mercoledì 13 aprile 2016

La cultura dei Giovani Imprenditori di Confindustria lascia molto a desiderare

Federica Guidi e Gianluca Gemelli
Le intercettazioni relative alla vicenda della ministra Federica Guidi - che ha favorito il "marito"/non più "marito" Gianluca Gemelli affinchè prendesse una parte di business di un subappalto petrolifero a Tempa Rossa in Basilicata - ci inducono a riflettere sui valori fondanti dei Giovani Imprenditori di Confindustria, struttura in cui hanno fatto carriera sia la Guidi - presidente dei Giovani dal 2002 al 2005 - che Gemelli, vicepresidente nazionale e poi presidente dei Giovani Imprenditori di Siracusa.

In quali valori credono i Giovani Imprenditori? Quali regole seguono per conquistare un appalto, una concessione, un business, pubblico o privato? Qual è l'orientamento strategico di fondo, direbbe Vittorio Coda. Secondo loro, par di capire, è normale fondare i fattori critici di successo della propria impresa sull'influenza che si una su un ministro che ha il potere di modificare un emendamento?
Dalla vicenda emerge una concezione del mercato lontana anni luce dalla concorrenza e dal rispetto delle regole. Aveva ragione Roger Abravanel anni fa a criticare i Giovani Imprenditori e definirli figli di papa? Probabilmente sì.

Quando nel 2006 a Vicenza gli imprenditori di Confindustria si riunirono per parlare di "Concorrenza, bene pubblico", la bagarre creata ad arte con Diego Della Valle da Silvio Berlusconi con il suo arrivo in elicottero e la claque al seguito fecero perdere di vista la volontà di alcuni imprenditori di uscire dalle logiche del corporativismo e aprirsi veramente alla concorrenza, nazionale e internazionale.

Peccato perchè l'Italia ha certamente bisogno di fair competition e di enforcement, di sanzioni effettive per coloro che sono persistenti nella disapplicazione delle regole. Deve necessariamente aumentare la convenienza per coloro - e sono tanti - che rispettano le regole del gioco.

E' singolare come il giacimento petrolifero di Tempa Rossa - nell'alta valle del Sauro in Basilicata - sia non lontano da Chiaromonte (nel volume si nascose il vero nome e si inserì il nome di fantasia Montegrano), località visitata per mesi dal sociologo Edward Banfield nel 1974, da cui trasse il fortunato volume "Le basi morali di una società arretrata".

In questo libro Banfield descrisse mirabilmente la cultura del "familismo amorale" arrivando a ipotizzare che certe comunità sarebbero arretrate soprattutto per ragioni culturali. La loro cultura presenterebbe una concezione estremizzata dei legami familiari che va a danno della capacità di associarsi e dell'interesse collettivo. Gli individui sembrerebbero agire come a seguire la regola:
"massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo".
L'amoralità non sarebbe quindi relativa ai comportamenti interni alla famiglia, ma all'assenza di ethos comunitario, all'assenza di relazioni sociali morali tra famiglie e tra individui all'esterno della famiglia.

Sono passati 42 anni dal volume di Banfield e attendiamo ancora che il capitalismo familiare sano - vero pilastro dell'industria italiana - abbia la meglio sul "familismo amorale", così ben appreso dal duo Guidi-Gemelli.

Magari l'attuale presidente dei Giovani Imprenditori Marco Gay ha qualcosa da dirci in proposito.

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