martedì 19 dicembre 2017

Buon Natale a tutti i miei lettori con le parole sagge di Adriano Olivetti



Adriano Olivetti è stato un imprenditore straordinario. Alle sue capacità manageriali che portarono la Olivetti ad essere la prima azienda del mondo nel settore dei prodotti per ufficio, unì un'instancabile sete di ricerca e di sperimentazione su come si potessero armonizzare lo sviluppo industriale con la affermazione dei diritti umani e con la democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica.
Prese le redini della società dal padre Camillo, trasformò l'impresa in un colosso con filiali in tutto il mondo. Come ha scritto Marco Vitale, Adriano Olivetti può essere considerato (come venne scritto in un rapporto della Prefettura di Aosta durante il fascismo) un sovversivo: "E come può non essere sovversivo un imprenditore che entra nella fabbrica paterna a 23 anni (nel 1924) quando questa produce 4.000 macchine da scrivere all’anno con 400 dipendenti – dunque 10 macchine all’anno per addetto – e che quando muore prematuramente, lascia un gruppo che nel 1958 festeggia il cinquantesimo anniversario con circa 25.000 dipendenti, con cinque stabilimenti in Italia e cinque all’estero, dai quali escono sei macchine al minuto; i cui dipendenti hanno un livello di vita superiore dell’80% a quello dei dipendenti di industrie similari; che si prepara a digerire, sia pure con fatica, l’acquisizione della mitica Underwood americana; che sta già affrontando la nuova sfida dell’elettronica; cha ha saputo imporre al mondo intero uno stile e un design che sono diventati un riferimento per tutti; che ha creato la più ricca e significativa scuola di management della storia italiana?".
E' meritorio il lavoro che la Fondazione Adriano Olivetti sta portando avanti al fine di promuovere la figura e il pensiero di Adriano. Tra queste iniziative, vi è una pubblicazione appena uscita che raccoglie i "Discorsi per il Natale", relativi agli anni 1949, 1955 e 1957.

Vi segnalo alcuni passaggi veramente meritevoli.
"Con pazienza e tenacia cercheremo - insieme - i necessari accorgimenti, appresteremo i rimedi, costruiremo ancora qualcosa che ci porti più in alto, sulla lunga via che conduce a fare della nostra fabbrica un luogo civile e umana convivenza". La fabbrica come luogo di elevazione, perchè l'impresa non deve puntare solo al profitto, ma tutelare i diversi stakeholders.
"Organizzandole biblioteche, le borse di studio e i corsi di molta natura in una misura che nessuna fabbrica ha mai operato abbiamo volute indicare la nostra fede nella virtù liberatrice della cultura , affinchè i lavoratori, ancora troppo sacrificati da mille difficoltà, superassero giorno per giorno una inferiorità di cui è colpevole la società italiana.
Anche gli istruttori e i maestri e i giovani del nostro Centro Formazione Meccanici sanno che importa costruire degli uomini, forgiare dei caratteri senza i quali è vana e istruzione e cultura, perchè il volto degli uomini onesti è così importante come il nodo divino che annoda tutte le cose del mondo".
Quante volte su questo blog abbiamo elogiato il valore della lettura e delle biblioteche!

A fronte di coloro i quali parlano e parlano - talk is cheap, dicono in America - Adriano Olivetti ricorda che "la luce della verità, usava dirmi mio padre, risplende soltanto negli atti, non nelle parole". Agire è necessario, ed etico.

Con questo ricordo natalizio di Adriano Olivetti, congedo i miei lettori per il periodo natalizio, augurando a tutti buon Natale e un 2018 ricco di soddisfazioni.

martedì 12 dicembre 2017

Trump compiace i banchieri con la deregulation. I suoi elettori del ceto medio cosa pensavano quando l'hanno votato?

Donald Trump viaggia spedito, sostenuto da una borsa in gran spolvero (oltre il 20% di rialzo in questo 2017). I banchieri americani, non solo si prenderanno dei bonus stellari, ma sono pronti a una nuova "bonanza", grazie a uno scenario molto favorevole a livello regolatorio.
Infatti l'Amministrazione Trump sta smantellando le regole introdotte da Obama per diminuire la probabilità di una nuova crisi finanziaria. Salvatore Bragantini qualche giorno fa sul Corriere della Sera ha scritto: "Obama, consigliato da Paul Volcker, ex presidente della Fed, aveva proibito alle banche di operare in proprio (cioè speculare) usando l’implicita garanzia statale. Di qui nascono le prescrizioni della legge Dodd-Frank, bestia nera delle banche Usa, e l’Ufficio per la Protezione Finanziaria dei Consumatori (Upfc), per evitare nuove truffe". La candidata democratica Elisabeth Warren sarebbe stata un ottimo presidente.
Il candidato di Trump alla presidenza della Fed Jerome Powell attacca il Dodd-Frank Act (che limitava il trading delle banche) e non crede che le banche siano troppo grandi per fallire, per cui, così chiosa Bragantini "Altro che «cattura dei regolatori»; qui la volpe va a guardia del pollaio. La nave degli ebbri avanza cieca nella notte; a bordo ci siamo anche noi".
Nell'ultima intervista di Isidoro Albertini (dicembre 1995), decano degli agenti di cambio, al Sole 24 Ore si legge tanta saggezza: «L'ingordigia è alla base di tutto, una spinta che alla fine ha rotto gli argini».

Winston Churchill
Ricordiamoci come definì il governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King nell'estate 2012 i banchieri di Barclays, Royal Bank of Scotland, HSBC e Lloyds - accusandoli di "trattamento meschino dei clienti, e manipolazione fraudolenta" - "cinici, manipolatori e strapagati".
In un successivo intervento King, parafrasando Winston Churchill e la battaglia d'Inghilterra del 1940, disse: "Mai nel campo dell’intrapresa finanziaria, così poche persone (i banchieri, ndr) hanno dovuto così tanto denaro a così tante persone (i contribuenti, ndr)”.

Churchill - Prime Minister durante la Guerra nonchè premio Nobel per la letteratura nel 1953 per i suoi scritti storici - così ringraziò i piloti della Royal Air Force (RAF), eroici durante la Battaglia d'Inghilterra, combattuta nei cieli inglesi tra l'estate e l'autunno 1940: “Mai così tanti uomini (popolo inglese, ndr) dovettero così tanto a cosi pochi uomini (i piloti della RAF)".

Il massimo è la fregatura che si prende il ceto medio che lo ha sostenuto. In campagna elettorale Trump accusò i grandi banchieri di ogni nefandezza per poi circondarsi degli stessi. I ricchi da che mondo è mondo favoriscono il loro mondo.

Una nota di colore su Trump. Il New York Times ha raccontato la giornata tipo del Presidente: si sveglia alle 5 e mezza, accende subito la tv, si collega alla Cnn per guardare le notizie, poi passa su Fox & Friends per trovare conforto e qualche idea per i suoi messaggi, quindi inizia a twittare. I suoi collaboratori più stretti calcolano che Trump trascorre almeno quattro ore al giorno, di fronte alla tv. E si beve decine di Diet Coke. Ma come fa a non gonfiarsi come un otre?

venerdì 1 dicembre 2017

L'Argentina dei desaparesidos, una storia che va raccontata

E' di qualche giorno fa la notizia della condanna in Argentina di numerosi responsabili della sparizione di intere comunità di persone. Il maxiprocesso per la morte dei desaparecidos e per tutti i crimini commessi durante gli anni della dittatura in Argentina si è chiuso a Buenos Aires dopo cinque anni di udienze con 48 condanne. E 29 dei 54 imputati sconteranno l'ergastolo.
Tra i condannati vi è anche Alfredo Astiz, oggi 67enne, noto come l'angelo della morte. Era un agente sotto copertura del regime che in quegli anni si infiltrò in gruppi di attivisti, compresa l'associazione delle Madri di Plaza de Mayo, che chiedevano la verità sui loro figli scomparsi.

Sono 789 le vittime prese in considerazione dal processo, che è il terzo più grande mai tenuto per i casi di rapimenti, torture e omicidi consumati all'interno dell'Esma (Escuela de Mecanica de la Armada), la scuola tecnica della marina a Buenos Aires, dove, negli anni del regime - tra il 1976 e il 1983 - passarono oltre 5.000 prigionieri politici e la maggior parte di loro fu ucciso dalle violenze o scomparve nei voli della morte.

Jorge Rafael Videla, dittatore argentino
Quando anni fa presi in mano "Il volo" di Horacio Verbinsky, rimasi di sasso. Interruppi la lettura più volte. Il racconto delle torture e dei voli della morte mi angosciava.
Per non parlare di "Garage Olimpo" di Marco Bechis.
"Si renderà conto che abbiamo fatto cose peggiori dei nazisti." Con queste agghiaccianti parole si apre la confessione del capitano della Marina militare argentina Adolfo Scilingo al giornalista Horacio Verbitsky. Dopo quasi vent'anni di silenzio, sopraffatto dall'angoscia insostenibile del ricordo, Scilingo si decide a raccontare come, nel 1976, iniziò il più terrificante genocidio della storia dell'Argentina che portò alla sparizione di trentamila persone, tristemente ricordati nel mondo come i desaparecidos.

Per due anni, ogni mercoledì, dalla base militare della Scuola di meccanica della Marina, aerei carichi di oppositori del regime si levavano in volo diretti verso l'oceano; migliaia di persone, prima torturate e poi narcotizzate, venivano lanciate in mare ancora vive. Un durissimo atto d'accusa contro chi partecipò al terrorismo di stato in un paese dove, a tutt'oggi i responsabili di questa strage sono ancora in libertà.

Mi ha colpito la storia - raccontata da Repubblica - di Pablo Verna, avvocato argentino di 44 anni, che ha inziato a 12 anni a dubitare del padre, al servizio della dittatura militare di Jorge R. Videla: "Si diceva che avesse partecipato al sequestro dei dissidenti politici, alle torture, perfino ai voli della morte. Ma erano accuse vaghe. Restavano nell'ombra. Erano un mistero. Dopo la caduta di Videla chiesi a mia madre, avevo bisogno di sapere. Lei lo ammise. Mi disse che quell'uomo docile, militare di carriera, aveva fatto cose terribili".
Allora il figlio mette alle strette il padre, che confessa e gli consegna un file audio. con la sua confessione. In quanto medico, Julio Alejandro Verna, ammette di essere stato nello squadrone di Campo de Majo, la caserma dell'esercito trasformata in un centro clandestino.
Come medico, sedava i prigionieri, li paralizzava, prima che venissero imbarcati sui voli della morte sul Rio della Plata.
Pablo si presenta alla segretaeria dei Diritti umani del governo e consegna il file audio. Il dossier viene trasmesso alla magistratura. Ma il giudice Alicia Vence non apre alcun procedimento poichè la legge argentina impedisce le testimonianze di accusa dei parenti stretti.
Pablo allora coinvolge altri carnefici che formano il collettino "Historias desobedientes" e chiedono l'abolizione di alcuni articoli di legge. L'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo scrive: "Vogliono tutti testimoniare. Figli contro padri: l'ultimo dramma di una tragedia infinita".
 

martedì 28 novembre 2017

Amadeo Peter Giannini. Il banchiere che investiva nel futuro

Il volume sulla storia di Amadeo Peter Giannini, il banchiere che investiva nel futuro di Guido Crapanzano (Graphofeel editore, 2017) – numismatico di fama - arriva in un momento propizio per parlare dell’ethos, dei valori, delle convinzioni e dei comportamenti necessari per fare il banchiere.

Appena tornato dall'esilio svizzero, nel gennaio 1945, Luigi Einaudi venne nominato Governatore della Banca d'Italia. Nell'aprile 1945 lesse - con qualche momento di commozione per i caduti in guerra - la relazione sul 1943. Un passaggio decisivo è il seguente: “Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati o per chiudere il loro bilancio con un saldo utile, ma devono raggiungere questi giusti fini soltanto col servire nel miglior modo il pubblico”.
Come ha scritto Marco Vitale, "queste parole rappresentano una efficace sintesi della concezione della banca come servizio, contrapposta a quella della banca come puro centro di profitto e di affari, che è diventata dominante nei decenni più recenti. È la stessa concezione che ha guidato altri grandi banchieri italiani che hanno contribuito a dare al Paese un sistema bancario sano e capace di sostenerne lo sviluppo: i Beneduce, i Menichella, i Mattioli, i Cingano, gli Arcuti, i Dell’Amore, i Baffi ed i grandi economisti italiani che si sono battuti per la concezione della Banca come servizio ed, in primo luogo, Federico Caffè".

1.      Purtroppo Amadeo P. Giannini in Italia lo conoscono in pochi. Sono molti di più coloro che conoscono Don Vito Corleone del Padrino, interpretato in maniera sublime da Marlon Brando. Italiani mai grati verso i migliori. Il male fa più notizia del bene.

Jorge Bergoglio con i suoi genitori
2.      Quanti italiani sono andati via dall’Italia perchè non avevano da mangiare!. Anche la famiglia Bergoglio, come ho scritto sul Sole 24 Ore. Il papà del Papa lavorava in Banca d'Italia, assunto nel 1926, per poi dimettersi nel 1929 per seguire la famiglia in Argentina; Luigi, il padre di Amadeo Giannini, era ligure, originario di Favale di Malvaro; Amadeo, nacque nei pressi di San Francisco (San Josè) nel 1870.

3.      I commercianti di frutta, come la famiglia Giannini, guadagnavano più degli agricoltori: “Quando  compri bene, hai già guadagnato”, veniva insegnato ad Amadeo, che ne fece tesoro. Sono le stesse considerazioni che fece Leonardo Del Vecchio - cresciuto da orfano ai Martinitt - che nega il suo denaro per l’acquisizione da parte di Tronchetti Provera di Telecom Italia - a debito - a prezzi di affezione: qui un botta e risposta tra il sottoscritto e Pirelli-Telecom;

4.      Quando a Giannini il consiglio di amministrazione della Bank of Italy propone un premio di 50mila dollari, Giannini rifiuta affermando che “chiunque desiderasse possedere più di mezzo milione di dollari, avrebbe docuto correre dallo psichiatra”. Nel libro “L’arte della mercatura” di Benedetto Cotrugli, mercante raguseo (di Ragusa, attuale Dubrovnik) del 1400, si legge che l’attività del mercante giova al bene comune e, per avere successo, deve esercitarsi nell’ambito rigoroso di uno stile di vita caratterizzato dalle virtù che sono proprie anche dei dettami della morale religiosa, della quale Cotrugli è sicuro conoscitore: operosità, frugalità, prudenza, onestà, moderazione, generosità. Fine dell’attività del mercante è di “acquistare con honore”. Quello che vale per i mercanti, vale anche per i banchieri.

5.      Il banchiere Giannini appoggia la campagna elettorale di James Phelan, brillante avvocato leader nella lotta alla corruzione. E’ un bene che i banchieri si occupino della società, non devono candidarsi, ma devono lavorare per una migliore civile convivenza (così in una lettera di Paolo Baffi a Giorgio Bocca del 1979, dopo i funerali, molto diversi, di Giorgio Ambrosoli e Antonio Varisco).

6.      Giannini frequenta personalità e protagonisti più interessanti dell’epoca, come Federico II di Svevia. Cenacoli culturali. Brain storming molto utile. Il banchiere della Comit Raffaele Mattioli soleva dire: "Perchè dovrei pagare delle persone che la pensano come me?". La valenza del dissenso intelligente.

7.      17 ottobre 1904 aprono gli sportelli della Bank of Italy, con un principio cardine, la banca presta atutti coloro che sono onesti e hanno un progetto valido. Merito di credito, anche per gli emigrati volenterosi e capaci che non avevano garanzie. Giannini si scontra alla Columbus Saving & Loans ed esce dalla compagine azionaria (ereditata). Yunus, il banchiere dei poveri, premio Nobel, non ha inventato nulla. Si devono chiedere referenze alla comunità di appartenenza del soggetto imprenditore.”Giannini esaminava ogni richiesta, valutandola personalmente e dedicando a queste attività  gran parte del suo tempo” (p. 96).

8.      “Il prestito è garantito dalla parola di chi lo riceve e come garanzia valgono i calli delle mani (p. 89). Inoltre, a nessun funzionario o dirigente sarà permesso di prendere a prestito un solo centesimo. Altro che debitori di riferimento!

9.      “Nessuno di noi speculerà mai sul mercato azionario. Ci dedicheremo solo all’attività bancaria”. Conta la gestione caratteristica. Sana e prudente gestione, massima aurea.

10.  18 aprile 1906: terremoto biblico in California. Dopo soli 6 giorni Bank of Italy riapre, Giannini esce con il carretto per prestare a chi conosce di persona. Esce lui! Grande esempio, anche oggi.

11.  Giannini finanzia Charlie Chaplin, così come Walt Disney. Come Raffaele Mattioli con Enrico Mattei e l’Agip.

12.  Giannini al termine della carriera si autoridusse lo stipendio (p. 161). Come Donato Menichella. Il figlio Vincenzo Il figlio Vincenzo ricorderà, anche con ironia, le numerose volte in cui il padre aveva chiesto per sé l’autoriduzione dello stipendio: «Mio padre era uno “specialista dell’autoriduzione”. Autoridusse il suo stipendio nell’anteguerra a meno della metà. Non ritirò, quando fu reintegrato all’IRI, due anni e mezzo di stipendio; al presidente Paratore rispose: “Dall’ottobre 1943 al febbraio 1946 non ho lavorato!”. Fissò il suo stipendio nel dopoguerra a meno della metà di quanto gli veniva proposto; lo mantenne sempre basso. Se il
Donato Menichella
decoro del grado si misura dallo stipendio, agì in modo spudoratamente indecoroso! Il 23 gennaio 1966, al compimento del settantesimo anno, chiese ed ottenne che gli riducessero il trattamento di quiescenza, praticamente alla metà, giustificandosi così: “Ho verificato che da pensionato mi servono molti meno danari!”. Ai figli ha lasciato un opuscolo dal titolo: “Come è che non sono diventato ricco”, documentandoci, con atti e lettere, queste ed altre rinunce a posti, prebende e cariche. Voleva giustificarsi con noi: “Vedete, i denari non me li sono spesi con le donne; non ci sono, e perciò non li trovate, perché non li ho mai presi!”. Mia madre (gli voleva molto bene) ha sempre accettato, sia pure con rassegnazione, tali sue peregrine iniziative (anche quando dovemmo venderci la casa e consumare l’eredità di lei); però ogni tanto ci faceva un gesto toccandosi la testa, come a dire: “Quest’uomo non è onesto, è da interdire”, poi sorrideva e si capiva che era orgogliosa di lui».

13.  Prima di decidere, rifletti”, chi compra azioni od obbligazioni deve fare attenzione, studiare i numeri, i bilanci delle aziende. No ai paternalismi. “Il denaro non si crea con l’astuzia, ma prima con il lavoro e poi con la saggezza”, diceva Giannini. “Tocca all’investitore indagare sulle offerte” (ma chi ha voglia di leggere i prospetti informativi?), senza farsi prendere dall’avidità (p. 167). Urge informarsi, studiare, dotare i cittadini dei rudimenti dell'educazione finanziaria.

14.  Giannini: politica del “give back”, con i suoi soldi costruita la Giannini Hall, sede della Fondazione Giannini di Economia Agraria - all'interno di Berkeley University, per finanziare ricerche, insegnamento e formazione di laureati in tale disciplina.
Grazie a Guido Crapanzano che ci ha ricordato questo grande banchiere di origini italiane.

mercoledì 22 novembre 2017

"Sola andata", un volume di Marco Ponti, da leggere per saperne di più sui trasporti in Italia

Domenica scorsa sono intervenuto alla Triennale - in occasione di BookcityMilano (175mila presenze!), manifestazione stupenda che valorizza Milano - alla presentazione del volume di Marco Ponti - già professore al Politecnico di Economia applicata - "Sola andata. Trasporti, grandi opere e spese pubbliche senza ritorno".

Marco Ponti è uno studioso dotato di un forte “sense of humour”. Questo volume è un continuo rimando all’ironia, al paradosso. Il lettore non può che uscirne divertito, anche perchè i temi possono apparire noiosi.

1.      L’attacco del libro è “Beniamino Andreatta”. Nomen omen, come si fa a non apprezzare. Andreatta, grande servitore dello Stato, viene citato da Ponti perchè alla fine degli anni Novanta, in un'intervista a Repubblica, disse testualmente: "I politici che promuovono grandi opere pubbliche sono interessati solo alle loro tangenti". Andreatta subì l’ostracismo della Democrazia Cristiana dopo la sua determinazione nella vicenda del Banco Ambrosiano. “L’establishment italiano è scheletrico e anchilosato, ma cattivo e pauroso. Dare prova di libertà costa carissimo”, ha affermato l’ing. Carlo De Benedetti (Per Adesso, F. Rampini, Longanesi, 1999). “Come Ministro del Tesoro, dopo il fallimento dell’Ambrosiano fece in Parlamento un memorabile discorso d’accusa contro lo IOR e il Vaticano. Dopo quell’episodio Andreatta fu emarginato dalla vita politica italiana per dieci anni. Solo la sua intelligenza e la sua passione politica lo hanno riportato a galla, dopo Mani Pulite”.
      Non è un caso che Ponti citi Andreatta. Secondo me è un tratto autobiografico. Anche Ponti, a causa del suo parlar chiaro, subisce l'ostracismo del mondo italico legato ai trasporti. Viene escluso dalle commissioni, querelato da Azienda dei trasporti milanese (ATM)

2.      Il linguista Tullio De Mauro tempo fa sostenne che “l’emergenza culturale nel nostro Paese dovrebbe preoccupare almeno quanto quella economica”. Secondo De Mauro meno di un terzo degli italiani possiede livelli di comprensione della scrittura e di calcono necessari per orientarsi in una società moderna; Una recente ricerca di Murtinu, Piccirilli e Sacchi ci dice che le competenze economico-finanziarie non sono rilevanti solo per le scelte individuali, ma anche per quelle collettive. Bene. Siccome l’Italia (statistiche OCSE) tra i Paesi nel fanalino di coda, ogni volta che si cerca di contenere il deficit di bilancio, si grida ai danni dell’”austerity” (che sulla spesa corrente non c’è mai stata).



Marco Ponti
Il taglio degli scorsi anni, a livello di spesa pubblica, è avvenuto a danno degli investimenti pubblici. Sui quali, come vorrebbe Ponti, bisognerebbe compiere delle analisi costi-benefici, di cui il Piano nazionale dei Trasporti è privo. Ma con l’abile marchingegno linguistico “opera strategica”, ogni analisi – che danno generalemente un risultato insoddisfacente - è evitabile. Per cui nessuna manutenzione o intervento idro-geologico e, invece, investimenti ferroviari senza senso come la TAV del Terzo Valico Milano-Genova. Con affidamenti senza gara, diciamo “in amicizia”. Mazzoncini, ad FS, parla trionfalmente di 70 miliardi di investimenti del gruppo, e per ben 50 miliardi non è previsto alcun rientro (a fondo perduto); considerati ricavi, a bilancio. Idem nel caso di ATM. O vogliamo parlare dell'ATAC?

Barack Obama, non a caso, precisò che “per i progetti di AV le analisi costi-benefici non danno risultati soddisfacenti”, per cui stanziò pochissimi fondi. Peraltro AV la usano i ricchi per cui lo Stato finanzia le classi abbienti.

3.      Peraltro, perchè le FS devono ridurre gli Investimenti se lo Stato – ossia il contribuente – ripaga tutto a piè di lista? Guai a parlare di sussidi, scrive Ponti. E guai a parlare di pensioni a retributivo per i dipendenti in esubero delle Ferrovie (Lodovico Ligato, ricordate lo scandalo delle lenzuola d’oro?), che ci costano 4 miliardi di euro l’anno.

4.      Tariffe autostradali: nel meccanismo di calcolo, tra i costi sostenuti dai concessionari vi è anche la remunerazione del capitale investito. Se il capitale investito cresce grazie ai profitti, si crea un meccanismo a spirale (p. 21): “più guadagno, più guadagnerò, senza rischi di sorta”. E i contratti di concessione? Sono secretati. Il costo del denaro era ben diverso quando si sono firmati i contratti. i+premio al rischio: i scende grazie alla BCE, ma non per i concessionari, anche in assenza di inflazione. Ironia di Ponti: “Chi scrive tentò di porre un argine a questa situazione....brillante risultato ottenne quello di cessare di colpo di essere consulente del Tesoro”.

5.      Nota di struttura: “A livello più generale c’è da osservare che i grandi investimenti autostradali e ferroviari di dubbia utilità hanno contribuito a spostare capitali ingenti da settori aperti alla concorrenza e all’innovazione, a posizioni di sostanziale rendita”. Chiosa Ponti: “Non sembra certo un beneficio per la crescita e la competitività del paese”.

6.      
Brandeis desk
Spesso nel volume si parla di "soldi altrui", “Other’s people money”, volume di Louis Brandeis, consigliere della Corte Suprema americana nella prima parte del secolo scorso. Chi paga?, direbbe oggi Ugo La Malfa. Bologna: interrata la stazione (costi volati); a Firenze sono le FS ad aver bloccato i lavori. Ma allora perchè si fanno opere inutili? I contribuenti  che pagano non sanno e pagheranno in modo opaco e diluito nel tempo, come maggiore deficit e debito pubblico (Cirino Pomicino's strategy). Il 70% della rete ferroviaria italiana è fortemente sottoutilizzata, ossia sovrabbondante.

7.      Ironia di Ponti: “Prima o poi il traffico arriverà” (Maurizio Lupi, ministro governo Letta, targato Compagnia delle Opere, Cl);

8.      Avere come avversari i cosiddetti Nimby - Not in my backyard, ossia, si facciamo le opere, ma non vicino a casa mia - è molto meglio dei prof. preparati e del mondo della ricerca. Vedi TAV in Val di Susa;

9.      Nei contratti spesso vengono inserite - dal compratore! - delle penali che non hanno alcun senso, visto che siamo in regime di monopsonio, unico compratore sono le Ferrovie dello Stato;

10.  Dopo tanta "depressione" sulle cose che non vanno, alla fine del libro si passa alla "to do list":

a) accountability: qualsiasi spesa rilevante in infrastrutture deve essere preceduta da analisi economiche- finanziarie terze, comparative e trasparenti;
b) l’Italia è un Paese di Paesi (CA Ciampi), per cui la mobilità merci e passeggeri si svolge per il 75% all’interno dei confini regionali, per cui il trasporto su gomma rimarrà dominante;
c) piccole opere e manutenzioni diffuse;
d) aumentare la capacità delle strade locali.

Per non parlare delle nuove tecnologie, delle vetture ibride, di Uber, dei truck di Tesla. Se volete saperne di più, comprate il libro.

giovedì 16 novembre 2017

Impariamo da Giovanni Rana, formidabile imprenditore, ossessionato dalla qualità del prodotto

Venerdì 10 novembre scorso la Banca Passadore & C. ha tenuto a Genova il suo quinto convegno annuale intitolato ad Agostino Passadore, banchiere eccelso. Nella splendida cornice del Teatro Carlo Felice, oltre 2.000 persone hanno preso parte all’evento, coordinato da Ferruccio de Bortoli, nel quale Carlo Cottarelli, Giovanni Rana, Gildo Zegna e Marco Vitale hanno discusso sul tema “Le eccellenze della creatività imprenditoriale italiana”.
Giovanni Rana, che nella vita avrebbe potuto fare l'attore, ha conquistato la platea col suo racconto di vita. Sentirlo parlare è un piacere. Il suo ottimismo è contagioso.
Già in passato avevo avuto modo di incontrarlo e mi aveva colpito la sua affermazione: "Io regno, mio figlio Gianluca governa".
Giovanni Rana ha raccontato come sia partito a fare i tortellini nella stalla del suocero a San Giovanni Lupatoto, comune in provincia di Verona di 25mila anime. E' proprio vero ciò che sosteneva Carlo A. Ciampi, "l'Italia è un Paese di paesi".
Rana veniva a Milano in terza classe a cercare delle macchine ad hoc in Corso Como per produrre i tortellini con la forma che voleva lui. Come tutti i grandi imprenditori, Rana è ossessionato al dettaglio, alla qualità del prodotto. "Only the paranoid survive", diceva Andy Grove.
Pietro Barilla per anni è andato da Rana a San Giovanni Lupatoto per cercare di convincerlo a cedere l'azienda. E Rana non mollava perchè ama la sua creatura. Un giorno fu Rana ad andare da Barilla e vide nel suo studio diversi quadri con raffigurati dei puledri bianchi. Pietro gli disse che i cavalli rappresentavano per lui l'azienda Barilla, in piena corsa, in formidabile crescita. Allora Rana prese la palla al balzo e disse: "Hai presente il dipinto del somarello che ho nel mio ufficio? Ecco, questo rappresenta Giovanni Rana S.p.A., a cui voglio molto bene. Smettila di chiedermi di vendertela!".
Barilla, al contempo, disse a Rana, forte di una ricerca Nielsen, che il "fresco" avrebbe avuto un boom. Così Giovanni Rana ci credette e si diede quindi da fare per produrre il tortellino fresco, con tutta la logistica che ne consegue. Da qui il grande successo di Rana combinato con una campagna pubblicitaria focalizzata sul personaggio Giovanni, che è risultata vincente. Giovanni Rana in tv è come dal vivo, una simpatia traboccante.
Oggi il gruppo Rana fattura il 60% all'estero, con grande traino del mercato americano (in quattro anni 160 milioni di fatturato), dove sono sbarcati anni fa. Tempo fa mi raccontava Gianluca Rana che prima dello sbarco nel mercato inglese si era fatto l'impossibile per garantire delle lasagne di grande qualità. Il pubblico non apprezzò. Allora si cercò di andare incontro al gusto inglese. E fu un successo.

Giovanni Rana ha chiuso il suo intervento di Genova spiegando come dalla partenza con 10 donne nella stalla, oggi siamo arrivati a tremila persone in sei stabilimenti, quattro in Italia, uno in Belgio (che serve il mercato inglese), uno negli Usa: "Sono felice, chiosa Rana, perchè faccio il mestiere più bello del mondo". Oltre mezzo miliardo di fatturato. Non è poco partendo dal niente. Applaudi scroscianti.

giovedì 2 novembre 2017

Il caso Baffi-Sarcinelli 38 anni dopo - Lettera al Corriere della Sera (non pubblicata), replicando a Sabino Cassese che criticava (sic!) le troppe ispezioni della Banca d'Italia

Il 21 ottobre scorso Sabino Cassese sul Corriere della Sera, in un editoriale “Sfiduciare la Banca d’Italia un veleno per le istituzioni”, criticava la mozione parlamentare del Pd, critica verso la Vigilanza della Banca d’Italia.

Nel chiudere il suo articolo, il prof. Cassese ritornava sul caso Baffi-Sarcinelli del marzo 1979, ma a sproposito. Mentre la Banca d’Italia oggi viene criticata per una vigilanza titubante, Baffi e Sarcinelli allora vennero presi di mira, attaccati, incriminati e defenestrati (Sarcinelli addirittura arrestato) perchè vigilavano troppo bene e con incisività.

Sono tornato sulle mie amate Carte Baffi e ho trovato che in quegli anni Sabino Cassese non aveva capito quasi nulla. Ho quindi preso carta e penna e ho scritto (il 26 ottobre) al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana chiedendo di essere pubblicato (la lettera non credo uscirà mai).

 Caro direttore,

 Nell’editoriale Sfiduciare la Banca d’Italia un veleno per le istituzioni del 21 ottobre sul Corriere della Sera Sabino Cassese ricorda l’attacco giudiziario alla Banca d’Italia del 1979 con queste parole: “L’indiretta mozione di sfiducia nell’istituzione Banca d’Italia...rappresenta per essa una ferita persino maggiore di quella inferta nel marzo 1979 da una iniziativa di Andreotti e della Procura della Repubblica”.

Paolo Baffi
Vorrei aggiungere, al fine di rinverdire la memoria dei fatti, che in quegli anni il prof. Cassese non capì in alcun modo il cambio di passo nella politica di Vigilanza adottata da Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, segnando una forte discontinuità con il governatorato di Guido Carli.

Infatti in un articolo sull’Espresso del 20 agosto 1978 – A via Nazionale il burocrate grida: ho vinto! – Cassese accusò la Banca d’Italia di non collaborare col sistema politico-amministrativo e di formalismo, poichè, a suo dire, la Banca d’Italia eccedeva – a seguito delle ispezioni nelle banche vigilate - nelle denunce alla magistratura. Così Cassese: “Nel 1975, queste [denunce, ndr] furono 67; nel 1976, 117; nel 1977, 59. Per gli anni che precedono [con Carli governatore, ndr], ...si ha ragione di ritenere che il fenomeno fosse sconosciuto negli anni 1960 e fosse inferiore a poche decine dal 1970 al 1975...Ci si chiede se la Banca d’Italia non possa prevenire i reati [chissà cosa penserebbe di questa affermazione Ignazio Visco oggi, ndr]: essa deve indirizzare e governare il credito, non agire come una Procura della Repubblica o la Corte dei Conti del sistema creditizio”. Cassese non comprese l’importanza vitale delle ispezioni in loco, decisive per scoprire il malaffare. Sono state proprio le ispezioni all’Italcasse di Arcaini dell’agosto 1977 e al Banco Ambrosiano di Calvi nel 1978 – oltre alla contrarietà al salvataggio-papocchio della Banca Privata di Michele Sindona - a segnare – purtroppo - la fine del “duo inafferrabile” Baffi- Sarcinelli.

Donato Masciandaro
Non è un caso che Donato Masciandaro, direttore del Centro Baffi Carefin Baffi della Bocconi abbia definito Baffi il “Governatore della Vigilanza”. Fu proprio il cambio di rotta nelle politiche di Vigilanza che indusse la politica a reagire servendosi della peggiore magistratura romana (altro che “porto delle nebbie”, meglio definirlo “porto delle follie”). Lo storico Alfredo Gigliobianco scrive: “Baffi, insieme con Sarcinelli, contrastò i fenomeni degenerativi che si manifestavano in quegli anni, usando anche con efficacia e senza timori reverenziali lo strumento delle ispezioni”.

Cassese chiuse il suo ragionamento nell’agosto ’78 chiedendosi se la Banca d’Italia fosse “passata all’opposizione”. Intanto Baffi, ferito da Cassese, era già sotto indagine fin dal 7 aprile 1978, inizio del fantomatico “disegno criminoso”.
Cassese, a cui ho scritto allegandogli la lettera, mi ha risposto così: "Da quanto lei stesso scrive si evince che mi riferivo alla prassi di attivare le procure, non alla vigilanza in quanto tale".

Gli acrobati sono una specialità italiana.

venerdì 13 ottobre 2017

Il dualismo italiano nord-sud: una storia infinita. Un aggiornamento serio di Emanuele Felice

Qualche settimana fa la Banca d'Italia ha pubblicato un Quaderno di storia economica con un paper di Emanuele Felice, valente storico dell'economia, dal titolo "Le radici del dualismo: PIL, produttività e cambiamento strutturale nelle regioni italiane nel lungo periodo (1871-2011)".
Il lavoro ripercorre l’evoluzione della disuguaglianza regionale in Italia nel lungo periodo, dagli anni  intorno all’Unificazione (1871) fino ai nostri giorni (2011). Nella storia della disuguaglianza regionale in Italia si possono distinguere quattro fasi: moderata divergenza (l’età liberale (1871-1911)), forte divergenza (le due guerre mondiali e il fascismo, 1911-1951), generale convergenza (il miracolo economico, 1951-1971) e infine la polarizzazione in "due Italie" (1971-2011).
In quest’ultimo periodo, per la prima volta il PIL e la produttività, così come gli addetti per abitante e la produttività, hanno seguito due sentieri opposti: il divario Nord-Sud è aumentato nel PIL, diminuito nella produttività.
Felice, autore del notevole Perchè il Sud è rimasto indietro (il Mulino, 2014), ritorna ad appassionarsi sul tema dei divari regionali con un data-set aggiornato. Fa ancora una certa impressione leggere nell'introduzione che "Italy is arguably the only Western country where regional imbalances still play a major role nowadays: Italy’s North-South divide in terms of GDP has no parallels in any other advanced country of a similar size, and southern Italy is, after Eastern Europe, the biggest underdeveloped area inside the European Union".
Il nostro Mezzogiorno è ancora un problema enorme, afflitto da corruzione, criminalità, istituzioni di basso livello che non facilitano la vita d'impresa. Basti pensare alla storia dell'imprenditore Salvatore Barbagallo - a cui è stato conferito il Premio Giorgio Ambrosoli nel gennaio scorso - , attivo nel settore della trivellazione, che è stato costretto a chiudere la sua impresa in Calabria.
L'analisi di Felice è interessante anche perchè ci dà informazioni sulla crescita del Pil pro-capite delle singole regioni. Se osserviamo la tabella sul gdp pro capite, la Liguria nel 1871 (dopo l'unificazione) era la regione italiana messa meglio (138 vs 100 dell'Italia tutta). Nel 2011 la Liguria si trova a 106. Per l'attento osservatore non ci sono sorprese, infatti investimento ligure è un ossimoro come ghiaccio bollente. Gli investimenti sono inesistenti e sempre rimandati (in eterno). Peraltro la Liguria ha un drama demografico in corso visto che figli non se ne fanno. Chi fa figli investe sul futuro. Il ligure risparmia e sogna nostalgicamente il passato dorato.
Percorso opposto dell'Emilia Romagna, che partiva svantaggiata (106) e nel 2011 si trova a 122. La Valle d'Aosta e il Trentino sono le regioni che si sono comportate meglio: la prima passata da 80 a 136, la seconda da 69 a 129. La Campania ha dilapidato il vantaggio relativo, da 109 a 64; idem la Sicilia, terra irredimibile, da 95 a 66. Federico II si rivolta nella tomba a vedere gli sconquassi dell'Assemblea Regionale siciliana, l'organo politico peggiore del mondo, dopo Chavez.
Nella parte finale del paper Emanuele Felice cerca di individuare le determinanti del ritardo cronico del Sud, sulle quali non c'è convergenza tra gli studiosi. Felice propende per i fattori istituzionali: "It has been argued that these fixed effects could be enduring socio-institutional differences: higher inequality in the South, coupled with extractive political (clientelism) and economic (latifundium versus sharecropping, organized crime) institutions, which reinforced a de facto extractive setting in the South – although within a nominally national institutional framework. Historically, inequality and extractive institutions in the South may have also determined, in that area, lower human and social capital, that is, they may have created the concomitant conditioning variables which favored the falling back of the South in some periods". 

Insomma diverse le ipotesi, ma la ricerca storica non ha un'opinione condivisa. Anche io, nel mio piccolo, concordo con Felice e Acemoglu/Robinson (autori del bellissimo Why nation fail), i fattori istituzionali sono decisivi.
Intanto il Sud risulta tra le regioni più povere come pil-procapite e come produttività. Un disastro unico in Europa. Patetici sono coloro che piangono e si rifugiano dietro un racconto storico falso (vedasi i libri di Pino Aprile).

venerdì 6 ottobre 2017

Gli studenti si devono ribellare ai professori senza etica

Dopo l'ennesimo scandalo legato ai concorsi truccati in università, non si può che essere d'accordo con la senatrice a vita Elena Cattaneo che scrive su Repubblica: "Un professore che invita un candidato di un concorso a ritirarsi perchè "non è previsto che vinca", o affinchè sia abilitato un altro" meno meritevole, accompagnando l'invito con una minaccia - neppure velata -  che "altrimenti la sua carriera universitaria sarà compromessa", non è degno di ricoprire una carica pubblica".
Qualche anno fa Luigi Zingales, costretto ad andare negli Stati Uniti perchè in Italia non avrebbe avuto lo spazio meritato - scrisse sul Sole 24 Ore un pezzo superbo dal titolo "Strass-Kahn e il primato dei più deboli" dove il messaggio chiave era di alzarsi in piedi, protestare e far valere la propria voce. In sintesi, "Speak out, stand up". Lo portai a lezione e lo leggemmo insieme. Il passaggio rilevante è questo: "(In Italia, ndr) Prima di sfidare l'autorità, dovevamo chiederci «ma sei proprio sicuro?». Questo eccesso di zelo si trasformava spesso in sudditanza. Negli Stati Uniti ai miei figli viene insegnato il diritto-dovere di stand up speak out, letteralmente di alzarsi in piedi e alzare la voce per segnalare possibili errori: non solo dei compagni di scuola, ma anche dei professori. Questo non significa insubordinazione, ma diritto di chiedere conto anche ai propri superiori delle loro azioni". Zingales chiudeva così il suo articolo: "Non sorprendentemente, in un ricerca pubblicata di recente, Guido Tabellini trova una correlazione tra valori insegnati e crescita economica. Le regioni d'Europa in cui il principio di obbedienza all'autorità è uno dei primi valori insegnati crescono meno. È giunto il momento che anche in Italia si insegni il diritto-dovere di stand up ai don Rodrigo" (18 Maggio 2011, attualissimo, "niente è più inedito della carta stampata").

Già in passato ci siamo soffermati sull'"Università truccata", così definita dal professor Roberto Perotti della Bocconi. Sono passati i tempi in cui un professore ordinario - cosiddetto "barone" - chiedeva a un suo assistente qualsiasi cosa. Ho ricordato su queste pagine l'esilerante (con gli occhi di oggi) richiesta del prof. Corrado Gini - ancora oggi è citatissimo per il suo indice sulla concentrazione del reddito e della ricchezza - che chiese a Franco Modigliani, già full professor negli Stati Uniti, di portare a riparargli l'orologio.

Tra le soluzioni pensate per ridurre lo scambio di favori in università alcuni propongono un codice etico. Balle, i codici etici servono solo per farsi belli. Aumentare le risorse, come propone il professor Tomaso Montanari? Giammai. Ci sarebbe ancora una maggiore lottizzazione delle risorse in più. Efficacia zero. Soluzioni possibili. Perotti ne propone una: "Assegnare una parte sostanziale dei fondi secondo la qualità della ricerca e dell'insegnamento di ogni dipartimento, in base a giudizi di esperti internazionali. In questo sistema saranno i colleghi stessi del barone che impediranno di tramare per assumere un candidato inadeguato, perchè alla lunga ciò si rifletterà sulle risorse disponibili a tutti i membri di quell dipartimento". Vorrebbe dire cambiare mentalità. Ne siamo capaci?

venerdì 29 settembre 2017

Foorban, il ristorante con più coperti al mondo

Milano sta vivendo il suo momento d'oro. Sono ormai tanti i talenti che lasciano le grandi aziende - dove si impara a inizio carriera e dove ognuno deve impegnarsi per trovare un mentore -, per andare a fare impresa, il lavoro più bello del mondo.
Stefano Cavaleri, co-fondatore di Foorban, mi ha raccontato davanti a un buon bicchiere di vino la storia del "ristorante con più coperti al mondo".
Cavaleri, dopo essersi laureato in Cattolica, ha lavorato 4 anni in Vodafone, due anni in finanza e due nel marketing. Poi ha deciso di lasciare per fondare Foorban, insieme ad altri due soci, Marco Mottolese e Riccardo Pozzoli.
Foorban nasce nel gennaio 2016, quindi a gennaio 2018 compirà due anni di vita. La società pensa di chiudere il 2017 riuscendo a preparare e consegnare 500 pasti al giorno (solo a pranzo per il momento ma in futuro sarà anche disponibile la cena a domicilio), contro i 250 di oggi. Nell'ultimo trimestre la crescita è nell'ordine del 20%.
Idea chiave è il controllo della qualità del prodotto. Sempre più persone sono attente a mangiare cibi di qualità. In Europa il junk food non funziona (mentre negli States la speranza di vita cala, anche per l'alimentazione sbagliata). Vogliamo roba buona. Vale sempre il principio per cui "garbage in-garbage out", se metti in macchina roba di scarsa qualità, non può che uscirne fuffa. I cuochi questo lo sanno bene.
"Pranzo sano e gustoso", questo il pay-off di Foorban. La qualità degli ingredienti conta eccome.
Le operations e il centro cucina di Foorban sono in Via Meda, da cui partono da mezzogiorno in poi (se ordini prima delle 12 la consegna è gratuita) i ragazzi con le loro bici.

Chi sono i clienti di Foorban? Avvocati, professionisti, uomini di finanza, che sono stufi di mangiare un panino scrauso in piedi, o far lunghe file per avere un piatto deludente.
Quanto costa un pasto Foorban? 12 euro, in genere, più il costo della consegna. I clienti apprezzano anche i succhi di frutta pressata a freddo. 80% clienti prendono solo il pasto.

Di fatto Foorban compie tre attività:
1) fa da mangiare;
2) logistica (consegna a domicilio). They say: "We cook, we ride, you eat"
3) IT, comunicazione e marketing.

Che rapporti ha Foorban con il mondo della finanza? Buono. Come da manuale per una start-up, non serve capitale circolante fornito dagli istituti di credito, ma capitale di rischio. Capitalisti di ventura, business angels, friends & family hanno fornito i capitali del primo e secondo round di finanziamento.
Nella seconda tornata Foorban ha raccolto 650mila euro con una valutazione pre-money di 3,1 milioni di euro. I soci sono rimasti in salda maggioranza. Il fatturato 2017 dovrebbe essere nell'intorno di 500mila euro, per poi sestuplicare nel 2018 a 3 milioni di euro.

Fare soldi è un obiettivo primario dell'imprenditore? Non è così. Lo conferma anche Cavaleri, appassionato del suo lavoro e committed affinchè la società possa crescere.
Nel sentire l'amministratore delegato di Foorban mi è tornato in mente un passaggio di "Pastorale americana", dove il padre del protagonista del libro - "lo svedese" Seymour Levov -  a pranzo tesse le lodi del proprio dipendente della fabbrica di guanti, Al Haberman:
"Se vuol parlare di gente all'antica e del mondo come'era una volta, parliamo di Al. Un uomo meraviglioso. Si arricchì tagliando guanti....Erano padroni di se stessi, erano capaci di lavorare sessanta ore la settimana...Tagliare i guanti è un magnifico mestiere. Un tagliatore come Al portava sempre camicia e cravatta. A quei tempi il tagliatore non lavorara senza camicia e cravatta. E potevi lavorare anche a settantacinque o a ottant'anni. Queste persone lavoravano in continuazione. Soldi per mandare i figli a scuola. Soldi per sistemare bene le proprie case...Tutto questo orgoglio per il lavoro ben fatto è scomparso".
L'imprenditore che punta solo a far soldi per far soldi (Giorgio Bocca, cit.) è destinato alla sconfitta. Ci vogliono imprenditori che amino follemente il proprio prodotto e la propria azienda.

Nel salutare Stefano Cavaleri, raccomando di leggere "Il volo di notte" di Antoine de Saint-Exupery, dove si narrano le gesta eroiche dei piloti dei viaggi aerei postali degli anni Trenta in Argentina. In Vol de nuit sono raccontati gli anni eroici dei primi, pericolosi collegamenti aerei internazionali, i primi voli notturni sulle sconfinate regioni dell’America Latina. Ogni pilota, accettando il suo compito, sa di rischiare la vita.
In un passaggio chiave del libro – quando il pilota Fabien rischia l’osso del collo nel mezzo di un uragano che spinge fuori rotta l’aereo – il collaboratore di Riviére, responsabile dell’intera rete aerea, si sente rispondere: “Vede Robineau, nella vita non ci sono soluzioni. Ci sono forze in cammino: bisogna crearle, e le soluzioni vengono dopo”.
Cara amici di Foorban, mettete a lavorare la forze in cammino, le soluzioni e il successo verrà di conseguenza.

martedì 26 settembre 2017

Il governo Merkel in Germania con i liberali di Lindner: uno stimolo al lassismo italico

Tutti, dico tutti, i commentatori delle elezioni tedesche hanno sancito che l'integrazione europea subirà dei rallentamenti e l'Italia ne subirà le conseguenze. La tesi è che la fine della Grosse Koalition - dopo la sconfitta dei socialdemocratici guidati da Martin Schultz - condurrà a politiche meno permissive nei Paesi che infrangono le regole in Europa previste dal Patto di stabilità e crescita (evoluzione del Trattato di Maastricht).
Domenica sera a scrutinio ancora aperto, il leader del partito liberale tedesco (Fdp) Christian Lindner ha ribadito - in coerenza con ciò che ha sostenuto in campagna elettorale - quale è la sua linea politica: "Un bilancio dell'Eurozona dove i soldi andranno verso la Francia per finanziare la spesa pubblica o verso l'Italia per riparare i disastri di Silvio Berlusconi è impensabile".L'ex ambasciatore italiano a Bonn e Berlino Michele Valensise - oggi direttore di Villa Vigoni, centro italo-tedesco per l'eccellenza europea - ha spiegato la profonda differenza di visione tra tedeschi ed italiani sul ruolo del futuribile ministro delle finanze europeo. I tedeschi pensano debba essere un "poliziotto", un controllore di conti, i paesi mediterranei lo vorrebbero dispensatore di risorse.
Christian Lindner
Nel corso di questi anni l'Italia a livello di finanza pubblica ha lasciato correre la spesa corrente e tagliato drasticamente gli investimenti. In Italia ahinoi abbiamo ancora l'idea peregrina che basti scavare una buca e poi ricoprirla per creare ricchezza. Bell'idea che abbiamo delle politica ancicicliche suggerite da John Maynard Keynes (che in pochi hanno letto veramente, come dice spesso Pierluigi Ciocca)!

Allora ben venga Herr Lindner a dettare le regole. Siamo un paese indisciplinato che pensa ancora di creare ricchezza col disavanzo. Nel suo ultimo intervento - Sviluppo dell'economia e stabilità finanziaria: il vincolo del debito pubblico - il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha ben argomentato che "l'espansione del disavanzo pubblico non può, di per sè, sostenere stabilmente l'attività economica. Del resto dall'avvio dell'Unione monetaria l'Italia ha registrato disavanzi prossimi o superiore al 3 per cento del prodotto per 15 volte...Se c'è carenza di infrastrutture in Italia, le ragioni vanno ricercate soprattuto nella qualità della spesa, non nelle regole di bilancio".
Vogliamo andare in Europa e sbattere i pugni sul tavolo? Facciamolo, ma per aumentare gli investimenti, non per finanziare bonus cultura o spesa pubblica improduttiva.