martedì 23 dicembre 2014

Cronaca di una giornata - bellissima - in un liceo romano dove si sono ricordati Paolo Baffi e Giorgio Ambrosoli


Beniamino Piccone ricorda agli studenti Paolo Baffi
Il Natale si avvicina. Si fa un bilancio dell'anno e si pensa ai propositi dell'anno venturo. Per invitare e indurre i miei lettori a fare altrettanto per la comunità vista come Gemeinshaft (società come insieme di persone) e non Gesellshaft (società intesa come persone intente a fare business), oggi vi racconto una giornata molto interessante in un liceo.

Il 31 ottobre scorso sono stato invitato con Umberto Ambrosoli dal liceo Leonardo da Vinci di Maccarese. La preside, Antonella Maucioni, è una persona molto attenta ai valori della memoria. La scuola si è attivata in progetti molto interessanti sulla Shoah e sui desaparesidos.

Sul sito del liceo si può leggere: "L’Istituto promuove iniziative per  conoscere e preservare l’identità e la memoria della Shoah e dei desaparecidos in Argentina. Nel giardino dell’Istituto è stato inaugurato il Parco della Memoria dedicato ai Giusti di Roma e Provincia. Si tratta di un luogo simbolico per ricordare le donne e gli uomini che hanno salvato altre donne e altri uomini, perseguitati da regimi illiberali ed antidemocratici".

Proprio per suffragare l'importanza della memoria, la scuola ha pensato di invitare me e Umberto Ambrosoli per ricordare due figure importanti: Paolo Baffi e Giorgio Ambrosoli, da considerare due esempi per i giovani.

Paolo Baffi con Carlo Azeglio Ciampi, 1978
Con questa iniziativa si inizia così a ricordare la nascita di questa scuola, avvenuta nell’autunno del 1975, come liceo scientifico, grazie anche all’azione di Maria Alessandra Baffi, moglie di Paolo Baffi, che è stato Governatore della Banca d’Italia nonché cittadino di Fregene. Nel corso degli anni il numero degli studenti è aumentato esponenzialmente e l’offerta formativa è stata diversificata.
Il sindaco di Fiumicino, che ha preso la parola per primo ha evidenziato che “in quasi quaranta anni, questa scuola è passata dai 17 studenti di allora agli oltre 1.000 di oggi".

Tocca a me ricordare l'immensa figura del Governatore Paolo Baffi. Mi accorgo subito che i ragazzi sono preparati, che è stato fatto un capillare lavoro di formazione nelle classi, per cui gli studenti non cadono dal pero ma sanno di cosa sto parlando. Allora posso approfondire e ricordare alcuni passaggi della vita di Baffi.In particolare mi soffermo sul senso di responsabilità. Spesso in Italia il potere è considerato IL MALE. Invece dobbiamo distinguere tra potere responsabile e potere irresponsabile. Prendo in mano il mio ultimo volume Anni del disincanto. Carteggio 1967-1981 (Nino Aragno editore, 2014) e cito subito Marco Vitale:


"Io insegno ai miei studenti che il potere è connaturato all’uomo; che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccolo cose, con responsabilità e per finalità positive. Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa  è piuttosto malata di ingiustizia".


Umberto Ambrosoli a Maccarese

Potrei parlare per ore su Paolo Baffi, ma il tempo è tiranno, per cui cedo la parola a Umberto Ambrosoli, che emoziona gli studenti, insegna loro il valore della libertà trasmesso da suo padre Giorgio, ammazzato da un sicario di Michele Sindona, banchiere-bancarottiere, l'11 luglio 1979.

Umberto ricorda quando gli economisti - tantissimi - firmarono un manifesto di solidarietà a favore di Baffi e Sarcinelli nell'aprile del 1979. Un episodio che ancora una volta sottolinea l'importanza della denuncia, della partecipazione, della responsabilità di ognuno di noi.


Preside Maucioni, Ambrosoli, Piccone e studenti

Anche il futuro premio Nobel per l'economia Franco Modigliani scrisse dagli Stati Uniti: "Sono talmente indignato che ho perso qualsiasi interesse per l’economia italiana. Non so se debbo credere alle indiscrezioni date dalla stampa circa i loschi motivi che stanno dietro la crescente campagna di intimidazione contro la Banca d’Italia che è uno dei pochi pilastri su cui si regge la credibilità internazionale del Paese. So che l’arresto di Sarcinelli distrugge la credibilità dell’amministrazione della giustizia che lo ha eseguito e disonora il governo e l’intero Paese che non tollera una cosa del genere".


Baffi e Sarcinelli nel 1981 vennero assolti da ogni addebito. Ma ormai il risultato era compiuto. Baffi lasciò Bankitalia nel settembre 1979. Non rimarginò mai questa ferita. Mario Sarcinelli - che sarebbe naturalmente arrivato alla carica di Governatore - si dimise dalla Banca d'Italia nel gennaio 1981 per seguire Beniamino Andreatta al Ministero del Tesoro.


Umberto fa commuovere tutti, gli studenti lo applaudono con convinzione, Giusi e M. Alessandra Baffi mi abbracciano, la preside Maucioni è visibilmente contenta per la buona riuscita della giornata. Ci ringrazia molto. Ma siamo io e Umberto a uscire arricchiti da questa giornata tra i ragazzi, che hanno più che mai bisogno di esempi. Perchè, come diceva Milan Kundera nel Libro del riso e dell'oblio, "La memoria è l'arma dei deboli contro i forti".

Auguro ai miei lettori un Natale all'insegna della serenità (ben diverso dallo "Stai sereno" di #MatteoRenzi a #EnricoLetta, eh) e delle buone letture. Speriamo che nevichi per poterci scatenare sulle piste di Shampolook!

lunedì 15 dicembre 2014

Più il prezzo del petrolio scende, più democrazia c'è nel mondo

Il calo verticale del prezzo del petrolio è una buonissima notizia, sia sul fronte economico che su quello dei diritti civili. Infatti esiste una legge sperimentata empiricamente che vede la democrazia rafforzarsi ogni qualvolta il prezzo del petrolio scende.

Come ha meravigliosamente scritto e illustrato Thomas Friedman in "The world is flat, hot and crowded" diritti civili e prezzo del petrolio sono inversamente correlati. Più alto il prezzo del petrolio e più vediamo dittatori arabi arroganti dichiarare la volontà di distruggere Israele. Più è basso il prezzo del petrolio, e più i leader dei paese detentori di petrolio diventano improvvisamente buoni e mansueti.

Friedman ha chiamato questa regola FLOP: "First Law of Petropolitics". Secondo Friedman,

Grafico tratto dal sito www.thomaslfriedman.com
as oil prices went down in the early 1990s, competition, transparency, political participation, and accountability of those in office all tended to go up in these countries—as measured by free elections held, newspapers opened, reformers elected, economic reform projects started, and companies privatized. But as oil prices started to soar after 2000, free speech, free press, fair elections and freedom to form political parties and NGOs tended to erode in these countries.

Vi ricordate l'ex presidente (dal 2005 al 2013) dell'Iran Mahmud Ahmadinejad ululare contro il mondo quando il petrolio toccava i 150 dollari al barile? Ve lo ricordo io.
Durante la conferenza internazionale Il mondo senza sionismo, tenutasi nell'ottobre 2005, Mahmud Ahmadinejād, citando Khomeini, affermò con riferimento allo Stato di Israele: «... questo regime occupante Gerusalemme è destinato a scomparire dalla pagina del tempo... ».

Ulteriori affermazioni in tal senso sono state fatte in occasione del congresso della FAO svoltosi a Roma in data 3 giugno 2008, quando Ahmadinejad disse: «...per quanto concerne le atrocità israeliane nei territori occupati, il regime criminale che sta sfruttando la ricchezza dell'oppressa nazione palestinese e sta uccidendo innocenti da 60 anni, ha raggiunto la sua fine e sparirà dalla scena politica...» («...as to the Israeli atrocity in the occupied lands, the criminal regime which has been plundering the wealth of the oppressed Palestinian nation and has been murdering innocent people in the past 60 years, has reached its end and will disappear from the political scene...»).

Anche Putin nel corso del 2014 ha dimostrato più volte di voler alzare il livello dello scontro diplomatico con l'Unione Europea. Le sue mosse per la conquista della Crimea sono state il prologo per il tentativo di annessione dell'Ucraina. La UE ha reagito duramente imponendo delle sanzioni economiche che stanno pesantemente colpendo la popolazione russa.

Vladimir Putin
L'economia russa dipende fortemente dall'esportazione di energia, sia petrolio che gas. Il prezzo del petrolio è determinante per la Russia. Sono sicuro che Putin con questi livelli di prezzo abbasserà la cresta e clamerà i suoi propositi di Guerra.

Come ha scritto il Financial Times l'8 novembre scorso il calo del rublo non è solo guidato dall'economia ma anche da fattori geopolitici: "It is no coincidence that the rouble sell-off has intensified amid fears that the ceasefire in Ukraine is unraveling, and that Russian-backed forces may be preparing a new offensive".
E' opportuno sapere che il rublo ha perso oltre 40% da metà giugno e la prima settimana di novembre è calato dell'8%, il più forte ribasso settimanale degli ultimi 11 anni.

Siamo d'accordo con il Financial Times che conclude così: "Mr Putin may have become a hostage of his own policy, unleashing nationalist demons for short-term political gain which he cannot now quiet. Sticking to his belligerent path risks locking Russia into a vicious cycle of escalating tensions, sanctions and economic difficulties".
Speriamo non abbia ragione Leonardo Maugeri - uno dei massimi esperti di petrolio e autore di L'era del petrolio (Feltrinelli) - che sul Sole 24 ore scrive: "La crescita del malcontento tra i russi potrebbe spingere Putin a un atteggiamento ancor più aggressivo, sia in patria che all'estero, nel tentativo di sedare sul nascere il malessere dei suoi concittadini e attribuire a nemici esterni i guai della Russia, così da tener vivo il consenso".

Non solo per la Russia, ma anche per altri produttori, i tempi si fanno difficili. Le finanze di Paesi come la Libia, l'Iraq e l'Iran hanno bilanci appesantiti anche da guerre e sanzioni. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale sono una ventina i paesi al mondo che derivano oltre metà delle entrate statali dal petrolio e altre dieci che ne derivano tra il 25% e il 50% (la Russia nel 2015 avrà 50 miliardi $ in meno di entrate su un budget di 400 miliardi).

Secondo una ricerca di Paribas, per la prima volta da diciott'anni i Paesi esportatori di greggio importeranno invece di esportare capitale in valuta pregiata. Il saldo negativo per il 2014 dovrebbe essere di 7,6 miliardi di dollari.

Maggior ragione per confidare in più giudiziosi comportamenti di questi paesi sul fronte dei diritti umani e della democrazia in generale.  Indicativo il titolo del Financial Times del 10 novembre: Teheran under pressure to strike nuclear deal as oil price plunges.
Quando il petrolio scende, i giovani iraniani festeggiano.

martedì 9 dicembre 2014

Sant'Ambrogio e Piazza Fontana: l'incoerenza dei sindacati italiani che proclamano lo sciopero generale il 12 dicembre

I due maggiori sindacati italiani, la CGIL e la UIL, hanno proclamato uno sciopero generale per il prossimo 12 dicembre. La ragione dello sciopero è la non condivisione della riforma del lavoro portata Avanti dal governo guidato da Matteo Renzi, denominata #JobsAct.

E' uno sciopero senza senso. Siamo il Pease che è cresciuto meno al mondo negli ultimi 25 anni. Abbiamo da recuperare il tempo perduto con le riforme strutturali che tutto il mondo ci chiede. Come al solito, senza portare alcuna proposta costruttiva, il sindacato - da cui si è distaccata la CISL - protesta e invoca lo status quo. Che significa mantenere un mercato del lavoro ingessato, diviso tra insider (fortunati e pieni di diritti) e outsider (fuori e senza diritti).
Ma senza cambiare, non rimaniamo fermi, andiamo indietro.

Oltretutto, con una totale mancanza di sensibilità e di conoscenza storica, i sindacati hanno deciso di indire lo sciopero il 12 dicembre, anniversario della strage di Piazza Fontana, dove persero la vita (12 dicembre 1969) 17 persone (oltre a 88 persone rimaste ferite).

La Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano dopo lo scoppio
Così il 12 dicembre la consueta commemorazione in Piazza Fontana verrà annacquata dalle urla dei sindacati, ancora una volta in ritardo sulla realtà delle cose. E come ha sottolineato il presidente dell'associazione delle vittime di Piazza Fontana Carlo Arnoldi, sarà difficile con lo sciopero dei mezzi pubblici raggiungere il centro di Milano.
Su Piazza Fontana ha scritto pagine bellissime Corrado Stajano. Nel suo recente Destini (Archinto, 2014), nel ricordare Peppino Fiori, si legge: "Lo ricordo in piazza del Duomo, a Milano, il plumbeo mattino dei funerali delle vittime della strage di piazza Fontana, quando erano arrivati gli operai delle fabbriche, la Pirelli, la Falck, la Breda, la Magneti Marelli, a tenere il servizio d'ordine perchè dopo le bombe si temeva il golpe: centinaia di migliaia di uomini e donne, protetti da quelle tute bianche e blu, furono il segno che la comunità diceva di no all'avventurismo eversivo. Peppino con quel suo servizio visto da milioni di persone raccontò con chiarezza la paura di quei giorni e il coraggio di tutta una società pulita".

Ieri a Milano si è festeggiato Sant'Ambrogio, vescovo di Milano.

Voglio rendere omaggio a sant'Ambrogio. Aurelio Ambrogio, meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Treviri (oggi Trier), 339 – Milano, 397), vescovo, scrittore e uomo politico, fu una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo d.C.

Conosciuto anche come Ambrogio di Milano, assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono della città, della quale fu vescovo dal 374 d. C. fino alla sua morte e nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.

Ambrogio fu anche Maestro di Sant'Agostino. Chissà che belle discussioni tra Maestro e discepolo!

I sindacati dovrebbero trarre giovamento dai suoi insegnamenti. E' una speranza tenue, ma la facciamo lo stesso.

Viviamo tempi difficili. Ambrogio ci invita a reagire. Così usava affermare: "Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi".

martedì 2 dicembre 2014

Così Giorgio Bocca ricordò l'assenza delle istituzioni - tranne Baffi e la Banca d'Italia - al funerale di Giorgio Ambrosoli #QualunqueCosaSucceda


Pierfrancesco Favino interpreta l'avv. Giorgio Ambrosoli
Stasera vedremo la seconda puntata della fiction Qualunque cosa succeda, ispirata liberamente al volume del figlio dell'avvocato Ambrosoli, Umberto.

Stimolato dalla messa in onda, ho fatto alcune ricerche sia nell'Archivio Storico della Banca d'Italia (ASBI) che nell'archivio (efficientissimo, rispondono nel giro di mezz'ora) di Repubblica.

Giorgio Bocca
Il 17 luglio 1979 Giorgio Bocca firma in prima pagina un editoriale da incorniciare, dal titolo Due cadaveri molto ingombranti: Ambrosoli e Varisco, drammi ignorati dall'Italia dell'indifferenza.
Questo l'attacco fulminante di Bocca: "Per capire quest'Italia che seppellisce in fretta i suoi cadaveri ingombranti e che, nella calura estiva finge di non vedere i suoi fantasmi, conviene osservare alcune fotografie. In una c'è la famiglia Ambrosoli che arriva alla basilica di san Vittore, a Milano, per il funerale di Giorgio Ambrosoli, l'avvocato morto ammazzato perchè sapeva troppe cose di don Michele Sindona e dei suoi amici altolocati. La signora Anna Lorenza non piange, avanza tenendo per mano i figli, Filippo di dieci anni e Umberto di otto anche essi a ciglio asciutto; due amici di famiglia o parenti camminano ai lati come in un affettuoso servizio e anche sui loro visi si legge questa pacata ma ferma testimonianza: ci siamo ancora, in questo paese c'è ancora gente che non si lascia intimidire dai cialtroni e dai Mafiosi, che non recita il suo dolore, che difende una buona educazione senza la quale non si può essere classe dirigente".

La famiglia Ambrosoli ai funerali (luglio 1979)
Bocca prosegue: "In un'altra fotografia, sempre ai funerali di Giorgio Ambrosoli, si vede Paolo Baffi, il governatore della Banca d'Italia, il solo gran commesso dello Stato, la sola autorità, il solo uomo di potere che abbia capito che con Giorgio Ambrosoli non si seppelliva un professionista qualsiasi, vittima di un disgraziato incidente, ma uno dei non molti che cercano di salvare l'essenziale di una civile convivenza; e non sembra causale che Paolo Baffi, l'unico a capire, a sentire che bisognava esserci al funerale di Ambrosoli, sia a sua volta sottoposto ai ricatti e ai messaggi di una giustizia che vede le pagliuzze e non i tronchi".

Nel volume di Baffi e Jemolo Anni del disincanto. Carteggio 1967-1981 (Aragno editore, 2014) che ho curato, ho raccolto la testimonianza orale del maresciallo della guardia di finanza Silvio Novembre - primo collaboratore di Giorgio Ambrosoli e il cui motto è «Più è difficile fare il proprio dovere, più bisogna farlo» - che mi ha confermato l'assenza delle istituzioni ai funerali: «Nel breve percorso a piedi verso il cimitero, Baffi mi disse: “Come è diverso morire a Roma. Qui siamo in pochi e non è presente alcun rappresentante delle istituzioni. La settimana scorsa sono stato a un funerale a Roma e le autorità c’erano tutte con le loro auto blu”».A stretto giro di posta - 23 luglio 1979, ASBI, Carte Baffi, Governatore Onorario - Paolo Baffi scrive a Giorgio Bocca: "Caro dottor Bocca, l'attacco contro la Banca d'Italia e la mia persona è stato così massiccio e spietato, ha usato in alcuni organi di stampa argomenti così fraudolenti, abietti e malvagi, che solo quattro e più decenni di lavoro onesta e di profonda reciproca conoscenza con i massimi dirigenti delle altre banche centrali hanno potuto farmi scudo contro colpi che avrebbero diversamente ferito l'immagine della Banca e mia.
Ma anche così essendo, il Suo articolo sulla Repubblica mi ha aiutato, venendo a conferma dell'opinione che i miei colleghi all'estero si erano formati su questo maledetto affaire. (...)
Le sono grato e Le presento gli auguri più fervidi per le battaglie che Ella conduce al fine di avvicinare l'Italia al modello di una convivenza civile".

E' compito degli storici far emergere la verità storica a distanza di anni. Quando gli archivi si aprono e si possono fare valutazioni con il necessario distacco. Ma spesso mentre leggo le carte, non posso fare a meno di commuovermi.




 





 


domenica 30 novembre 2014

Qualunque cosa succeda in TV - Essere responsabili significa essere garanti del proprio agire


Pierfrancesco Favino interpreta l'avv. Giorgio Ambrosoli
Stasera io, mia moglie e i miei figli vedremo insieme con interesse su Rai1 la fiction "Qualunque cosa succeda", che narra la storia dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana guidata dal banchiere bancarottiere Michele Sindona, mandante dell'omicidio.
Il film - diretto da Alberto Negrin - è tratto liberamente dal volume omonimo scritto dal figlio di Giorgio, Umberto Ambrosoli. Nella seconda edizione di Qualunque cosa succeda (Sironi, 2014), Umberto ha scritto una introduzione serrata e pregnante, dove racconta cosa gli hanno raccontato gli italiani nel corso delle (numerose) presentazioni del libro in tutta Italia. Umberto chiude i suoi ragionamenti con un insegnamento che gli ha insegnato suo padre, che vale per tutti: "Essere responsabili significa essere garanti del proprio agire".

Non posso fare a meno di segnalare la prefazione al volume di Carlo Azeglio Ciampi che ricorda l'operato del Governatore della Banca d'Italia Paolo Baffi, nei giorni seguenti all'omicidio dell'Avvocato Ambrosoli: "L'avvocato Ambrosoli lascia tre figli di giovane età, Francesca di anni 11, Filippo di anni 10 e Umberto di anni 7 e la vedova Anna Lorenza Gorla, la quale deve ora affrontare la grave responsabilità del mantenimento e della loro educazione senza più disporre dell'unica fonte di reddito, rappresentata dall'attività professionale del marito. (...) volendo rendere concreta la commossa solidarietà della Banca, il Governatore propone (...) che l'Istituto dia un sostanziale concorso al mantenimento e all'educazione dei tre orfani sino al compimento degli studi".
Nell'Archivio Storico della Banca d'Italia (ASBI), Carte Baffi, Governatore Onorario, quando Annalori Ambrosoli scrive al Governatore, ringraziandolo per il sostegno economico della Banca d'Italia a favore dei figli, si legge: "La ringrazio perchè i miei figli possono ancora credere in un Italiano come lei". A stretto giro di posta, Baffi risponde così - 31 luglio 1979: "Quanto mi preme ora dirLe è che i Suoi figli dovranno continuare ad avere fiducia ed a credere in quei tantissimi italiani che certamente li portano nel cuore". Questa la stoffa dell'uomo.

Paolo Baffi con Carlo Azeglio Ciampi, 31.5.1978
Nel corso della fiction speriamo venga raccontata correttamente la vicenda giudiziaria che colpì la Banca d'Italia e in particolare Baffi e Sarcinelli. Baffi fu costretto a dimettersi. Dolente servitore dello Stato, non si riprese più dopo che quella manovra politico-giudiziaria lo costrinse alle dimissioni nel settembre 1979.

Nelle mie ricerche in ASBI - Carte Baffi, Governatore Onorario - ho trovato un intervento del 1983 di Adolfo Beria D'Argentine - procuratore generale presso la Corte d'Appello di Milano, riassunto così: "Di particolare interesse il richiamo del dr. Beria d'Argentine (allora segretario dell'Associazione Nazionale Magistrati, ndr) 
al caso Baffi-Sarcinelli, come esempio tristemente noto di un’azione giudiziaria irresponsabile che, oltre a provocare danni gravissimi a persone oneste e ad un’istituzione tra le più stimate, ha segnato un momento di decadimento per l’intera Magistratura”.

P.S.: Il titolo "Qualunque cosa succeda" è ispirato alla lettera che Giorgio Ambrosoli scrisse alla moglie Annalori (a cui Marco Vitale ha dedicato un ritratto commovente in Angeli della città, ESD, 2009) nel febbraio 1975 (4 anni prima del suo assassinio), dove si legge: "Anna carissima, sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. E' indubbio che pagherò a caro prezzo l'incarico (...) Qualunque cosa succeda, tu sai cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo".

lunedì 24 novembre 2014

La manipolazione delle "global banks" sul mercato dei cambi. La multa di 4,3 miliardi di dollari non è sufficiente

La notizia che ha occupato nelle settimane scorse le pagine dei principali quotidiani economici del mondo è stata la multa di 4,3 miliardi di dollari inflitta a sei banche internazionali: UBS, Royal Bank of Scotland, HSBC, JPMorgan, Citibank, Bank of America.

Come ha scritto il Financial Times - il cui motto della pagina dei commenti è "Without fear and without favour", si tratta di una criminal offense, per cui la pena non deve essere solo pecuniaria, ma dovrebbe prevedere anche il divieto di operare sui mercati.

Come ha scritto Donato Masciandaro sul Sole 24 Ore, se hai manipolato il mercato sei da cartellino rosso: "Occorrono misure drastiche. Da un lato, la definizione di prezzi rilevanti per l'economia mondiale non può più essere affidata ad oligopoli di poche banche. Dall'altro, occorrono punizioni efficaci, che certo non sono le sanzioni, anche miliardarie. Le banche ree confesse dovrebbero essere sottoposte a un ostracismo internazionale: sospensione temporanea di tutte le attività bancarie nei Paesi del G20".

Ha certamente ragione il prof. Masciandaro, direttore del Centro Baffi della Bocconi. Sono infatti anni che le maggiori banche nel mondo vengono sanzionate ma nulla cambia. Secondo le ricerche del prof. McCormick, tra il 2009 e il 2013 le 12 global banks hanno pagato 105,4 miliardi di dollari di multa ai regulators europei e americani.

Di recente, l'economista ed ex senatore della sinistra indipendente Filippo Cavazzuti nel paper dal titolo "Un racconto di "economia politica": protezionismo interno e suggestioni di politica economica sulla via italiana all'euro" ha ricordato il pensiero di Beniamino Andreatta. "Il mercato è uno strumento, il migliore strumento che sia stato inventato dall'esperienza collettiva degli uomini per produrre e distribuire risorse. Il mercato è uno strumento che non piace agli operatori economici anche se, ipocritamente, essi lo esaltano. Il mercato ha bisogno di polizia".

Ma quanto ha ragione ancora oggi Andreatta! Ci vuole la polizia per coloro che si beano, ipocritamente, dei benefici del mercato, e poi lo svillaneggiano con le manipolazioni continue, prima sul Libor e poi sul Forex.

Concordiamo con il Financial Times del 13 novembre: "In most businesses, the normal penalties for defrauding a customer include the risk of a jail sentence. If the authorities really want to change the culture of the trading desk, criminal sanctions must become a more vivid possibility".

lunedì 17 novembre 2014

"La via di fuga" di Federico Fubini: una storia di sicuro interesse


Federico Fubini e Beniamino A. Piccone
Settimana scorsa sono stato invitato come discussant - dagli amici di Guanxinet a Valdagno - al volume di una delle firme di punta di Repubblica, Federico Fubini.
La via di Fuga è il titolo del bel libro di Fubini, che prima di appassionarsi di economia, ha studiato il mondo greco, in particolare Tucidide e Platone (come Carlo Azeglio Ciampi, laureato in lettere classiche alla Normale di Pisa).

Il viaggio di Fubini è un viaggio nel tempo, dove le vicende della sua famiglia – con al centro il prozio Renzo Fubini – si intersecano con la crisi greca, e - con la tecnica del flash-back cara al mondo cinematografico – la crisi mondiale degli anni ’30. Scrive correttamente Fubini nei ringraziamenti che “davvero una famiglia a volte non è solo un luogo, ma un viaggio nel tempo”.

Fubini è andato alla ricerca di documenti che illuminassero la storia di Renzo, che si conclude purtroppo tragicamente ad Auschwitz nel 1944. Ha cercato anche negli archivi della Rockfeller Foundation, trovando dei docs interessanti. In particolare una lettera di Renzo Fubini al suo professore Luigi Einaudi, a cui chiede aiuto per espatriare (ebreo) con una borsa di studio della fondazione Rockfeller. La lettera è del 29 gennaio 1939, senza aggiungere il periodo dell’era fascista.
Nel 1937 l’allora governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini scrive al giovane Paolo Baffi invitandolo ad andare a studiare a Londra come è organizzato il Servizio Studi della Bank of England e, al contrario di Renzo Fubini, scrive, dopo la data “XV”: sono passati 15 anni dal 1922, inizio dell’era fascista. In un’altra lettera di Azzolini presso l’ASBI, si può leggere il timbro VINCERE. Che tempi bui.

Quando Renzo Fubini lavorava ormai da 4 anni a Trieste, nel 1937, sono gli anni del post “quota 90”, quando Mussolini causò (nel 1926) con una politica del cambio fallace – rivalutazione eccessiva verso la sterlina e il dollaro – una forte deflazione. Fubini scrive: “Prima di entrare in guerra, l’Italia era già esausta”, “le vendite di prodotti alimentari tra il 1935 e il 1938 sono scese del 28%”.
Benito Mussolini
Quando il cambio era di 153 lire per una sterlina l’obiettivo di Mussolini era raggiungere «quota 90», cosa che, dopo il pronunciamento durante il suo discorso di Pesaro del 18 agosto 1926, sembrò subito azzardata:

Noi condurremo con la più strenua decisione la battaglia economica in difesa della lira e da questa piazza a tutto il mondo civile dico che difenderò la lira fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sangue. Non infliggerò mai a questo popolo meraviglioso d’Italia, che da quattro anni lavora come un eroe e soffre come un santo, l’onta morale e la catastrofe economica del fallimento della lira. […] La nostra lira, che rappresenta il simbolo della Nazione, il segno della nostra ricchezza, il frutto delle nostre fatiche, dei nostri sforzi, dei nostri sacrifici, delle nostre lacrime, del nostro sangue, va difesa e sarà difesa.

Il 21 dicembre 1927 il cambio venne fissato a 92,46 rispetto alla sterlina, corrispondente a quota 19 rispetto al dollaro. Rivalutare da 150 a 90 lire per sterlina fu un’esagerazione che portò all’apprezzamento del cambio «reale» del 30 per cento tra il 1925 e il 1935. Come scriverà Pierluigi Ciocca, «gli industriali chiesero compensazioni per la decurtazione della competitività e di profitti subìta. Le compensazioni vennero concesse, con tanta larghezza da spegnere lo stimolo alla ricerca dell’efficienza e dell’innovazione da parte delle imprese.

I profitti “facili” contribuirono a far scendere a zero il contributo del progresso tecnico alla crescita del PIL nel periodo fascista».

Negli anni successivi, di fronte alla svalutazione della sterlina nel settembre 1931, l’Italia mantenne fermo l’aggancio all’oro, determinando un ulteriore apprezzamento del cambio e un inasprimento della deflazione.

Da qui «un’ondata di fallimenti». Baffi spiega come si possa commettere un errore esiziale se, pur scegliendo il regime di cambio corretto, si sbaglia il livello del cambio. Con formidabile sintesi così conclude: «Mussolini aveva nella rivalutazione della lira una buona causa, che trovava consensi: con ampiezza di mezzi, la coltivò oltre il punto nel quale cessava di essere tale».

Lo vediamo anche oggi che in Italia, in una situazione di deflazione, la discesa dei prezzi rende ancora maggiore il peso del debito, che continua a crescere con gli interessi.
 
Guido Carli
“Il Piccolo di Trieste in quei mesi è pieno di teorie del complotto della finanza internazionale che ostacola l’ascesa dell’Italia”, scrive Fubini. Su questo punto valgono le parole di Guido Carli, governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975 che in un passaggio di Cinquant’anni di vita italiana scrive parole memorabili: “Una delle eredità più persistenti della cultura autarchica, fascistica, è senza dubbio la sindrome del complotto internazionale. Quando gli squilibri interni raggiungono una dimensione tale da intaccare la fiducia, ecco che scatta questa mentalità difensiva, ecco il complotto internazionale, ecco comparire gli speculatori, i disertori, i pescecani che portano all’estero interi pezzi della ricchezza nazionale...La tesi che denuncia piani destabilizzanti, orditi da circoli occulti della finanza internazionale, dimostra come dal profondo della cultura italiana emerga un rifiuto istintivo per l’apertura dei mercati, per le regole della concorrenza, della libera impresa, il rifiuto del principio secondo cui il cittadino ha il diritto di esprimere un voto quotidiano sull’operato del governo, della classe politica, scegliendo se convogliare il proprio risparmio sui Titoli della Repubblica o su quelli di altri Stati”.

 
Exit, voice or loyalty” (1970) di Albert Hirshman  è una delle chiavi di lettura del volume. Hirschmann spiega con chiarezza come le persone reagiscono al degrado di un’impresa, di un’organizzazione o di un paese cui appartengono.
Se lo abbandoni (exit, come Piero Gobetti, che fugge a Parigi, dove morirà in seguito a pestaggi violenti di squadre fasciste), il tuo mondo può fartela pagare a caro prezzo. Il restare leali (loyalty), costringe a negare a se stessi problemi evidenti, voltandosi dall’altra parte per non vederli, pur di non ammettere che la fedeltà è stata un errore.
Una quarta via d’uscita a o variante della loyalty è il rifiuto della realtà. “E prima o poi finisce in disfatta”. La negazione della realtà, il denial, verrà replicato in Grecia nel 2011-2012. “Erano i mesi (p. 52) in cui la Grecia cercava di risvegliarsi dall’illusione di poter comprare il progresso con debiti che poi sarebbe bastato rimuovere dai dati. Con l’ingresso nell’euro gli aumenti di stipendio dei dipendenti pubblici erano stati di circa il 250 per cento in dieci anni, il doppio rispetto all’Italia o alla Francia, e il loro numero era anche raddoppiato. La gente si era abituata a veder migliorare il proprio tenore di vita ogni anno senza per questo dover lavorare di più. I politici acqusitavano popolarità fra i cittadini con il denaro dei cittadini stessi, o dei loro figli che avrebbero dovuto pagarne i debiti, nascondendo loro il prezzo fin quando era stato possibile. Nessuno si poneva domande sull’origine di quella prosperità, almeno non in pubblico”.
Alla fine di agosto del 1938, Hirschmann lascia Trieste – sua sorella Ursula sposa Eugenio Colorni, uno dei leader dell’antifascismo, poi assassinato poco prima della fine della guerra - per tornare a Parigi, per poi partire per gli Stati Uniti (1941). Per la cronaca, Ursula poi sposerà Altiero Spinelli da cui avrà tre figli, tra cui Barbara Spinelli, politologa di vaglia, oggi parlamentare europeo nella lista Tsipras.
Questi miei sono solo degli spunti. Se volete approndire, leggete il libro di Federico Fubini. Ne vale la pena.
 
 
 





lunedì 10 novembre 2014

Montanelli, Falcone e i "professionisti dell'antimafia"

La pagina di Società Civile del novembre 1989
In queste settimane l'opinione pubblica ha dedicato molta attenzione alla deposizione del presidente Giorgio Napolitano nel corso del processo in corso a Palermo che ha al centro la presunta trattativa tra Cosa Nostra e apparati dello Stato.

E' interessante da un punto di vista storico ricordare come la stampa seguì gli eventi e quale posizione presero i quotidiani più importanti.
Mentre Repubblica si schierò decisamente a favore dei magistrati siciliani - Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in primis - il Corriere della Sera attaccò duramente i giudici di Palermo. Con un editoriale di prima pagina (10 gennaio 1987) la penna prestigiosa di Leonardo Sciascia diede al via a una forte polemica sui "I professionisti dell'antimafia". Tutto nacque dalla promozione di merito quale Procuratore della Repubblica di Marsala – caso raro al Consiglio Superiore della Magistratura, che fonda le sue valutazioni sull’anzianità – di Paolo Borsellino.
Lo scrittore siciliano si scagliò contro questa nomina invitando il lettore a prendere atto che "nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso".  Borsellino commentò (o lo citò) solo dopo la morte di Falcone: "Tutto incominciò con quell’articolo sui professionisti dell'antimafia".

Che bella carriera hanno fatto Falcone e Borsellino!

Recentemente gli storici Sandro Gerbi e Raffaele Liucci nel loro pregevole volume Indro Montanelli. Una biografia (1909-2001) - Hoepli, 2014 - raccontano la politica editoriale di Montanelli, che - dalle pagine de Il Giornale - criticò per lungo tempo i magistrati impegnati sul fronte del contrasto alla criminalità.
Dopo il fallito attentato dell'Addaura a Falcone (21 giugno 1989), Montanelli capì di non aver ben compreso la posta in gioco e cercò di cambiare la politica del giornale. Contattò il sostituto procuratore di Milano Armando Spataro, al quale chiese una lettera a difesa del pool antimafia, che però non venne mai pubblicata.
Spataro - oggi procuratore capo a Torino - scrisse (lettera pubblicata dal mensile Società civile nel novembre 1989): "Lei è conosciuto e stimato per la sua indipendenza di giudizio, la sua autorevolezza è fuori discussione: faccia in modo che l'una e l'altra non siano strumentalizzati da chi ha interesse a distorcere la verità. Si faccia promotore, personalmente e attraverso le colonne del quotidiano da Lei diretto, di una campagna nuova, che miri a creare un fronte antimafia unitario, che non tenga conto del colore politico o della professione di quanti vi parteciperanno, ma solo dell'onestà del loro impegno; si adoperi per ricucire una spaccatura fin dove è possibile e perchè, finalmente, a trovarsi isolata risulti la cultura mafiosa".

Spataro partì per le vacanze in Grecia, cerco con fatica di comprare Il Giornale, per vedere se Montanelli gli dava spazio, ma la lettera non venne mai pubblicata. La redazione evidentemente si oppose.

Montanelli farà una parziale virata, ammettendo pubblicamente di essere stato "tratto in inganno dal giudizio che ne dava il mio fraterno amico Leonardo Sciascia" (Un errore riconosciuto, Il Giornale, 27 giugno 1993).
Falcone e Borsellino erano già all'altro mondo.

P.S.: martedì alle 18 alla libreria Hoepli, in via Hoepli a Milano, Sandro Gerbi e Raffaele Liucci presenteranno il loro volume Indro Montanelli. Una biografia (1909-2001).

lunedì 3 novembre 2014

L'Italia ha bisogno di maggiore concorrenza, ma la gente non la vuole perchè welfare inadatto a distruzione creativa

Settimana scorsa la Banca d'Italia, in particolare la Divisione Storia Economica e Finanziaria guidata da Alfredo Gigliobianco, ha organizzato un interessante convegno dal titolo: Concorrenza, mercato e crescita: il lungo periodo.
Gli interventi si sono susseguiti nel corso delle due giornate. Gli stimoli e le riflessioni sono innumerevoli.

Mi concentro sulle conclusioni, articolate da Gianni Toniolo, il quale ha evidenziato come la concorrenza - attraverso la distruzione creativa (Schumpeter, cit.) - crei dei vincenti e dei perdenti. Questi ultimi necessitano di sostegno da parte della fiscalità generale, che deve supportare il cambio e la ricerca di un nuovo lavoro con la formazione, le politiche attive.
Se un'impresa viene sconfitta dal mercato, per evitare che i lavoratori si leghino con le catene ai cancelli o salgono sul silos per protestare - come avviene solitamente nel nostro Paese - è necessario che il welfare funzioni. E qui nascono i problemi.
Infatti in Italia non è stato creato un welfare a sostegno della concorrenza. Il nostro welfare è stato disegnato per periodi di crescita infiniti (da Miracolo economico) e senza discontinuità.
In un'epoca dove anche un campione come la Nokia viene spazzata via dal mercato dei cellulari, dove gli scenari cambiano in un battibaleno, nel mondo liquido così ben descritto da Bauman, è indispensabile avere un welfare di politiche attive, che non ostacolino e facilitino il passaggio da un lavoro ad un altro.

Cosa ci ha lasciato la fallimentare classe dirigente degli ultimi 30 anni? Un welfare basato esclusivamente su politiche passive (cassa integrazione ordinaria e straordinaria, cassa in deroga, mobilità, prepensionamenti), le quali si concludono inevitabilmente su un sistema pensionistico che sostiene i pensionandi fin da giovani (a 45 anni si entra in cig, poi in mobilità, poi si va in pensione, che viene naturalmente calcolata con il sistema retributivo, così pagano le generazioni successive, bello no?).

Come ha sottolineato Giacomo Vaciago, è chiaro che il sistema di tutele è avverso alla concorrenza. Gli italiani non vogliono più concorrenza - ne abbiamo già parlato in passato in concorrenza bene pubblico - perchè non vogliono sostenerne i costi. La crescita crea dei perdenti che l'italiano non desidera. L'Italia aspira al pareggio perchè per vincere bisogna anche prendere in considerazione la possibilità di perdere.

Secondo le ricerche della Banca d'Italia (Forni L., Gerali A., Pisani M.) - Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell’Italia, Tema di discussione n. 706, marzo 2009 http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td09/td706_09/td_706_09 - con liberalizzazioni nel settore dei servizi e della distribuzione, il Pil italiano avrebbe dei benefici significativi. Ma come ha sottolineato Mario Draghi, citando Carlo Maria Cipolla, già nel Seicento lo sviluppo economico italiano si bloccò: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.

Ernesto Rossi
E' vitale mettere mano al welfare state basato solo su pensioni e politiche passive. Come scrisse il compianto Ernesto Rossi, tra i fondatori di Giustizia e Libertà, arguto commentatore sul Mondo di Pannunzio, dobbiamo combattere l'assistenzialismo parassitario, per creare uno sistema capace di combattere la miseria senza creare dipendenze: "I sindacati degli operai delle grandi imprese si valgono per innalzare barriere sempre più alte in difesa di queste oasi di privilegio...bloccano i licenziamenti togliendo così la convenienza di tentare nuove strade e di iniziare  nuovi lavori che potrebbero occupare saltuariamente la mano d'opera. (...). Il dinamismo economico ha un costo...rifiutarsi di pagare questo prezzo  significa rinunciare al progresso" (Il Malgoverno, cit.).

lunedì 27 ottobre 2014

Omaggio a Enrico Mattei, imprenditore formidabile

Convinto seguace della "legge di Ojetti", suo mentore e protettore, Indro Montanelli - secondo quanto riportano Gerbi e Liucci nel loro incredibile volume Indro Montanelli, una biografia (1909-2001), Hoepli, 2014, che vi consigliamo caldamente - scrisse: "Di ciò che noi abbiamo fatto, nulla rimarrà: viviamo in un Paese di contemporanei, senza antenati nè posteri perchè senza memoria".
Proprio per evitare che la memoria svanisca, oggi ricordiamo un personaggio grandioso, Enrico Mattei, fondatore dell'ENI.

Cinquantadue anni fa, il 27 ottobre 1962, alle ore 19 circa, l’aereo di Enrico Mattei proveniente da Catania e diretto a Milano, un Morane Saulnier, cade nei cieli di Bascapè, località Albaredo, vicino Pavia, in procinto di atterrare a Linate.

Muore un protagonista assoluto del prodigioso sviluppo economico dell’Italia del dopoguerra. “Con la morte di Mattei l’Italia, e forse l’Europa, ha perso una delle personalità più eccezionali degli anni del dopoguerra” (The Guardian, 1962).

Enrico Mattei influenzò più di qualunque altro il continuo boom del dopoguerra, conosciuto come il "miracolo economico italiano” (Time, 1962).

L’Italia nel 1945 era in condizioni talmente disastrate da far supporre una sua dipendenza economica di lunga durata, e forse irreversibile. Si stimava nel 1945 che il reddito pro-capite fosse inferiore ai livelli del 1861.

In questa situazione era entrato in scena Enrico Mattei, nominato dal Comitato di liberazione nazionale per l’alta Italia (Clnai) commissario straordinario dell’AGIP (Azienda Italiana Generale Petroli). Il cruccio di Mattei divenne ben presto quello di elevare l'Italia al rango di potenza petrolifera.

Per contrastare Mattei, venne attuata dalla lobby petrolifera statunitense una azione molto decisa sul Governo Italiano al fine di fermare le ricerche dell’AGIP. L’AGIP effettivamente non riuscirà a ottenere alcun finanziamento dello European Recovery Program (ERP, alias Piano Marshall) per l’acquisto delle proprie attrezzature.

Il Ministro delle Finanze Ezio Vanoni voleva che Mattei potenziasse l’AGIP, allargasse la sua attività, la rendesse forte abbastanza da combattere ad armi pari con le società americane, perchè doveva divenire il nucleo centrale di una vasta economia statale.

Con l’appoggio fondamentale di Vanoni e del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi – inizialmente propenso a smantellare l’AGIP - Mattei riuscì a creare le condizioni per l’approvazione in Parlamento della legge che avrebbe istituito l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).

Mattei intuì le potenzialità enormi del settore petrolifero, e aprì la strada per realizzarle a vantaggio del nostro paese. L’energia metanifera per la ricostruzione, la modernizzazione, la competitività dell’industria italiana, è venuta dall’ENI. Mentre con la politica di reperimento delle fonti petrolifere all’estero, Mattei ha reso l’Italia autonoma – rispetto alle grandi potenze – nell’approvvigionamento energetico.

Mattei rivendica condizioni di non discriminazione, di parità, di sviluppo non condizionato da interessi stranieri.

L’ENI ha promosso e gestito la politica energetica del nostro paese per più di quarant’anni, consentendo all’Italia di essere presente nelle grandi trattative internazionali per il petrolio. Lo sviluppo economico italiano deve molto all’ENI.

La grande intuizione di Enrico Mattei fu disegnare uno scenario futuro dove i paesi arabi – nel quadro del grande movimento di decolonizzazione - avrebbero esautorato le “Sette sorelle” dell’oligopolio petrolifero e messo sotto il loro diretto controllo le riserve di oro nero. Come ci racconta Mario Pirani “La previsione di una rottura del cartello petrolifero spinse Mattei alla ricerca di uno spazio autonomo non condizionato dall’egemonia dell’oligopolio internazionale, all’offerta di un rapporto diretto coi paesi di nuova indipendenza, attraverso la definizione di contratti di “partnership” con i loro governi al perseguimento della diversificazione delle fonti di approvvigionamento dell’Italia”.

Le Sette sorelle erano: Standard Oil Company of New Jersey (Exxon), Socony-Vacuum Oil (Mobil), Standard Oil Company of California (SOCAL), la Texas Oil Company (Texaco), la Gulf Oil Corporation, la Royal Dutch Shell Oil Company, la Anglo-Iranian Oil Company (AIOC, successivamente British Petroleum).

I successori di Mattei non capirono che dietro il sogno matteiano vi era una illuminante e realistica previsione della crisi petrolifera, destinata a esplodere di lì a poco tempo e che giustificava impegni finanziari, investimenti, un sistema di alleanze, al fine di attenuare l’impatto negativo sull’Italia, la più esposta alla dipendenza energetica.

Eugenio Cefis – a cui furono dati i poteri esecutivi alla morte di Mattei - trasformò l’ENI in un “mercante” che opera dentro spazi che altri gli assegnano, attuando con spregiudicatezza la politica di liquidazione dell’eredità di Mattei e di trasformazione dell’ente petrolifero di Stato in un soggetto subalterno alle grandi compagnie internazionali.

Con la sua scomparsa viene meno non solo un grande imprenditore pubblico, ma il soggetto propulsivo di una politica energetica dell’Italia. Non siamo il paese europeo con i costi energetici più cari? Tutto nasce dalla tragica caduta dell’aereo di Mattei il 27 ottobre 1962.

Abbiamo adottato un’impostazione nuova, perchè non ci piaceva lasciare operare nel nostro paese imprese esclusivamente straniere, rimanendo solo a guardare. Esse ci lasciavano margini ridicoli di guadagno nella raffinazione, che divenivano quasi nulli nella vendita. Tutto il proftto rimaneva alla produzione, con l’alto prezzo di vendita delpetrolio. Io ho già avuto modo di dichiarare che che oggi il prezzo del petrolio nel mondo arabo e in tutto il Medio Oriente è formato per un quinto dai costi di produzione, per due quinti dalle royalties spettanti ai paesi concessionari e per due quinti dagli utili delle grandi compagnie. Ed è su quest’ultima parte che noi non siamo d’accordo. Non siamo d’accordo perchè danneggia enormemente la nosra espansione, la nostra possibilità di sviluppo industriale”(Enrico Mattei, 1 luglio 1960)

Per questo facciamo assegnamento sui giovani, gli uomini di domani, che dovranno raccogliere la nostra bandiera ed andare avanti, nell’interesse del nostro paese: affinchè il nostro paese possa contare qualche cosa domani, poichè non c’è indipendenza politica se non c’è indipendenza economica.


Noi non possiamo seguitare a passare attraverso degli intermediari stranieri per rifornirci di una materia prima indispensabile: ci costa troppo caro; ce lo dicono i nostri economisti (Mattei aveva come consigliere l’economista Giorgio Fuà, che sosteneva la necessità di un intervento dello stato nel controllo di energia per il superamento delle situazioni di squilibrio economico strutturale, ndr) e hanno ragione” (Enrico Mattei, 11 gennaio 1958)

Walter Bonatti
In certe imprese Mattei sembra solo, come Bonatti (leggi post Omaggio a Walter Bonatti ) su per la parete nord del Cervino”, Giuseppe Ratti (collaboratore di Mattei)

Enrico Mattei era un uomo secco e virile, nazionalista e populista, onesto e corruttore, uno che usava la politica per farsi largo, ma anche per fare, e fare bene, nella vita pubblica. Tipi così ne avevo conosciuti durante il fascismo, tipi così ce ne saranno sempre in Italia, della specie dei condottieri, amati e odiati, profondamene italiani, profondamente antitaliani. Nel ’45 Mattei aveva salvato dalla liquidazione l’industria petrolifera italiana e aiutato da uomini simili a lui, profondamente italiani, profondamente antitaliani, come Vanoni, De Gasperi, aveva creato l’ENI”. (Giorgio Bocca, Il Provinciale, Mondadori, 1991)

Enrico Mattei, il creatore fuorilegge della nostra industria dell’energia, piaceva poco ai nostri conservatori del “salotto buono”, ma solo perchè faceva per conto dello stato ciò che essi facevan per gli interessi loro. Tutti dominati dall’illibero arbitrio, dalla corsa dei topi” (Giorgio Bocca, Il Sottosopra, Mondadori, 1994)

Per saperne di più sulla morte di Enrico Mattei, vi invito alla lettura di Giallo Mattei, il post successivo.

Bibliografia e approfondimenti:

Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010