successivi perché non accettare di non uscire troppo di casa, di dedicarsi nella lentezza dei giorni senza lavoro alle cose più semplici: godersi la casa, spazio che abitiamo e che durante l' anno fatichiamo a tenere in ordine e sentirlo nostro, leggere - quest' arte di viaggiare restando là dove siamo - ascoltare musica, invitare qualcuno per dialogare e porsi insieme domande di senso".

Buon Natale a tutti e arrivederci a gennaio.


lunedì 14 dicembre 2015

15 dicembre 1995: la Corte di Giustizia europea rivoluziona il mercato dei calciatori #Bosman


Il 15 dicembre di 20 anni fa la Corte di Giustizia europea pronunciò una sentenza destinata a sconvolgere il mercato del calcio. Il ricorrente di allora Jean-Marc Bosman fece causa al suo club, il Liegi, con cui 5 anni prima aveva firmato un contratto quinquennale. Alla scadenza Bosman pretese la libertà di svincolo e di trasferimento ad un altro club, il Dunkerque.
La sentenza della Corte escluse la possibilità per un club di reclamare un indennizzo a contratto scaduto. Sulla base del principio della libera circolazione dei lavoratori nella UE, la Corte di fatto fece un gran favore ai calciatori, ai quali fu aumentato enormemente il potere di lasciare una squadra per andare in un'altra che gli offriga un ingaggio superiore. I club poterono quindi acquistare e mettere in campo fino a 11 stranieri (trovare un calciatore italiano nell'Inter di oggi è difficile, ma spesso vedendo i lisci di Ranocchia, forse è meglio così :-)).

Jean-Marc Bosman
Fu l'inizio del mercato delle superstar. Gli stipendi di Rivera, Mazzola e Gigi Riva Rombo di Tuono (Gianni Brera, cit.) erano bazzeccole rispetto agli ingaggi di oggi di Messi, Ibrahimovic, Cristiano Ronaldo, Totti e Higuain.
Gianni Rivera ha di recente ricordato , intervistato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, che un giorno come primo sfizio si compro una macchina: "Una Porsche, una Lamborghini o una Ferrari? Macché: una Fiat 1300. Grigia. Che non desse troppo nell'occhio".

Jean-Marc Bosman, in un'intervista a Repubblica, ha accusato la Fifa di averlo distrutto e ha invitato a conoscere la sua storia alle giovani generazioni. Non ha mancato di dare una stoccata a Mario Monti: "All'epoca della sentenza il commissario europeo alla concorrenza era il compianto Karel van Miert (che firmò lo storico patto con il ministro del Tesoro Nino Andreatta, che avviò la chiusura della liquidazione dell'IRI, ndr). Lui fu molto fermo nel farne rispettare le conseguenze. Purtroppo non posso dire altrettanto del suo successore, Mario Monti. Non si è mai occupato di sport, lo ha gettato nella spazzatura. Così, durante il suo mandato, le pressioni politiche hanno avuto buon gioco e hanno permesso ai grandi club di plasmare le regole del mercato a proprio piacimento".
Gianni Rivera
Bosman ha invitato le nuove generazioni a conoscere la sua storia. Le star di oggi nei campionati europei dovrebbero dare il 5% dei loro superstipendi al campione belga. Senza di lui guadagnerebbero almeno il 60% in meno. Peccato che i calciatori non studino, men che meno la storia.

venerdì 11 dicembre 2015

12 dicembre, anniversario della bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana: da apprezzare le parole del prefetto Marangoni sul caso Pinelli

Domani cade l'anniversario della strage di Piazza Fontana, dove persero la vita il 12 dicembre 1969 17 persone (oltre a 88 persone rimaste ferite). La strategia della tensione partì allora.
Su Piazza Fontana ha scritto pagine bellissime Corrado Stajano. Nel suo Destini (Archinto, 2014), nel ricordare Peppino Fiori, si legge: "Lo ricordo in piazza del Duomo, a Milano, il plumbeo mattino dei funerali delle vittime della strage di piazza Fontana, quando erano arrivati gli operai delle fabbriche, la Pirelli, la Falck, la Breda, la Magneti Marelli, a tenere il servizio d'ordine perchè dopo le bombe si temeva il golpe: centinaia di migliaia di uomini e donne, protetti da quelle tute bianche e blu, furono il segno che la comunità diceva di no all'avventurismo eversivo. Peppino con quel suo servizio visto da milioni di persone raccontò con chiarezza la paura di quei giorni e il coraggio di tutta una società pulita".

Settimana scorsa, in occasione della nomina a prefetto di Milano, l'ex questore Alessandro Marangoni, a pochi giorni da Piazza Fontana, è tornato sulla tragica vicenda di Pino Pinelli, accusato ingiustamente per la strage e morto tragicamente nei locali della Questura di Milano il 15 dicembre 1969.
Per chi non ricordasse, dopo la morte di Pinelli, si accese una violentissima campagna di stampa contro il commissario Luigi Calabresi, che verrà poi ucciso da Lotta Continua - sentenza passata in giudicato, Sofri, Bompressi e Pietrostefani condannati in via definitiva e poi graziati - la mattina del 17 Maggio 1972.

Il nuovo prefetto di Milano Marangoni ha detto: «Sono convintissimo che si debba ripensare al rapporto con la famiglia Pinelli. Viviamo un momento particolare, dove ci sono spazi di discussione e confronto, dove non dobbiamo temere di aprirci, di affrontare pagine di storia. Avremo risultati? Forse no. Ma mi piace citare la marcia degli alpini. La 33. Da valle a cima, sono sempre 33 i passi da tenere al minuto. La costanza premia, porta lontano».

Dopo che la meritoria azione dell'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha fatto incontrare - nel giorno della Memoria - le due vedove, Licia Pinelli e Gemma Capra Calabresi, è molto positivo, che il prefetto sia disponibile a fare luce su una vicenda che ha scosso l'Italia.

Se volete un consiglio di lettura per questo week-end, eccolo: Mario Calabresi (che a gennaio salperà come direttore sulla nave di Repubblica, auguri), Spingendo la notte più in là (Mondadori). Merita.


lunedì 30 novembre 2015

30 novembre 1989, assassinato Alfred Herrhausen presidente della Deutsche Bank

Mentre siamo tutti preoccupati dal terrorismo islamico, i più giovani non possono ricordare la lunga stagione del terrorismo rosso e nero che ha colpito in Europa negli anni Settanta e Ottanta.
Il 30 novembre 1989, giusto 26 anni fa, Alfred Herrhausen, il presidente della più grande banca europea, la Deutsche Bank, venne assassinato. La prima rivendicazione fu fatta dal gruppo terroristico Rote Armee Fraktion (RAF).

All'indomani della caduta del Muro di Berlino, 9 novembre 1989, i terroristi decidono di colpire uno dei massimi esponenti dell'establishment tedesco. Herrhausen, 69 anni, era infatti da tempo grande amico e consigliere del primo ministro Helmut Kohl.
Per suscitare il maggiore clamore possibile, i terroristi la mattina del 30 novembre 1989 piazzano una una bomba telecomandata in un veicolo fermo, e al passaggio della macchina blindata del banchiere - a Bad Homburg, ricco sobborgo di Francoforte- , fanno esplodere l'ordigno.

Herrhausen aveva una formazione da manager industriale e una visione aperta e innovativa dei rapporti internazionali: perseguiva una strategia diretta a ridisegnare il ruolo della Germania riunificata, assegnandole una nuova centralità.
Pochi giorni prima di morire, consegnò al Wall Street Journal la sua tesi di una Germania ponte fra Est ed Ovest, dove la Deutsche Bank avrebbe giocato il ruolo di motore della riconversione industriale e del nuovo sviluppo democratico.
"Entro dieci anni", spiegò proprio al WSJ, "la Germania Est sarà il complesso tecnologicamente più avanzato d'Europa e il trampolino di lancio economico verso l'Est", sì che "Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e anche la Bulgaria avranno un ruolo essenziale nello sviluppo europeo".

Herrhausen confidò di essersi scontrato "contro massicce critiche" quando aveva proposto al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale di concedere ai Paesi dell'Est usciti dal comunismo una moratoria di qualche anno sul debito.

Il 4 dicembre 1989 sarebbe dovuto essere a New York a perorare, davanti all'establishment finanziario, la fondazione di una banca per lo sviluppo per l'Est Europa che finanziasse la ricostruzione e l'integrazione dell'Est con l'Ovest europeo.

Come intitolò la Bild il giorno dopo l'attentato, ci chiediamo il perchè dell'assassinio di Herrhausen.
Il corrispondente a Francoforte del Corriere della Sera Massimo Nava, a cinque anni dai fatti, nel 1994 scrisse: "La sua Mercedes blindata che salta in aria come un' auto giocattolo e' il simbolo della forza e della debolezza della Germania: che puo' stupire il mondo chiudendo in pochi mesi la "pratica" della riunificazione, ma indifesa di fronte al terrorismo, nonostante gli apparati di sicurezza e il formidabile servizio che protegge lo stesso Herrhausen, considerato il bersaglio piu' significativo dopo il presidente della Repubblica e il cancelliere. La reazione dei tedeschi e' composta, non ci sono isterie, il mondo finanziario e politico tengono bene. Gli anni di piombo sono alle spalle e si volta pagina subito, nella consapevolezza che il cammino del supremo interesse del Paese . la riunificazione . debba procedere senza intoppi. Pochi giorni dopo, il cancelliere Kohl presenta in Parlamento l' ambizioso piano in dieci punti e in dicembre trionfa nelle strade di Dresda, dove la gente dell' Est urla: "Siamo un solo popolo!". Nulla, nemmeno un clamoroso attentato, puo' fermare l' abbraccio delle due Germanie. Eppure qualcuno ci ha provato".

Fu un attentato contro l'unità tedesca, contro la Germania unita, DDR+BRD? Un delitto in nome della Storia? Nonostante l'attentato sia stato rivendicato dalla RAF, le successive indagini non sono riuscite a scoprire i responsabili. Siccome i capi storici del terrorismo rosso - come Andreas Bahder e Ulrike Meinhof -  erano in carcere, si parlò della Stasi, dei servizi segreti della DDR, che avrebbero addestrato terroristi dell'Ovest. Si parlò anche della responsabilità della CIA, ma siamo nella fantapolitica.

Come nel nostro "affaire Moro", anche i tedeschi hanno parecchi nodi da sciogliere. Agli storici il duro compito di fare luce. Con gli archivi aperti.

lunedì 23 novembre 2015

La Jihad non vincerà anche se la battaglia sarà ancora lunga

 
La strage di Parigi del 13 novembre un evento che non dimenticheremo facilmente. Se l'europeo si sentiva al sicuro riducendo il suo orizzonte di viaggio - basta Siria, niente Giordania, Israele è pericoloso, stop al Kenya, no alla Turchia - l'estremismo islamico ha colpito a Parigi, la capitale del Paese dei Lumi.
Ho pianto per Valeria Solesin, un talento (ricercatrice all'Istituto di demografia, alla Sorbona) purtroppo non più tra noi. Chissà quante altre ricerche sul rapporto tra donne e mondo del lavoro poteva sfornare. Leggete questo sua articolo pubblicato su Neodemos per rendervi conto della sua brillantezza.

In una serata a cui ho partecipato il presidente dell'Associazione per il Progresso Economico avv. Pippo Amoroso ha voluto fare un breve intervento, che ho apprezzato per la misura e il senso storico. Ecco ne uno stralcio:
Avicenna, filosofo arabo vissuto intorno anno 1000
a) pochi secoli fa il mondo islamico era più avanti di noi: Averroè, Avicenna, l’Andalusia (la splendida Alhambra di Granada è qui a ricordarcelo);

b) ma l’occidente è sopravvissuto all’Inquisizione, ha vissuto il secolo dei Lumi, ha fatto la Rivoluzione francese, quella industriale, è sopravvissuto a due spaventose guerre mondiali e a diverse crisi economico-finanziarie, ha un’Europa unita ed una comune cultura laica e democratica;

c) il mondo islamico, al contrario, è ancora prigioniero di una religione arretrata che teme le donne, le reprime, è governata da vari autoritarismi e non conosce ancora un effettivo sviluppo economico e culturale
d) nonostante Spengler ("Il tramonto dell’Occidente") e Houellebecq ("Sottomissione"), noi siamo tutti solidamente radicati nel nostro contesto culturale, per cui, di fronte al pericolo, siamo automaticamente tutti soldati del mondo occidentale, mentre gli estremisti islamici sono in netta minoranza persino nei paesi in cui vivono ed operano, tanto è vero che la maggior parte delle loro azioni terroristiche sono rivolte contro i loro connazionali; in Iran, del resto, la sola notizia dell’accordo sul loro nucleare e della prossima cessazione delle sanzioni da parte dell’occidente ha visto la pubblica esultanza della popolazione
e) quindi, nonostante i lutti e i danni materiali e morali sofferti e che ancora soffriremo nel prossimo futuro, vinceremo.
 
Io aggiungo due osservazioni:
Soccorritori a Parigi
1) abbiamo bisogno che il mondo musulmano moderato, che costituisce la stragrande maggioranza dell'Islam si ribelli, faccia sentire la propria voce. Non è più accettabile il silenzio. E' certamente da apprezzare, per esempio, l'uscita dell'imam Abdelmajid Kinanche a Monfalcone guida due centri islamici. In una intervista, seguita da più di un milione di persone sul web, l'imam ha spiegato che "una semplice condanna non basta, che l'Slam non ha alcuna relazione con queste fazioni, che gli assassini a sangue freddo non fanno parte dell'Islam".
Anche il filosofo Abdennour Bidar ha scritto una lettera aperta al mondo musulmano dove invita i musulmani a passare dal riflesso dell'autodifesa alla responsabilità dell'autocritica: "Io chiedo solennementeai musulmani e alla musulmane europee di non restare in disparate, di non cedere alla tentazione di rinchiudersi in se stessi nella difesa eslusiva dei propri interessi.


Amos Oz
2) vale la pena discutere  se non sia necessario un nuovo Piano Marshall a favore del Medio Oriente. Lo scrittore israeliano Amos Oz, intervistato da Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera ha avanzato l'idea di un grande piano di aiuti: «Quasi settant’ anni fa un presidente americano poco carismatico e molto modesto quale era Harry Truman decise che sarebbe stato importante donare una cifra pari a circa il venti per cento del prodotto nazionale lordo del suo Paese per la ricostruzione dell’ Europa devastata dalla guerra. Poi passò alla storia come “piano Marshall”, dal nome del suo segretario di Stato. Ma fu lui il motore primo. Truman fece il miglior investimento di tutti i tempi: la Guerra fredda è stata vinta dagli Usa grazie ad esso. Lui non visse tanto a lungo per vedere il suo trionfo. Però, garantì la democrazia, salvò l’ Europa dai comunisti, dagli estremisti, ne fece un modello di sviluppo invidiato in tutto il mondo, creò un grande mercato utile anche all’ industria americana. A noi oggi serve un gigante di generosità e capacità di guardare avanti come fu Truman. Ci vorrebbe un piano Truman-Marshall per il mondo islamico che dia forza e coraggio ai moderati. Solo così il bastone della guerra ai fanatici potrà avere prospettive di successo».

Come ha scritto Albert Einstein, "Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie ma per quelli che osservano, senza dire nulla".
 
 

lunedì 16 novembre 2015

Ricordo di Luigi Einaudi, economista raffinato

Il 30 ottobre scorso è caduto l'anniversario della morte di Luigi Einaudi, economista con una carriera invidiabile, diventato Governatore della Banca d'Italia (nel 1945-48), poi presidente della Repubblica (1948-1955).

Una delle migliori descrizioni di Einaudi venne fatta da Ugo La Malfa sulla Voce Repubblicana il 31 ottobre 1961: "Luigi Einaudi fu, in politica, un liberale nel più autentico e rigoroso senso della parola, e in politica economica un liberista convinto. Ma a differenza di molti altri uomini di rilievo che si chiamarono liberali come lui, egli aveva la percezione e, quindi, l'odio del privilegio e del parassitismo".

Il leader del partito Repubblicano chiude così il suo coccodrillo: "Della sua probità, dell'alto senso dello Stato che Egli sempre ebbe, dell'austerità con cui intese l'esercizio della vita pubblica, del suo antifascismo, sono testimonianza i lunghi anni di vita parlamentare, il suo esilio e i sette anni in cui resse, dopo Enrico De Nicola, la Repubblica italiana. La più pensosa e nobile tradizione laica visse in lui così come i grandi liberali del Risorgimento la tramandarono agli italiani di nuova generazione. La sua perdita è, perciò, una perdita irreparabile per la nazione anche se il ricordo della Sua opera riempirà alcune tra le più alte e significative pagine di storia nazionale" (l'articolo l'ho trovato naturalmente all'Archivio storico della Banca d'Italia, Carte Baffi, Monte Oppio, cart. 15, fasc. 1, dedicato a Luigi Einaudi).

Come ha scritto Giuseppe Saragat, che succedette più tardi ad Einaudi al Quirinale, "Con Benedetto Croce fu uno dei due che accesero la fiamma dell'antifascismo in nome dello schietto principio di libertà".

Mi piace citare un intervento di Einaudi in Parlamento nel quale spiega il ruolo dell'economista: "Gli economisti quando valgono qualche cosa sono semplicemente coloro i quali applicano alle cose materiali della vita la regola del buon senso cercando di applicarla con la logica e di trarne le conseguenze".

Sembra di leggere Karl Popper sull'epistemologia della scienza.

Ti sia lieve la terra, caro Luigi Einaudi.




lunedì 9 novembre 2015

Il Cardinal Bertone è un vero esempio del messaggio evangelico

L'attico del Cardinal Bertone (Foto La Repubblica)
Settimana scorsa, nello scorrere le pagine dei quotidiani, mi sembrava di essere tornado indietro nel tempo. Evidentemente in Italia il passato non passa mai, le questioni di lustra fa si ripetono, ininterrottamente.

Mercoledì ampio spazio è stato dato allo scandalo in Vaticano. Mentre Papa Francesco - nomen omen - concretamente dà con la sua vita esempi limpidi di sobrietà e amore per il prossimo, la Curia romana spadroneggia e non vuole ridurre i propri privilegi. Semplicemente scandaloso è il comportamento del cardinal Tarcisio Bertone, che ha pagato 200mila euro di lavori di ristrutturazione del suo attico con i fondi della Fondazione Bambino Gesù. Il messaggio di Gesù - "Ama il prossimo tuo come te stesso" - viene cambiato in "Fregatene dei bambini malati e godici l'aperitivo in terrazza".

Nel frattempo George Pell, al timone della segreteria dell'Economia del Vaticano, viaggia in business class e ha un segretario - Denny Casey - a 15mila euro al mese di stipendio. Comoda la vita, eh?

Il Corriere della Sera titola: "Un vecchio carteggio sulla P2 usato per imbarazzare il Papa". Pare che sia stato inviato alla Prefettura degli Affari Economici il 26 aprile scorso un carteggio riservato, risalente al 1970, su affari tra il Vaticano, il faccendiere piduista Umberto Ortolani, braccio destro di Licio Gelli, (le scorribande finanziarie spregiudicate di Rizzoli e Tassan Din, spalleggiate da Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano, spinsero la Rizzoli alla bancarotta) e il banchiere/bancarottiere Michele Sindona, qui leggete un profilo scritto tempo fa, sempre buono. A Sindona arrivavano direttamente Oltretevere lettere così indirizzate: "Mr  Michele Sindona c/o Pope Paul VI, The Vatican, Roma (Italy).

Sindona si avvelenò da solo. Certezza assoluta.
P2, Ior (la Banca del Vaticano), Sindona, Ortolani. Siamo tornati agli anni Settanta. Ecco perchè studio la storia economica del Novecento! Per capire le vicende di oggi.
Per esempio, ora iniziamo a capire perchè Papa Ratzinger diede le dimissioni, cosa mai avvenuta nella storia della Chiesa.

Vorrei porre a costoro alcuni quesiti:
1) come mai fino al novembre 2013 il delegato alla sezione straordinaria dell'APSA (Amministrazione Patrimonio della Sede Apostolica) era Paolo Mennini, figlio di Luigi Mennini, stretto collaboratore allo Ior di Paul Marcinkus, sodale di Roberto Calvi?
2)  “Nella Chiesa c’è chi invece di servire se ne serve: arrampicatori, attaccati ai soldi. Quanti sacerdoti e vescovi! Dio ci salvi dalle tentazioni di una doppia vita, dove mi mostro come uno che serve e invece mi servo degli altri, ha detto il Papa. Ci si chiede di metterci al servizio, ma c’è chi ha raggiunto uno status e vive comodamente senza onestà, come i farisei nel Vangelo" (Papa Francesco a Santa Marta, 6 nov. 2011). Per caso, il Papa si sta riferimento, puta caso, al Cardinal Bertone?
3) Aspettiamo chiarimenti sulla necessità di tangenti per le procedure di beatificazione.
Cardinal Tarcisio Bertone
4) La presidente (dal febbraio 2015) dell'Ospedale Bambino Gesù Mariella Enoc scrive che "l'impegno è voltare pagina rispetto al passato". Come si fa a cambiare se non si fa chiarezza e pulizia sul passato? Vogliamo dire e fare qualcosa con il Card. Bertone che si pappa i contributi dei cittadini a favore dell'Ospedale?
5) Perchè l'Ospedale Bambino Gesù di Roma vince 80-5 a livello di contributi governativi?
6) Il cardinal Bertone al Corriere della Sera ha detto che non vive da solo nei 296 mq in dotazione (di proprietà dell'APSA). Oh, povera stella, con la perpetua in soli 300mq! Cerchi subito un'altra casa, che veramente non è sostenibile lo spazio ristretto in cui vive.

lunedì 2 novembre 2015

Non osate toccare i biglietti del Napoli dei consiglieri comunali!

Il lunedì mattina il calcio domina i discorsi davanti alla macchinetta del caffè. L'Inter torna in testa alla classifica con la Fiorentina, che ha strapazzato il Frosinone. Il Napoli non riesce a vincere a Genova e viene scavalcato.
A Napoli sappiamo che il calcio impregna tutta la città. Ma molti di voi non sanno cosa sta succedendo in consiglio comunale. Due consiglieri, Simona Molisso e Carlo Ianniello, hanno osato mettere in discussione un privilegio atavico concesso al Comune, proprietario dello stadio San Paolo.
Lo stadio avrebbe bisogno di forte manutenzione straordinaria, ma la trattativa tra il club Napoli guidato da Aurelio De Laurentiis e il Comune si è arenata davanti alla possibilità di limitare l'erogazione gratuita di due biglietti per ogni consigliere. Con un italiano da analfabeti, il consigliere Luigi Zambaldi, è intervenuto a difesa dei suoi due biglietti. Sentiamolo: "Oltre i consiglieri, che credo che se lo merita dopo una settimana di lavoro avendo a che fare con i cittadini, ci possiamo premiare di andare a vedere la partita".
Traduzione: siccome il cittadino rompe le palle, il consigliere comunale ha diritto (ah, la cultura dei diritti, cara all'onnipresente Stefano Rodotà) a due biglietti per la partita.
Come ha scritto Claudio Sabelli Fioretti, vale il sillogismo aristotelico: i politici devono essere vicini al popolo; il popolo ama il calcio; i politici devno andare a vedere le partite di calcio. E siccome è un dovere, e non un piacere, devono avere i biglietti gratis. E siccome i doveri vanno assolti in dolce compagnia, debbono avere due biglietti ciascuno.

Inutile sarebbe ricordare al consigliere Zambaldi, che non esistono soldi pubblici, esistono i denari dei contribuenti (Margaret Thatcher, cit.).

Naturalmente la mozione di Molisso e Ianniello è stata respinta con 22 no, 6 astenuti e 5 sì. Degno di nota l'invito del sindaco di Napoli De Magistris, che ha esortato i consiglieri a non fare mercato sottobanco con i biglietti omaggio. I bagarini impazzano, as usual.

Lo stadio San Paolo è datato 1959, ha subito una prima parziale ristrutturazione tra il 1988 e il 1990. Nei successivi 25 anni, salvo interventi di manutenzione per emergenze di vario genere, nulla è stato fatto dalle diverse amministrazioni comunali in tema di manutenzione ordinaria o straordinaria per garantire alla struttura condizioni minimali di decenza in tema di servizi, accessibilità, sicurezza e miglioramento del comfort.
Solo una prossima tragedia porterà a mettersi d'accordo per l'esecuzione dei lavori. Ci saranno lacrime, rimpianti e proteste. Ma non toccate i biglietti ai consiglieri comunali, perchè altrimenti neanche ci si siede al tavolo delle trattative.

lunedì 26 ottobre 2015

Women in gold, Adele Bloch-Bauer, Klimt, il falco Volcker e la bagarre sui beni sottratti agli ebrei

Helen Mirren, che già abbiamo avuto modo di apprezzare nell'interpretazione di Queen Elisabeth II, è la bravissima protagonista di Women in gold (nome che i tedeschi attribuirono al dipinto per nasconderne la vera provenienza), film che vi consigliamo di andare a vedere.

Come scrive Wikipedia, il film è basato sulla storia vera della defunta Maria Altmann, una sopravvissuta all'Olocausto, che, insieme al giovane avvocato E. Randol Schönberg, ha combattuto il governo austriaco per quasi un decennio per recuperare l'iconico quadro di Gustav Klimt Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (dipinto nel 1907) appartenuto a sua zia, che era stato confiscato dai nazisti a Vienna poco prima della seconda guerra mondiale.

Helen Mirren
Dopo essere stato realizzato a Vienna e commissionato da Adele, la moglie dell'industriale Ferdinand Bloch-Bauer, essa chiese al marito di donarlo, assieme ad altre opere di Klimt in suo possesso, alla Österreichische Galerie Belvedere dopo la sua morte. Quando i nazisti invasero l'Austria, il marito, rimasto vedovo, dovette fuggire dall'Austria per rifugiarsi in Svizzera. La sua proprietà, così come i suoi dipinti realizzati da Klimt, vennero quindi confiscati. Nel suo testamento del 1945, Bloch-Bauer designò il suo patrimonio ai propri nipoti, includenti Maria Altmann.
Mentre i dipinti di Bloch-Bauer rimasero in Austria, il governo austriaco sottolineò che, secondo il testamento, dovevano rimanere in quella nazione. Dopo una lunga battaglia legale avvenuta in Austria e negli Stati Uniti (nota come Republic of Austria v. Altmann), una corte di giudici stabilì, nel 2006, che il ritratto di Adele, assieme ad altre opere di Klimt, doveva rimanere in possesso di Maria Altmann.
Per gli appassionati di battaglie giudiziarie, sulla rete trovate interessanti dettagli sulla decisione della Corte Suprema Americana, sotto la voce Republic of Austria vs. Maria Altmann

Maria Altmann con il ritratto di Adele
Durante il mese di giugno del 2006, le opere di Klimt vennero vendute in un asta da Christie's e se li aggiudicò Ronald Lauder, erede dell'impero Estee Lauder, per 300 milioni di dollari (il Ritratto di Adele Bloch-Bauer fu valutato 135 milioni di dollari, oggi vale molto di più). Un mese più tardi, il ritratto venne quindi esposto in mostra permanente nella Neue Galerie di New York di Lauder, come richiesto da Maria Altmann (da notare che i magnati negli Stati Uniti creano collezioni uniche al mondo, aperte al pubblico, in Italia comprano calciatori e squadre di calcio).

Ciò che il film non racconta è un fatto molto rilevante. Dopo aver combattuto e vinto negli anni Ottanta la battaglia contro l'inflazione, Paul Volcker, autorevolissimo banchiere centrale americano, di origine ebraica (qui trovate il suo profilo sul sito della Federal Reserve ), venne nominato nel 1996 presidente del comitato per la restituzione dei beni sottratti agli ebrei durante il dominio di Hitler. Le banche svizzere nicchiarono per un bel po', poi cedettero. Così si racconta sul sito swiss.info:
"Nel maggio 1996, l'Associazione svizzera dei banchieri e diverse organizzazioni ebraiche creano una commissione paritetica composta di persone eminenti e guidata dall'ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker. Essa era incaricata di effettuare verifiche indipendenti, al fine di identificare i conti bancari svizzeri in giacenza".

Paul Volcker
Senza la pressione della lobby ebraica negli States, senza la credibilità di Volcker, senza un movimento d'opinione a favore della restituzione, Maria Altmann non avrebbe potuto vincere la  sua sacrosanta battaglia.
Dopo la svolta del 1996, in cui per la prima volta le banche svizzere sono state costrette a collaborare nella restituzione dei beni, il giornalista investigativo austriaco Hubertus Czernin si mise a lavorare sul caso, convinto di poter trovare dei documenti cruciali. Così successe nel 1998, li mise a disposizione di Maria Altmann, che iniziò la sua avventura giudiziaria.

Le persone sono in grado di cambiare gli eventi. La forza delle idee genera credibilità e autorevolezza. Quando parla Paul Volcker, ancora oggi, eh, - di cui si ricorda sempre la battuta per cui l'ultima innovazione interessante nel mondo della finanza è il bancomat - tutto il mondo si pone in ascolto. Anche lo Stato austriaco (i cui funzionari nel film sembrano degli emeriti scemi) ha ben pensato, nel corso dell'arbitrato di Vienna, che fosse meglio per l'immagine dell'Austria restituire il quadro di Adele Bloch-Bauer a Maria Altmann.

Non vedo l'ora di andare a New York sulla Quinta per apprezzare il quadro di Klimt!

lunedì 19 ottobre 2015

Inside out - la vittoria delle emozioni sul libero arbitrio

La teoria dell'efficienza dei mercati finanziari prevede che gli investitori siano totalmente razionali, e quindi compiano le scelte basandosi solamente sulle informazioni attualmente disponibili. Ma soprattutto che l'homo economicus fondi le proprie decisioni solo attraverso la logica e la razionalità. Non è così, evidentemente.
Quando l'efficienza è massima, si sostiene la non prevedibilità dei mercati in virtù del fatto che le informazioni sono immediatamente assorbite dai prezzi.

Nella mia tesi di laurea nel lontano 1994 riportai Eugene Fama e i suoi studi, corroborandoli con l'evidenza che il prezzo del succo d'arancia fosse immediatamente correlato con le previsioni del tempo in Florida (che abbonda di aranceti).

Tutti ricordano il film "Una poltrona per due", il cui titolo originale era "Trading places", il luogo dove avvengono le contrattazioni. In quel caso proprio - come avviene a Chicago - del succo d'arancia.

Nel film Inside Out che ho visto con i miei figli questo week end, il regista prende la posizione opposta ai teorici dei mercati efficienti, descrive mirabilmente quanto le emozioni impattino sulle nostre scelte.
Il difetto del film è l'assenza di un qualsivoglia ruolo delle facoltà razionali. Sembra che le persone reagiscano solo su base emozionale.
Un tantino esagerato. Come nella finanza, sappiamo bene che i mercati non siano sempre efficienti. Hanno scommesso sui cdo (collateral debt obbligation) americani di pessima qualità - con mutuatari ninja (no income, no income, no asset, no job).  Hanno pagato spread risibili negli anni scorsi sull’Italia, la Spagna e la Grecia, sottovalutando pesantemente il rischio di credito.

Ciò non toglie che i mercati finanziari nel medio termine svolgano correttamente il loro lavoro di allocatori della ricchezza.

Una scena significativa del film evidenzia come l'uomo a cena sia completamente avulso dai discorsi familiari, e invece concentrato su una partita di calcio.

Sarà anche così, ogni tanto, ma non sempre. Il calcio conta eccome (sono tornato scornato ieri sera dopo un'Inter mediocre). Ma nella mia testa, c'è anche dell'altro (oltre a Paolo Baffi, beninteso).

Insomma un film divertente, ma non esageriamo.

mercoledì 14 ottobre 2015

L'esempio di Virginio Rognoni, il caso Mantovani e la trappola del populismo

Settimana scorsa ho avuto il privilegio di essere invitato a Pavia al Collegio Ghislieri - uno dei più antichi del mondo, fondato nel 1567 da Papa Pio V - dove è avvenuta la premiazione di due alunni: il prof. Riccardo Puglisi, vincitore del Premio Ghislieri 2015, e il prof. Virginio Rognoni, a cui è stato conferito il Premio Ghislieri alla carriera.

Nella sala gremita in ogni ordine di posti, i due premiati hanno preso la parola e illuminato la platea con le loro lectiones magistrales.
Virginio Rognoni (uno migliori politici democristiani)- più volte ministro (dell'Interno, nei durissimi anni del terrorismo, e della Giustizia), vicepresidente del Csm - ha intitolato il suo intervento "L'esperienza nelle istituzioni come servizio civile".


Virginio Rognoni
Rognoni è partito da lontano, dall'8 settembre 1943, data dell'armistizio con gli americani, per lui il giorno di iscrizione al Collegio Ghislieri, mentre frequentava la facoltà di giurisprudenza all'università statale di Pavia. Verranno poi tempi felici appena finita la Guerra. Rognoni, appassionato crede nella politica al servizio delle istituzioni, non nel potere arrogante della politica, contro la quale bisogna usare l'ironia e lo sberletto (parole sue).

Sul potere arrogante, abbiamo un esempio fresco fresco: Mario Mantovani, arrestato ieri dalla procura di Milano per corruzione aggravata, concussione e turbativa d'asta, plenipotenziario di Forza Italia in Lombardia, imprenditore nella sanità (tramite la moglie), dove voleva fare il bello e il cattivo tempo. Marco Vitale (che ha vinto l'anno scorso il Ghislieri alla carriera) ha spiegato stamane su Repubblica-Milano che "il moltiplicarsi degli episodi di corruzione è la conseguenza di una concezione proprietaria dello Stato (...). Sulla sanità lombarda è stato praticato il saccheggio perchè chi governava si riteneva padrone assoluto".
Siamo proprio agli antipodi della concezione della politica di Virgilio Rognoni., E' per questo che persone come Rognoni vanno ricordate e poste all'attenzione perchè i politici non sono tutti uguali.

Un altro passaggio interessante dell'intervento di Rognoni riferisce della lotta di potere all'interno delle istituzioni durante il terrorismo nero e rosso degli anni Settanta/Ottanta: "Felice è stata la scelta in quei frangenti, di affidarsi alle forze di polizia e carabinieri e non a consulenti esterni". Un velato riferimento alla volontà del ministro dell'Interno Francesco Cossiga di affidarsi ai consulenti del dipartimento di stato americano (vedasi il ruolo di Steve Pieczenik) durante il sequestro di Aldo Moro?
Intensi furono i rapporti tra Rognoni e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con il quale condivise lo strumento della confisca dei beni per combattere il fenomeno mafioso. Virginio Rognoni con Pio La Torre, poi barbaramente assassinato nel 1982, scrisse materialmente la legge n. 646 del 6 settembre 1982, con la quale si definì il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Rognoni è pacato ma le sue parole sono sferzanti e dense di significato. Cita Aldo Moro: "La politica è fatta di forza ma ci deve essere un fondamento ideale", per poi spiegare come la buona politica deve avere il requisite della verità.
Rognoni, 91 anni portati splendidamente, chiude la sua lectio con un riferimento commovente: "Ancora soffro per le vite spezzate, le vittime di mafia e terrorismo, che fanno parte della memoria del Paese". Applausi sentiti per un galantuono del Novecento, per un politico che ha vissuto pienamente i suoi tempi.


Riccardo Puglisi
E' la volta di Riccardo Puglisi, professore associato di economia politica all'Università di Pavia, collaboratore del Corriere della Sera e dell'Linkiesta, nonchè redattore della voce.info. Vivace, arguto, con un forte senso critico, Riccardo è un abile conversatore. Riesce quindi, a braccio, a farsi ascoltare dalla platea, consapevole che parlare dopo Rognoni è una bella sfida.
Puglisi sceglie di trattare il tema "Euro ed Europa: una terza via tra idealismo e demagogia", un argomento quanto mai attuale con i demagoghi Matteo Salvini e Beppe Grillo che imperversano nel Paese alla ricerca di consenso. Un consenso malato perchè basato sulla fuffa.
Dopo la drammatica estate greca i fautori dell'uscita dell'Italia dall'euro si sono fatti più cauti. Le file dei greci piangenti davanti agli sportelli chiusi delle banche deve far riflettere.
Puglisi sottolinea come ci sia una forte divergenza di opinioni tra la generazione dei padri/nonni e la nostra generazione, che guarda con "occhi più disincantati" al progetto europeo: "In maniera colposa o dolosa, questo disincanto può velocemente trasformarsi nella demagogica ricerca di un capro espiatorio".
"Uno spettro si aggira per l'Europa", dice Puglisi, si vuole addossare all'Europa la colpa di tutti i mali del mondo. Ma cosa sarebbe successo senza Euro e UE? Puglisi si cimenta in quella disciplina tra storia e immaginazione: l'ucronìa, ovvero lo studio del "non tempo", un esercizio controfattuale. Il fine è costituire una sorta di antidote contro il veleno populistico che considera l'Europa e l'Euro un mostro da combattere.
Con colossi come la Cina, l'India, gli Stati Uniti, come si può pensare che la piccola Italia possa giocare un ruolo economico e politico se fosse da sola, nei mari in gran tempesta? Solo i gonzi possono pensarlo: "Vi sono buone ragioni perchè un'Italia e una Grecia che non siano membri dell'Unione Europea - semplicemente perchè essa non esiste - vengano risparmiate da questi flussi migratori? Sotto quale forma di alleanza internazionale alternative Italia e Grecia troverebbero qualche aiuto esterno?". Sono domande alle quali i populisti nostrani non sanno rispondere.

Collegio Ghislieri

La verità è che l'Italia ha basato la propria politica economica sul deficit spending (che ha fatto esplodere il debito pubblico) e le svalutazioni competitive. Terminate queste due opzioni, grazie al Trattato di Maastricht e all'euro, l'Italia deve pensare a come migliorare la propria produttività totale dei fattori tramite l'innovazione e il progresso tecnologico. Lo saprà fare? Ai posteri l'ardua sentenza.

Puglisi chiude tra gli applausi il suo intervento invitando l'Unione Europea a raccontare che cosa sarebbe successo ai suoi cittadini se non fosse mai nata, una sorta di "uchronic telling". Chissà se da Pavia il messaggio è giunto a Bruxelles e Strasburgo.

Ciò che conta è l'esperienza personale. Mentre tornavo verso Milano, dopo la cena nel porticato del Collegio Ghislieri, ho pensato a quanto queste due lezioni di Rognoni e Puglisi siano fonte di pensiero e azione. L'Italia è piena di persone serie e preparate. Mettiamole in condizioni di lavorare per il bene comune.

martedì 6 ottobre 2015

In Francia il comunismo non è morto e lo Stato sociale non basta più

Xavier Broseta., direttore personale di Air France
La foto del direttore del personale di Air France che scappa con la camicia strappata - tenendo stretto il suo tablet nelle mani - inseguito dai lavoratori è qui a ricordarci che la flessibilità del lavoro non è ancora entrata nella zucca dei lavoratori europei, viziati da uno Stato sociale che non ha più le risorse per tutelare tutti i lavoratori.
Mentre i giovani hanno capito da tempo che la flessibilità dei rapporti di lavoro (il precariato detto più volgarmente) è strutturale, gli altri, i più avanti con l'età, pretendono che il welfare state li accompagni in pensione a 45 anni (modello Termini Imerese, per intendersi, cassa integrazione a vita per tutti, tanto paga Pantalone).

Abbiamo quindi un sistema duale: i giovani, senza alcuna tutela, e i meno giovani stretti, ancorati al posto di lavoro, inamovibili, con stipendi nettamente maggiori, anche se la produttività è nettamente più bassa (vedasi gli studi di Andrea Ichino).

Il sistema non regge più. L'Europa ha il 7% della popolazione, il 25% del Prodotto lordo, il 50% delle spese per il Welfare State. Quest'ultimo, andando contro il dettato di William Beveridge, autore del Rapporto omonimo (Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services) del 1942, è stato costruito come se l'economia fosse in uno stato perenne di "miracolo economico", come se un lavoratore avesse nella sua vita un singolo datore di lavoro. Se si perde il lavoro perchè l'azienda chiude, l'unica alternativa è rapire o sequestrare i manager o legarsi con le catene sopra un silos.

Bettino Craxi
Dove era la politica quando il mondo cambiava? Si sollazzava gridando a tutti: "E la nave va" (Bettino Craxi, cit.). La politica economica è stata fondata sul defict spending e le svalutazioni competitive. Col blocco della spesa pubblica (grazie al Trattato di Maastricht), e la fine del deprezzamento della lira/introduzione dell'euro ha decretato la conclusione di un'epoca.
Dove erano i giuristi dei diritti per tutti, come il prof. Ro-do-tà sempre in tv, quando la natalità si invertiva rendendo insostenibile il sistema pensionistico retributivo?

La Francia è messa addirittura peggio di noi, la sinistra ortodossa e corporativa è potente. Il corollario è che l'incidenza della spesa pubblica sul Pil supera il 56%, mentre noi italiani siamo "solo" al 51,1%.
Cosa aspettiamo a modificare il nostro welfare State? Cosa fa la politica per favorire politiche di flexsecurity?

giovedì 1 ottobre 2015

Il caso Volkswagen è la dimostrazione di una profonda differenza culturale tra Stati Uniti ed Europa

La truffa Volkswagen è l'argomento del giorno. Mai e poi mai un italiano avrebbe potuto pensare che la seconda casa automobilistica del mondo (la prima è Toyota) agisse così smaccatamente con l'obiettivo di prendere in giro i consumatori e le autorità di controllo dell'inquinamento dei motori diesel, notoriamente più inquinanti dei motori a benzina.

Se fosse stata la Fiat a organizzare questo colossale inganno, tutto il mondo ci avrebbe dato addosso confermando nella percezione che l'italiano è un soggetto poco affidabile.

Adesso per la Volkswagen nulla sara più come prima. Dopo le dimissioni dell'amministratore delegato Martin Winterkorn, sarà tutta la governance del colosso tedesco da cambiare. Questo non è infatti il primo episodio anomalo. Pochi ricordano che qualche anno fa la Volkswagen fu protagonista in borsa di un rialzo assurdo poco dopo la crisi Lehman. Porsche rastrellò segretamente il 43% delle azioni Volkswagen e un altro 31% tramite derivati. In due giorni il titolo Volkswagen guadagno il 500% poichè gli operatori ribassisti - short - sul titolo furono costretti a ricoprirsi ma il flottante scarseggiava, tirando su il titolo all'impazzata.

Credo che una riflessione vada fatta sulla diversità culturale tra Stati Uniti ed Europa. Quando entriamo negli Stati Uniti, nel compilare il form in aereo, noi europei sorridiamo quando ci viene chiesto se siamo mai stati condannati per reati penali, se siamo in possesso di armi o altre domande apparentemente assurde, ma che sono tenute in considerazione dalle autorità americane, che non tollerano bugie e malafede. In America contano due cose: l'accountability e l'enforcement. Bisogna rendere conto dei propri comportamenti, in modo trasparente e chiaro, senza opacità e se si infrangono le regole, la punizione è immediata, la sanzione è pesantissima, non a babbo morto, come da noi in Italia.

Non è stato sottolineato abbastanza che la Volkswagen ha ammesso di aver truffato il software di misurazione dell'emissioni inquinanti solo dopo che il direttore dell'International Council on Clean Transportation (ente privato, finanziato da privati) ha indotto l'Epa, United States Environmental Protection Agency, a minacciare il blocco delle vendite negli Stati Uniti delle vetture Volkswagen. Se non fossero stati messi alle strette, i tedeschi non avrebbero ammesso alcunchè.

In Europa, invece, vale il detto "carta canta". Se le carte sono a posto, puoi continuare a ingannare il prossimo per decenni (vedi caso Parmalat, dove con uno scanner erano in grado di riprodurre depositi bancari per miliardi di euro).
Come ha documentato il Financial Times il 28 settembre - EU was warned two years ago over VW-type emission cheat devices - i funzionari dell'Unione Europea hanno chiuso tutti e due gli occhi in presenza di anomalie nella misurazione delle emissioni inquinanti. La potente Germania si oppose ad andare a fondo. Le carte erano ok.

Negli Stati Uniti colui che ha investito causandone la morte la giovane sposa italiana Alice Gruppioni è stato condannato a 42 anni. Non ci saranno sconti di pena, indulti, condoni, leggi Gozzini. Uscirà tra 42 anni, se sarà ancora in vita (l'omicida ne ha 39). In Italia, per incidente colposo non si va neanche in galera .

lunedì 21 settembre 2015

Il Califfato islamico aiuta l'integrazione in Occidente, tramite l'emigrazione

Come ha evidenziato tempo fa Bernard-Henry Lévy sul Corriere della Sera il Califfato islamico o Isis - nato essenzialmente per bloccare la globalizzazione - sta causando il più grande flusso migratorio intercontinentale che la storia ricordi.
La sconfitta culturale di queste persone ossessionate sta tutta nella fuga dei loro vicini di casa. Nato per difendere il mondo musulmano dalla contaminazione con l’Occidente, il Califfato conquista terreno con le armi scatenando una vera e propria guerra civile. La conseguenza è la migrazione di migliaia di musulmani verso l’Europa. La risultante complessiva è una formidabile accelerazione dell’osmosi tra popoli di continenti, culture e religioni diverse.

In relazione a un possibile intervento militare in Siria, a fianco del terribile Bashar Assad, mettendo insieme Russia e Stati Uniti, l'ex presidente del Consiglio Giuliano Amato pensa che si sia superata la misura e che sia necessario fare qualcosa contro l'Isis, definito un pericolo paragonabile al nazismo. In una intervista a Claudio Cerasa, direttore del Foglio, il dottor Sottile dice:

Bisogna mettersi in testa che la minaccia costituita dallo Stato islamico è una minaccia non inferiore a quella rappresentata dal nazismo nello scorso secolo. E se ci fosse un Kissinger - è appena uscito il volume di Niall Ferguson, Kissinger; 1923-1968 (Penguin Press), per chi si volesse cimentare sono oltre 1.000 pagine - in Europa non avrebbe dubbi su che fare. Non possiamo fronteggiare l’onda lunga della fuga dei siriani senza affrontare in modo efficace il problema siriano. E a questo fine non bastano i droni”. Giuliano Amato si schiera per un’azione militare proporzionata al livello della minaccia, quindi superiore rispetto agli attuali bombardamenti, iniziati un anno fa e finora incapaci di far arretrare l’ISIS.
”Se dovessi immaginare una soluzione ideale come modello per portare avanti un intervento militare immagino quel che abbiamo fatto nei Balcani: robusto intervento militare e promozione di poteri locali misti”. Il giudice costituzionale esclude che la nostra Carta impedisca una simile azione. ” L’Italia ripudia la guerra solo come mezzo di aggressione degli altri, ma non la esclude affatto per difendersi. E per difenderci dall’ISIS non dobbiamo aspettare che arrivi in Pianura padana”.

Henry Kissinger
Nella realpolitik internazionale vale il concetto che il nemico del mio nemico è mio amico, per cui dobbiamo sperare che Obama si metta d'accordo con Putin per aiutare il pessimo Assad a sconfiggere militarmente il Califfato Islamico, prima che la sua espansione in Kurdistan, in Iraq e in Siria diventi letale".

L'Occidente rischia di sbagliare in qualsiasi caso. Se non interviene, l'Isis si allarga. Se interviene, viene accusato di infrangere la sovranità altrui. Un bell'impasse.

mercoledì 16 settembre 2015

Quando dall'estero si critica l'austerity, è opportuno conoscere la realtà italiana. Altro che austerity, esiste da sempre il Partito della spesa

In questi 7 anni di crisi economica abbiamo spesso visto diversi economisti stranieri criticare l'austerità, che in Italia non c'è mai stata poichè la spesa corrente primaria - ossia al netto degli interessi sul debito pubblico esistente - è sempre salita dal 1955.

Martedì 15 settembre l'economista americano James Galbraith intervistato su Repubblica ha evidenziato che "l'ossessione per il debito e la finanza pubblica ha portato l'Europa a sprofondare nella recessione". Galbraith dall'alto della sua conoscenza, lontanissimo negli Stai Uniti ci viene a fare la lezioncina di politica economica, ma l'Italia la conosce ben poco.
Lo aiutiamo noi. Il 13 settembre su Repubblica-Palermo Antonio Fraschilla ci informa che in Sicilia sono ci sono 76 dirigenti del dipartimento dei Beni culturali senza incarico, ossia pagati per non fare nulla. Abbiamo già parlato su questo blog dell'assurda situazione dell'Assemblea Regionale Siciliana, dove esistono degli impiegati la cui mansion è portare le carte fisicamente da un ufficio all'altro. Federico II si sta rivoltando nella tomba.

I 76 manager senza incarico sono solo il 4,2% dei 1.818 dirigenti della Regione siciliana censiti a fine 2013 (nel 2015 saranno sicuramente di più). In diversi casi, i dirigenti dirigono se stessi, nel senso che non hanno sottoposti. Hanno un ufficio tutto loro come il direttore del parco archeologico di Morgantina, famosissimo nel mondo, eh. In tutte le regioni italiane a statuto ordinario i dirigenti complessivi sono 2.152. E' noto, peraltro, che il dirigente pubblico, al contrario di quello privato, è di fatto illicenziabile.

Aspettiamo con ansia il prossimo decreto per salvare la Regione Sicilia che ha un buco nei conti colossale. Per miliardi di euro. Nell'attivo ha ancora dei crediti per le aree sottoutilizzate (fondi FAS) che non esistono più. Nel frattempo sotto Palazzo dei Normanni stazionano a fumare una sigaretta decine di autisti nei pressi delle numerosissime auto blu, rigorosamente straniere, Audi A6 in primis.

Se Sergio Marchionne avesse, per ipotesi, pieni poteri e potesse cambiare le regole e gli incentivi nella pubblica amministrazione, licenziando anche i nullafacenti, il risparmio di spesa corrente sarebbe nell'intorno dei 100 miliardi di euro l'anno. Se la spesa corrente non viene ridotta, non ci saranno mai le risorse per gli investimenti.

Caro Galbraith, in Italia l'austerity non c'è mai stata. Ciò che è sempre esistito è il "partito della spesa" (copyright Guido Carli).

giovedì 10 settembre 2015

11 settembre 2001, una data da non dimenticare

Sono toccanti le parole del Memorial September 11, che ogni anno invita a commemorare e non dimenticare tutti coloro che sono deceduti nelle Torri Gemelle quella tragica mattina del 2001: "As the anniversary of September 11 approaches, our thoughts are once again with all those who lost loved ones on that tragic morning. We remember the names, faces, and lives of the men, women, and children who were killed, and look for ways to ensure that each and every one of them is not forgotten. As we commemorate here at the Memorial, we invite you to join us in remembering September 11 and all that this day means".

Non dimentichiamo. Lo scrittore Christian Salmon l'altro giorno su Repubblica ha spiegato come l'11 settembre abbia dato via alla guerra delle narrazioni (alias storytelling): "La posta in gioco non sono più dei territori o delle risorse naturali, ma il controllo della narrazione dominanti, l'attenzione e il credito che riceve. Questa guerra ha come teatro delle operazioni non più i campi di battaglia tradizionali, ma gli schermi dei nostri computer e cellulari, e come armi non più aerei e carri armati, ma storie, immagini, metafore che circolano sui social network. E' una guerra che mobilita immagini e parole ai fini di persuasione o seduzione".


September 11 Memorial
Salmon vuole dirci che, nell'era della civiltà delle immagini, l'attentato dell'11 Settembre 2001 non era solamente mediatico, ma media-attivo, nel senso che l'effetto di stupore prodotto dale immagini prosegue la sua azione corrosive molto tempo dopo l'evento. Si ha una "trasfusione di terrore" attraverso le immagini della tv e sui nostri smartphone.

Come parlarne con i nostri figli? Nell'era della trasparenza, una riflessione è dovuta. Io sono stato al September 11 Memorial. E' una visita che va fatta. Perchè la memoria è la risorsa che ci consente di elaborare il lutto e trovare le forze per andare Avanti e guardare con fiducia al futuro.

mercoledì 2 settembre 2015

Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa vive ancora in tutti noi

Verso la fine del colloquio di maturità, la mia mente improvvisamente si ricordò di Ugo Foscolo e recitò al volo il celebre passo dei Sepolcri

A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta.

Passati decenni dal lontano 1989, ho la consapevolezza di dire che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa rappresenti l'urne de' forti, un forte stimolo a compiere egregie cose. Nonostante sia stato barbaramente assassinato, Dalla Chiesa vive in tutti noi. Personalmente mi  recherò domani in Piazza Diaz alle 18.30 per la commemorazione.

Il 3 settembre cade l'anniversario del barbaro assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emmanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo.

Dalla Chiesa, sceso a Palermo nella primavera del 1982 come Prefetto, cercò di combattere il fenomeno mafioso - che lui conosceva bene avendo comandato dal 1966 al 1973 la legione dei carabinieri di Palermo - non solo a livello repressivo, ma lavorando sui diritti dei cittadini, ridotti a sudditi da parte della criminalità organizzata.

La A112 del Generale Dalla Chiesa crivellata di colpi
Il giudice Gian Carlo Caselli, collaborator di Dalla Chiesa sul fronte del terrorismo - ha ricordato: “Dalla Chiesa ha occupato gran parte dei suoi 100 giorni come Prefetto di Palermo a parlare ai ragazzi delle scuole, agli operai dei cantieri navali, alla cittadinanza. Perchè sapeva che l’antimafia “delle manette” deve intrecciarsi con l’antimafia “dei diritti”. Altrimenti non si risolve nulla”. Caselli ha definito in passato il Generale Dalla Chiesa "un servitore dello Stato fino all'estremo sacrificio".

Nell’intervista – testamento spiritual, tutta da leggere - a Giorgio Bocca 23 giorni prima di essere ucciso, il Generale Dalla Chiesa disse: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi caramente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Dalla Chiesa impersonava il potere, che in Italia viene considerato un qualcosa di negativo. Occorre distinguere, tra potere responsabile e potere irresponsabile. Ci viene in soccorso Marco Vitale, economista d'impresa, che ha scritto in proposito una pagina notevole:


"Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia".

Segnalo il commovente ricordo cinematografico della nipote del Generale, Dora Dalla Chiesa.

Ti sia lieve la terra, caro Generale Dalla Chiesa.