lunedì 22 febbraio 2016

Omaggio a Umberto Eco, straordinario cultore del libro, della curiosità e della conoscenza

La notizia della morte di Umberto Eco mi ha intristito molto. Un gigante, uno straordinario personaggio. Cultore del libro, curiosissimo, bibliofilo di vaglia. Non a caso uno dei più riusciti aforismi di Eco è il seguente:                              
 
Lo leggevo fin da ragazzo. Ricordo ancora il momento in cui mio padre mi consigliò di leggere "Il nome della rosa": rimasi affascinato dalla figura di Bernardo Gui, terribile Inquisitore. Quando uscì il film tratto dal libro di Eco, mi convinse ancora di più il Gui interpretato da Murray Abraham, che poi vinse il premio Oscar con l'interpretazione di Salieri in Mozart. Oggi sul Corriere della Sera Abraham dice: "Sono orgoglioso del mio Inquisitore, che cercava colpevoli, ma in fondo, me lo ripetevo ogni giorno sul set, voleva penetrare il mistero della vita".

Eco disegnato da Tullio Pericoli
Stamattina, appena giunto in ufficio sono andato subito a cercare la cartelletta di carta "U. Eco", dove ho raccolto alcuni articoli di Eco degli ultimi 20 anni. Ne scelgo uno. Una bustina di Minerva sull'Espresso del 1° dicembre 2011. Si intitola "L'importanza di essere classico", e tratta dell'aumento delle iscrizioni al liceo classico.
Eco scrive: "Tutti sappiamo che il futuro sarà sempre più dominato dal "software" a scapito dell'"hardware", ovvero della elaborazione dei programmi più che dalla produzione di oggetti che ne consentono l'applicazione. Steve Jobs è diventato quel che è diventato non perchè ha progettato degli oggetti che si chiamano computer o tavolette (che ormai li costruiscono i paesi del Terzo mondo) ma perchè ha ideato programmi innnovatori che hanno reso i computer più efficienti e creativi di quelli di Bill Gates, che fa peggio a ogni nuova versione di Windows".
Con tutti gli intellettuali italiani pesanti come mattoni, Eco ci regalava con leggerezza alcune riflessioni, che valgono bien sur a distanza di tempo.
"Quindi - scrive Eco - l'avvenire è di chi sappia ragionare in modo da inventare programmi. E si dà il caso che chi abbia fatto una tesi di logica formale, di filologia classica (come Carlo Azeglio Ciampi!, ndr), di filosofia, abbia allenato una mente più adatta a inventare programmi (che sono materia del tutto mentale) di chi abbia studiato come fabbricante di "ferraglia".
Eco visto da Pericoli
(...) C'era una volta un signore che si chiamava Adriano Olivetti (imprenditore sovversivo, secondo la perfetta definizione di Marco Vitale, ndr), il quale, quando ancora i computers occupavano ciascuno uno stanza - assumeva laureati in materie umanistiche, che magari avevano fatto una tesi (ma una buona rigorosa ricerca) su Aristotele o su Esiodo, poi li mandava per sei mesi in fabbrica, perchè capissero per chi dovevano lavorare, e alla fine ne faceva delle menti altamente produttive per un futuro tecnologico.
Italiani, allora, cercate certo di coltivare un poco di più le materie scientifiche, ma vi invite alle "humanitates" non abbandonate (e non condannate a morte) gli studi umanistici. Il future è di chi sappia con mente agile unire quelle che P. C. Snow (che non aveva capito gran che) chiamava le "due culture", ritenendole irrimediabilmente separate".

Chiudo con una battuta del suo amico jazzista Gianni Coscia, che ha raccontato una telefonata con la madre di Eco, la signora Rita, che gli disse al telefono: "Gianni, convinci Umberto a fare Giurisprudenza come te. Vuole fare Filosofia. Ho così paura che rimarrà senza lavoro e morirà di fame". Gianni, con ironia, ricorda di aver risposto: "Cara Signora Rita, può stare tranquilla, perchè qualsiasi cosa farà Umberto, non morirà di fame".

Che la terra ti sia lieve, caro Umberto Eco.

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